Forti perplessità giungono dalla segreteria regionale della FIMMG Lazio in merito al Decreto del Commissario ad Acta della regione Lazio U00525/2019 avente per oggetto:"DPCM 12.1.2017 Art. 22. Percorso di riorganizzazione e riqualificazione delle Cure domiciliari – ADI. Regolamentazione periodo transitorio. Adozione documento tecnico"
Al riguardo la FIMMG Lazio con un proprio comunicato afferma:
"La conoscenza di alcuni dati sulla cronicità nella nostra regione, è indispensabile per poter analizzare meglio la nota regionale licenziata lo scorso 30 dicembre sulla riqualificazione delle cure domiciliari.
Abbiamo nel Lazio 1.275.930 cittadini sopra i 65 anni di cui maschi 548.083 e femmine 727.847 con un evidente sbilanciamento femminile, con una speranza di vita che nel 2002 era di 18,7 anni a 65 anni, oggi è diventata di 20,9. Cosa vuol dire? Che nei prossimi anni una popolazione già anziana lo diventerà ancor di più.
L’Istat segnala che le patologie cronico-degenerative sono più frequenti nelle fasce di età adulte: già nella classe 55-59 anni ne soffre il 54,1 % e tra le persone ultra settantacinquenni questa quota raggiunge l’86,9 %.
Le malattie croniche come quelle dell’apparato cardio circolatorioe respiratorio si quintuplicano passando per le varie fasce d’età dai 60 anni in poi, cosi come si quintuplicano i traumatismi. Ben il 49% dei pazienti sopra i 65 anni soffre di due malattie croniche, principalmente rappresentate dal diabete (15%), dall’Ipertensione (44%), dalle malattie respiratorie (10%), e dalle malattie degenerative osteoarticolari (artrosi, artrite e osteoporosi circa 60%). Dopo i 75 anni le percentuali aumentano, diventando per il 19% diabete, il 55%per l’ipertensione, il 12 % per i disturbi nervosi, il 15% per le malattie cardiache, l’80% per le malattie osteo articolari. Il consumo dei farmaci sale dal 62% oltre i 60 anni al 90% oltre i 75 anni.
Questi dati rappresentano in maniera chiara il carico di lavoro che sopporta il territorio ed in particolare i medici di famiglia , che nel Lazio sono 4.600, con 3.385 medici con più di 27 anni di laurea e circa 2000 medici sopra i 65 anni e quindi vicini al pensionamento e i medici di Continuità assistenziale, che sono nella nostra regione 586, con una percentuale di 9,9 medici per 100.000 abitanti, uno dei valori più bassi in Italia a fronte di una media nazionale di 19 medici di continuità ogni 100.000 abitanti
I medici di medicina generale assistono al loro domicilio, tramite l’assistenza programmata, secondo dati del Ministero della salute, oltre 65.000 pazienti, l’89,8% dei quali ha più di 65 anni. Tra questi i pazienti terminali sono il 5.5%. Questi dati sono verosimilmente sottostimati in quanto si ritiene che gli assistiti a domicilio siano almeno il doppio in quanto non tutti i medici registrano le proprie visite per la estrema burocratizzazione delle procedure da seguire.
L’assistenza domiciliare programmata viene erogata in base ad una valutazione multidisciplinare effettuata oggi in concordanza con i CAD (Centri di Assistenza Domiciliare) presenti in ogni ASL, che porta alla stesura di un piano assistenziale riguardante l’organizzazione dei trattamenti medici finalizzati a mantenere la stabilità clinica con l’ausilio della parte infermieristica e riabilitativa. Il Medico di famiglia effettua le visite programmate a domicilio, in Case di Riposo o in Residenze Sanitarie Assistenziali. Le Strutture Residenziali, RSA, Hospice, mettono a disposizione circa 12.000 posti letto di cui il 30% riservato ai pazienti con problemi psichiatrici e il 58% ad anziani: ai pazienti terminali spetta il 3,4% dei posti.
A detta della Regione Lazio solo l’1,93% della popolazione sopra i 65 anni, a fronte della media nazionale del 2,5%, e quindi solo 25.000 pazienti, è trattato in regime di ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) in collaborazione con gli specialisti, gli infermieri e altre figure professionali come i terapisti della riabilitazione o altro. Nei restanti casi l’assistenza programmata domiciliare è resa principalmente dal medico di famiglia, con strumentazione inadeguata e personale di supporto inesistente, salvo qualche prelievo domiciliare a cura del personale infermieristico del CAD. Nella gran parte dei casi mancano o sono insufficienti gli specialisti con liste di attesa che superano, nelle branche più critiche come la cardiologia, la pneumologia e la neurologia anche gli otto mesi di attesa. Peraltro per i CAD non è prevista la priorità delle prestazioni, il che si traduce in un trasporto al PS in caso di acuzie o in un consulto privato".
Tutto ciò premesso, ci saremmo aspettati da un DCA che ha per oggetto il “Percorso di riorganizzazione e riqualificazione delle Cure domiciliari” maggiore impegno di risorse, maggiore supporto ai medici di famiglia, aumento degli specialisti, un servizio almeno minimale nei giorni festivi. Troviamo invece scritto che le risorse previste sono insufficienti, che il cittadino potrà scegliere l’erogatore di sua scelta, che si potrà prevedere una compartecipazione al 50% da parte del cittadino del costo delle prestazioni, e che in ogni caso il servizio non funziona nei giorni festivi.
Il Decreto non chiarisce le procedure di attivazione del servizio che si presume rimarranno le stesse di oggi, ma in realtà non si sa, non essendo mai citato in alcuna parte quale sarà il ruolo del medico di medicina generale, non si prevede sostegno alcuno né di tipo strumentale né di risorse umane, si prevede l’adozione di un modello unico di valutazione multidimensionale dimenticando che questo già esiste almeno dal 2012. Non è quindi chiaro se questo modello cambierà o no. Non è neanche chiaro con chi si relazionerà il medico curante e chi si prenderà cura di prescrivere farmaci e/o presidi.
Come si vede un documento che presenta molti punti di incertezza che non consentono un giudizio di merito in questa fase, e, del resto, si è scelta la strada di escludere la medicina generale dalla discussione su un argomento così decisivo sulle cure primarie, pur rappresentando il MMG il regista dell’assistenza domiciliare secondo la normativa nazionale attualmente in vigore, ne prendiamo atto con dispiacere.
Stupisce inoltre il richiamo per l’assistenza tutelare all’anziano al DPCM 12.01.2017, art. 22 comma 4 che riguarda il minore con disabilità complessa, prevedendo una compartecipazione del 50% al costo delle prestazioni. Ora se di tutela si tratta significa che rientra nel diritto alla salute previsto dalla nostra Costituzione e pertanto non può essere oggetto di ridefinizione economica da parte dell’Istituto regionale che a fronte delle sue necessità di rientro in parametri economici e/o di gestione finanziaria in alcun modo a nostro avviso può comprimere a scapito del cittadino un diritto sancito e stratificato nelle norme relative alla sanità e al loro dispiegamento verso i malati.
Il medico di famiglia che entra nelle case sa come impatti negativamente sulla economia familiare la presenza di un anziano disautonomo o allettato a carico, la cui pensione o reddito da invalidità raramente riesce a coprire le spese emergenti quali per esempio l’assunzione di personale badante, cosa necessaria pena la perdita del lavoro per l’elemento più debole della famiglia come è in genere la donna all’interno della rete familiare di assistenza. In ogni caso la famiglia si impoverisce. Come potrebbe far fronte ad un costo ulteriore dell’assistenza sanitaria?
Infine, dubbio dei dubbi: quali strumenti concreti avrà il cittadino per scegliere un erogatore? Viceversa, sarà l’erogatore a scegliere il cittadino più conveniente? In tempi di liberismo sfrenato e compressione dei diritti sociali non ci stupiremmo poi troppo se a pensarla come Andreotti non ci sbagliassimo di tanto.
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