sabato 31 marzo 2018

UNA CIRCOLARE DELL'INL CONTRO L'ESTERNALIZZAZIONE DEI DIPENDENTI

L'ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO con la circolare n. 7/2018 affronta il problema di quello che secondo alcuni potrebbe essere definito "nuovo caporalato".
L'Ispettorato nazionale ha ricevuto segnalazioni in ordine ad annunci pubblicitari che propongono il ricorso a “sistemi di esternalizzazione dei dipendenti” che non lasciano dubbi in ordine alla violazione della disciplina di riferimento. ln particolare negli annunci in questione si promuove l’utilizzo del distacco e della codatorialità nell’ambito di contratti di rete, evidenziando i “forti vantaggi” di natura economica di cui beneficerebbero le imprese, tra i quali : - mancata applicazione del CCNL in caso di socio lavoratore di cooperativa; - “l'utilizzo del personale alla stregua del lavoro interinale”; - la “assenza di responsabilità legale e patrimoniale verso i dipendenti esternalizzati”; - il “lavoro straordinario/festivo senza maggiorazioni”; - la corresponsione al dipendente in malattia della sola quota che rimborsa l’INPS e maggiore “flessibilità” nella chiusura dei rapporti con i lavoratori non più “graditi” mediante semplice comunicazione. 
Purtroppo sembrerebbe che anche enti pubblici con la scusa del blocco delle assunzioni utilizino questo vero e proprio stratagemma.
Al fine di contrastare tali fenomeni l'INL  ha riepilogato le disposizioni vigenti in materia, chiarendo sin da subito che il personale distaccato o in regime di codatorialità non può subire un pregiudizio nel trattamento economico e normativo per effetto della stipula di un contratto di rete tra imprese.
Il contratto di rete è disciplinato dall’ art. 3, comma 4 ter, del D.L. n. 5/2009, ai sensi del quale “con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. Sotto il profilo soggettivo, il contratto in esame può essere stipulato esclusivamente tra due o più imprese e di conseguenza non possono partecipare alla rete soggetti non qualificabili come imprenditori ai sensi dell’art. 2082 c.c. (ad es. professionisti e associazioni). In relazione all’oggetto del contratto, invece, il Legislatore si limita a stabilire che lo stesso può riguardare lo scambio di informazioni tra imprenditori, la collaborazione in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese, fino a ricomprendere lo svolgimento in comune di “una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. 
Il comma 4 ter inserito all’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003, inoltre, chiarisce che “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile. Inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”. Va quindi rilevato che, a differenza di quanto previsto al primo comma del medesimo art. 30 – in forza del quale, per la legittimità dell’utilizzo di tale istituto, è necessario riscontrare l’interesse e la temporaneità del distacco – in tale contesto l’interesse del distaccante consegue “automaticamente” alla costituzione di una rete tra imprese.
Il contratto, inoltre, può prevedere specifiche clausole volte a disciplinare la “codatorialità” dei dipendenti di una o più imprese appartenenti alla rete stessa. Tuttavia, affinché tali effetti – l’automaticità dell’interesse al distacco, da una parte, e la messa a “fattor comune” dei dipendenti attraverso la codatorialità – si producano nei confronti dei terzi, ivi compresi i lavoratori, è necessario che si proceda preventivamente alla iscrizione nel registro delle imprese del contrattodi rete (v. art. 3, comma 4 quater, del D.L. n. 5/2009). 
Pertanto l'INL ha invitato  il personale ispettivo a verificare, innanzitutto, l’esistenza di un contratto di rete tra i soggetti coinvolti (distaccante e distaccatario o co-datori) e che lo stesso sia stato regolarmente iscritto nel registro delle imprese (cfr. ML circ. n. 35/2013). 
Nel caso in cui il contratto di rete preveda la codatorialità nei confronti di tutti o solo alcuni dei lavoratori dipendenti di ciascuna impresa, tale circostanza deve risultare dallo stesso contratto, così come deve risultare dal contratto la “platea” dei lavoratori che vengono, in questo modo, messi “a fattor comune” al fine di collaborare agli obiettivi comuni. 
Va peraltro precisato che detti lavoratori devono essere formalmente assunti, mediante l’assolvimento dei relativi adempimenti di legge (comunicazione obbligatoria di instaurazione del rapporto di lavoro, consegna della dichiarazione di assunzione e registrazioni sul Libro Unico del Lavoro) da una delle imprese partecipanti anche laddove si tratti di socio di cooperativa. 
Va poi evidenziato che la codatorialità è disciplinata dalle medesime disposizioni in materia di distacco, ivi comprese quelle concernenti le forme di tutela del lavoratore distaccato di cui ai commi 2 e 3 del citato art. 30. Per tale motivo, deve ritenersi che anche il richiamo alla disciplina del distacco contenuto nell’art. 3, comma 6, del D.Lgs. n. 81/2008 opera nell’ambito dei contratti di rete, tanto per il lavoratore distaccato quanto per il lavoratore in regime di codatorialità. In altri termini, nell’ambito del contratto di rete, sia in relazione alla codatorialità sia in relazione al distacco, il lavoratore ha diritto al trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro che procede all’assunzione. Ciò evidentemente anche nell’eventualità in cui il datore di lavoro sia una società cooperativa.
Al riguardo, va considerato che le eventuali omissioni afferenti il trattamento retributivo o contributivo espongono a responsabilità tutti i co-datori, a far data dalla messa “a fattor comune” dei lavoratori interessati. Ciò in quanto i firmatari del contratto di rete sono tutti datori di lavoro nei confronti del personale indicato dallo stesso contratto, trovando quindi applicazione il principio generale della responsabilità solidale di cui all’art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003; principio peraltro recentemente esteso dalla Corte Costituzionale, sentenza n. 254 del 6 dicembre 2017, anche a fattispecie diverse da quelle dell’appalto al fine dichiarato di “evitare il rischio che i meccanismi di decentramento - e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione - vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale”. A tal fine, si rammenta che assumono rilevanza anche quelle omissioni contributive che derivino dall’applicazione di un contratto collettivo che non abbia i caratteri della maggiore rappresentatività comparativa di settore secondo quanto previsto dell’art. 1, comma 1 del D.L. n. 338/1989. Sotto tale aspetto si richiamano le indicazioni operative già fornite in ordine alle conseguenze derivanti dalla mancata applicazione del c.d. contratto leader.



venerdì 30 marzo 2018

LE CONDIZIONI MINIME DI QUALITA' DEL SERVIZIO DI TRASPORTO PUBBLICO STABILITE DALL' AUTORITA' PER LA REGOLAZIONE DEI TRASPORTI

L'Autorità per la regolazione dei trasporti con delibera n. 16/2018 ha provveduto a stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto passeggeri per ferrovia, nazionali e locali, connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo caratteristiche territoriali di domanda e offerta, ai sensi dell’articolo 37, comma 2, lettera d), del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, istitutivo dell’Autorità (di seguito: ART). 
Le Misure in esso contenute si applicano ai servizi di trasporto passeggeri per ferrovia, sia regionali e locali (di seguito: “regionali”), sia di interesse nazionale, connotati da oneri di servizio pubblico. 
Le Misure non differenziano tra i diversi servizi, se non dove esplicitamente indicato. 
Sono tenuti all’applicazione delle Misure gli Enti affidanti (EA) e le Imprese ferroviarie (IF), operanti sia su rete ferroviaria nazionale o interconnessa, sia su reti isolate, titolari di contratti di servizio (CdS) affidati secondo tutte le modalità di affidamento ammesse dall’ordinamento, pur con l’introduzione per alcune Misure di elementi di gradualità relativamente ai contratti di servizio riferiti alle IF che effettuano servizi sulle reti di cui all’articolo 1, comma 2, lettere a) e b) del decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112. Le disposizioni della Misura 15 producono effetti altresì nei confronti dei Gestori dell’infrastruttura (GI) e dei Gestori di stazione (GS), secondo le modalità definite negli Accordi Quadro (AQ) o negli altri atti negoziali che ne regolano il rapporto con l’EA. 
Le Misure si applicano ai bandi di gara pubblicati e, nel caso di procedure ristrette, all’invio delle lettere di invito, nonché ai contratti affidati direttamente o in modalità in house in data successiva a quella di entrata in vigore del presente atto regolatorio coincidente con la data di pubblicazione della delibera di approvazione. 
Le Misure si applicano altresì ai contratti di servizio stipulati in data precedente a quella di entrata in vigore del presente atto regolatorio, per i quali si realizzi, ove prevista, una revisione, anche in esito a quanto disposto dall’articolo 2, comma 461, lettera c), della legge 24 dicembre 2007, n. 244, successiva all’entrata in vigore del presente atto regolatorio. 
Le disposizioni di cui alla Misura 15 si applicano infine alle integrazioni degli Accordi Quadro e degli altri atti negoziali che regolano il rapporto tra l’EA e il GI/GS, adottate in data successiva a quella di entrata in vigore della predetta delibera. Negli stessi termini, le Misure hanno altresì effetto: a) sulle Carte della qualità dei servizi ferroviari passeggeri che, ai sensi del citato articolo 2, comma 461, lettera a), della medesima legge, recano gli “standard” di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel CdS; b) sugli atti di programmazione dei servizi di trasporto di cui agli articoli 14 e 16 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422; c) sugli Accordi Quadro (o eventuali altri atti negoziali) sottoscritti dagli EA con i GI/GS, integrati nei termini previsti dall’Allegato alla delibera ART n.140/2017 del 30 novembre 2017 (punti 2.1 e 2.2.7), per quanto concerne la prestazione, all’interno delle stazioni ferroviarie interessate, dei servizi relativi a: i. informazioni da garantire nei confronti degli utenti; ii. pulizia e comfort dei locali aperti al pubblico; iii. condizioni di accessibilità in autonomia alle stazioni da adottare a beneficio tutti gli utenti, con particolare riferimento alle PMR, nonché servizi di assistenza delle PMR prestati dal GI/GS; iv. sicurezza del viaggiatore all’interno dell’infrastruttura ferroviaria.
Qui trovate:

IL PROBLEMA DELLA NON AUTOSUFFICIENZA DOVRA' ESSERE AFFRONTATO AL PIU' PRESTO DAL PARLAMENTO

Da tempo i sindacati dei pensionati SPI CGIl, CISL pensionati e UIL pensionati hanno posto all'attenzione della classe politica il problema della non autosufficienza.
In un loro documento sottolineano come la non autosufficienza sia uno dei grandi temi della nostra società. 
Nel Documento conclusivo dell’indagine sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, votato all’unanimità dalla Commissione Sanità del Senato il 10 gennaio 2018, si legge: “Nel nostro Paese, in più della metà dei casi (64%) è la famiglia ad occuparsi della cura e dell’assistenza della persona anziana affetta da patologie croniche (…)”. Non a caso, l’Italia è il Paese dell’area Ocse con la più elevata percentuale di familiari che prestano assistenza a persone anziane o disabili in modo continuativo. Si stimano oltre 3 milioni e 300mila caregiver familiari che assistono adulti (Indagine multiscopo Istat 2011) e oltre 800mila assistenti familiari retribuiti (Pasquinelli 2013). La soluzione più diffusamente adottata è infatti, come noto, l’assunzione di assistenti familiari, peraltro scarsamente o del tutto non professionalizzati, senza un appropriato aiuto delle istituzioni nazionali e locali.
Già oggi quasi 3 milioni di persone hanno bisogno di aiuto per le esigenze della vita quotidiana. 
Si tratta di una condizione che riguarda principalmente le persone anziane, ma non solo, e che ha una forte specificità sanitaria: è il peggioramento dello stato di salute (che può essere aggravato da condizioni sociali critiche) a non consentire più l’autonomia. 
È tuttavia indubbio che esista una correlazione con l’invecchiamento e che l’aumento della durata media di vita porti a un aumento del rischio di incidenza della non autosufficienza. Le persone anziane rappresentano il 22,6% del totale della popolazione italiana, pari a circa 13,5 milioni di persone, e si stima cresceranno ancora fino ad arrivare nei prossimi 20 anni a sfiorare il 30% della popolazione. 
Oggi, il numero di anziani non autosufficienti supera i 2,5 milioni ed è, con ogni probabilità, destinato ad aumentare. Sebbene la speranza di vita sia fortunatamente in continua crescita e sia tra le più alte al mondo, con 80,6 anni per gli uomini e 84,9 anni per le donne, nel nostro Paese si vive più al lungo, ma si vive peggio, in quanto le malattie croniche invalidanti si presentano in media circa 1,5 anni prima rispetto ad altre nazioni europee. 
Milioni di famiglie si trovano ad affrontare quotidianamente, spesso da sole, senza l’appoggio di servizi assistenziali, sociosanitari e sanitari adeguati, i grandi disagi, le sofferenze e il rischio di impoverimento che la non autosufficienza porta con sé.
L'Assistenza domiciliare dei Comuni resta spesso sulla carta mancando i necessari finanziamenti e così anche l'Assistenza domiciliare integrata.
La qualità della vita degli ultimi anni è assolutamente insufficiente e inadeguata al nostro Paese.
Nel corso della XVII legislatura sono stati adottati provvedimenti assolutamente insufficienti ad affrontare questo problema di portata nazionale.
I Sindacati ritengono che la risposta data finora dalle Istituzioni sia stata inadeguata, disorganizzata e frammentata sia nella spesa che negli interventi offerti da Stato, Regioni e Comuni scaricando così quasi interamente sulle famiglie l'onere dell'assistenza e alimentando le diseguaglianze tra chi riesce ad accedere ai servizi e chi no e tra chi si può permettere un'assistenza privata e chi no.
Spi-Fnp-Uilp con un loro documento hanno chiesto con forza che il riconoscimento della condizione di non autosufficienza sia determinato con criteri uniformi in tutto il territorio nazionale; che siano individuati i Livelli essenziali delle prestazioni sociali per la non autosufficienza (Lesna); che si preveda la copertura integrale dei costi delle prestazioni a carico del Ssn per l'assistenza alle persone non autosufficienti gravissime; che il Fondo sanitario nazionale raggiunga un livello di finanziamento pubblico adeguato e che i Lesna siano a carico della fiscalità generale; che si preveda la sperimentazione e la promozione di forme di residenzialità innovative; che si riconosca la figura dei caregiver e che si proceda ad una riorganizzazione dell'indennità di accompagnamento inserendola nel Piano assistenziale individuale e mantenendone comunque il suo carattere universalistico e senza quindi collegarla alla prova dei mezzi. 
I Sindacati dei pensionati pongono quindi la non autosufficienza tra i temi prioritari del paese e intendono portare avanti queste proposte nel rapporto con i partiti che si sono candidati e che hanno vinto le elezioni il 4 marzo.

LA CRISI DELL'ARTIGIANATO ITALIANO

L'UNIONCAMERE in un suo lungo comunicato ha fatto una analisi della situazione del nostro artigianato: quello che era uno dei punti di forza della nostra economia.
Ancora un anno difficile per l’artigianato italiano, seppure con qualche luce all’orizzonte. Sebbene anche il 2017 – come gli otto anni precedenti – si sia concluso con un saldo negativo tra iscrizioni e cessazioni di imprese (11mila le aziende in meno rispetto al 2016), il risultato è il meno pesante dall’inizio della crisi e conferma, accentuandola, la tendenza al recuperoinnescata nel 2014. E’ quanto emerge dalla fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere sull’imprenditoria artigiana a partire dai dati del Registro delle Imprese delle Camere di commercio (i dati sono disponibili all’indirizzo www.infocamere.it).
Nonostante i segnali di ripresa che si registrano, la crisi non è dunque ancora alle spalle. A fronte del calo delle cessazioni di impresa che si attestano sul livello minimo del decennio (92.265 unità), risulta in calo anche il numero di quanti decidono di intraprendere una attività artigiana (80.836). Dal 2012 ad oggi, quando l’anagrafe artigiana segnava un 1,4 milioni di imprese, si registra una diminuzione dello stock di oltre 110mila unità, con una riduzione percentuale complessiva vicina all’8%, pari a oltre un punto percentuale in media all’anno.
Guardando alla geografia dell’Italia artigiana, nel 2017 tutte le macro-aree del Paese hanno fatto registrare una diminuzione dello stock delle imprese, in una forchetta compresa tra le -2.500 imprese del Nord-Est e le oltre 3.500 del Mezzogiorno, ma tutte in miglioramento rispetto ai dodici mesi precedenti. Tra le regioni, il Trentino-Alto Adige è l’unica che presenta una modestissima crescita (+8 imprese, +0,03%). La graduatoria provinciale per tasso di crescita evidenzia una presenza ridotta di province caratterizzate da un segno positivo: Reggio Calabria (+0,85% pari a +83 imprese), Bolzano(+0,71% e +95 imprese), Milano (+0,65% per 455 imprese artigiane in più), Taranto (+0,17% e +13 imprese), Trieste (+0,11% e +5 unità) e Monza(+0,05% e +11 unità).
Il 2017 ha messo in evidenza una crescita sensibile delle attività artigiane nel comparto del “Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese”, in cui si è registrato un saldo di 1.807 imprese in più (pari ad una crescita del 3,6% rispetto al 2016). Performance positive caratterizzano il settore delle “Altre attività di servizi” (in particolare grazie all’aumento delle attività legate ai servizi alla persona), e quello della comunicazione, che nei dodici mesi del 2017 hanno fatto segnare un saldo positivo rispettivamente di 1.224 e 244 imprese, con un tasso di crescita pari a +0,66% per il primo comparto e che ha sfiorato il 2% per il secondo. Risultato negativo per le costruzioni, che, nel 2017 perdono oltre 7mila unità (-1,4%), ma che fanno meglio dell’anno precedente dove avevano fatto registrare una contrazione di oltre 10mila aziende. Le cose non vanno meglio per le imprese che operano nel trasporto e magazzinaggio e per l’industria in senso stretto: nel 2017 il saldo delle imprese artigiane è diminuito di 1.764 imprese (-2,0%) per il primo comparto e addirittura, per il secondo, il calo è stato di 4.744 imprese (-1,5%).

IL MINISTRO MINNITI HA INDETTO LE ELEZIONI COMUNALI PER IL 10 GIUGNO

Il ministro dell'Interno Marco Minniti con un decreto firmato proprio oggi ha fissato per domenica 10 giugno la data per lo svolgimento delle consultazioni per l'elezione diretta dei sindaci e dei consigli comunali, nonché per l'elezione dei consigli circoscrizionali nelle regioni a statuto ordinario. L'eventuale turno di ballottaggio per l'elezione diretta dei sindaci avrà luogo domenica 24 giugno.
Le elezioni riguardano in tutto 797 Comuni italiani, dei quali 203 nelle regioni a statuto speciale. In Sicilia il voto è fissato sempre il 10 giugno, mentre in Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige gli elettori andranno al voto rispettivamente il 29 aprile (in concomitanza con le elezioni regionali), il 20 maggio e il 27 maggio 2018.
Dei Comuni al voto, 114 sono i cosiddetti 'superiori' - ovvero hanno più di 15.000 abitanti (più di 3.000 in provincia di Trento) - e 683 gli 'inferiori'. 
Ben 21 sono i capoluoghi di provincia, mentre i consigli circoscrizionali interessati sono quelli del III e l'VIII Municipio di Roma Capitale.
Potrebbe essere un test importante dopo le elezioni del 4 marzo.
Nel Lazio sono 47 i Comuni che andranno al voto di cui 15 in provincia di Frosinone, 7 in quella di Latina, 4 in quella di Rieti, 16 in quella di Roma e 5 in quella di Viterbo.
Molti i Comuni importanti come Viterbo, Aprilia, Formia, Fiumicino, Pomezia, Velletri ecc.

COSA DEVONO FARE I COMUNI CHE NON HANNO ANCORA PROVVEDUTO AL RIACCERTAMENTO DEI RESIDUI ATTIVI E PASSIVI

Molti Comuni non hanno ancora provveduto al riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi previsto dall'art. 3, comma 7, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, pertanto il Ministero dell'economia e delle finanze con DM 12 febbraio 2018 ha disposto che con delibera della giunta, previo parere dell'organo di revisione economico-finanziario, provvedono, contestualmente all'approvazione del rendiconto 2017, al riaccertamento straordinario dei residui al 31 dicembre 2017 provenienti dalla gestione 2014 e precedenti. 
I Comuni provvedono al riaccertamento straordinario dei residui antecedenti all'esercizio 2015 con riferimento alla data contabile del 1° gennaio 2018, attraverso: 
a) la cancellazione definitiva dei propri residui attivi e passivi antecedenti all'esercizio 2015 cui non corrispondono obbligazioni perfezionate. Per ciascun residuo passivo eliminato in quanto non correlato ad obbligazioni giuridicamente perfezionate, e' indicata la natura della fonte di copertura, al fine della conservazione degli eventuali vincoli di destinazione; 
b) la cancellazione dei propri residui attivi e passivi antecedenti all'esercizio 2015 cui non corrispondono obbligazioni giuridicamente perfezionate scadute alla data del 31 dicembre 2017. Non sono cancellati i residui imputati al titolo 9 «Entrate per conto terzi e partite di giro» e al titolo 7 «Uscite per conto terzi e partite di giro». Per ciascun residuo eliminato in quanto non scaduto sono indicati gli esercizi nei quali l'obbligazione diviene esigibile, secondo i criteri individuati nel principio applicato della contabilità finanziaria di cui all'allegato n. 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011. 
c) la conseguente variazione del fondo pluriennale vincolato da iscrivere in entrata e in spesa del bilancio dell'esercizio 2018, distintamente per la parte corrente e per il conto capitale, per un importo pari alla differenza tra i residui passivi ed i residui attivi eliminati ai sensi della lettera b), se positiva, e nella rideterminazione del risultato di amministrazione al 1° gennaio 2018 a seguito del riaccertamento dei residui di cui alle lettere a) e b); 
d) la variazione del bilancio di previsione 2018-2020, in considerazione della cancellazione dei residui di cui alle lettere a) e b), della conseguente rideterminazione del fondo crediti di dubbia esigibilita' stanziato in bilancio e di altri eventuali accantonamenti, e della rideterminazione del fondo pluriennale vincolato e del risultato di amministrazione di cui alla lettera c). In particolare, gli stanziamenti di entrata e di spesa degli esercizi 2018, 2019 e 2020 sono adeguati per consentire la reimputazione dei residui cancellati e l'aggiornamento degli stanziamenti riguardanti il fondo pluriennale vincolato; 
e) la reimputazione delle entrate e delle spese cancellate in attuazione della lettera b), a ciascuno degli esercizi in cui l'obbligazione e' esigibile, dall'esercizio 2018 e successivi, secondo i criteri individuati nel principio applicato della contabilità finanziaria di cui all'allegato n. 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011. La copertura finanziaria delle spese reimpegnate cui non corrispondono entrate riaccertate nel medesimo esercizio e' costituita dal fondo pluriennale vincolato, salvi i casi di disavanzo tecnico di cui al comma 3; 
f) la rideterminazione del fondo crediti di dubbia esigibilita' accantonato nel risultato di amministrazione al 1° gennaio 2018, in considerazione della consistenza dei residui attivi al 1° gennaio 2018 a seguito della cancellazione dei residui attivi di cui alle lettere a) e b). L'importo del fondo e' determinato secondo i criteri indicati nel principio applicato della contabilita' finanziaria di cui all'allegato n. 4.2. 3. Nel caso in cui a seguito del riaccertamento straordinario di cui al comma 2, i residui passivi reimputati ad un esercizio sono di importo superiore alla somma del fondo pluriennale vincolato stanziato in entrata e dei residui attivi reimputati al medesimo esercizio, tale differenza può essere finanziata con le risorse dell'esercizio o costituire un disavanzo tecnico da coprirsi, nei bilanci degli esercizi successivi con i residui attivi reimputati a tali esercizi eccedenti rispetto alla somma dei residui passivi reimputati e del fondo pluriennale vincolato di entrata. 
Al riguardo si richiama l'art. 3, comma 13, del decreto legislativo n. 118 del 2011, il quale prevede che gli esercizi per i quali si e' determinato il disavanzo tecnico possono essere approvati in disavanzo di competenza, per un importo non superiore al disavanzo tecnico. 4. 
Nel caso in cui a seguito del riaccertamento straordinario di cui al comma 2, i residui attivi reimputati ad un esercizio sono di importo superiore alla somma del fondo pluriennale vincolato stanziato in entrata e dei residui passivi reimputati nel medesimo esercizio, tale differenza e' vincolata alla copertura dell'eventuale eccedenza degli impegni reimputati agli esercizi successivi rispetto alla somma del fondo pluriennale vincolato di entrata e dei residui attivi. Nel bilancio di previsione dell'esercizio in cui si verifica tale differenza e' effettuato un accantonamento di pari importo agli stanziamenti di spesa del fondo pluriennale vincolato. 5. L'operazione di riaccertamento di cui al comma 2 e' oggetto di un unico atto deliberativo. 6. Al termine del riaccertamento straordinario di cui al comma 2 non sono conservati residui cui non corrispondono obbligazioni giuridicamente perfezionate e esigibili. La delibera di giunta di cui al comma 1, cui sono allegati i prospetti riguardanti la rideterminazione del fondo pluriennale vincolato e del risultato di amministrazione, secondo lo schema di cui agli allegati 1/C e 2/C, e' tempestivamente trasmessa al Consiglio. 7. L'eventuale maggiore disavanzo derivante dal riaccertamento straordinario e' ripianato secondo le modalità previste dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno del 2 aprile 2015, a decorrere dall'esercizio 2018.

giovedì 29 marzo 2018

I SINDACI POSSONO REGOLAMENTARE L'ORARIO DI APERTURA DELLE SALE DA GIOCO...PERCHE' NON LO FANNO ?

Il Comune di Mantova, collocato da alcuni anni al primo posto delle classifiche per la qualità della vita e per la difesa dell'ambiente ha vinto una causa avanti al Consiglio di Stato contro una società che gestisce sale da gioco e che aveva presentato ricorso avverso un provvedimento con il quale il Sindaco aveva stabilito gli orari di apertura delle sale da gioco.
Un esempio che dovrebbero prendere molti Sindaci.
Queste le premesse:
a) il Comune di Mantova aveva regolamentato con la ordinanza n. PS 50/39/2015 del 10 marzo 2015 gli orari di esercizio delle sale giochi autorizzate ex art. 86 TULPS e del funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro di cui all’art. 110, comma 6, del medesimo testo unico, prevedendo, in caso di violazione, sanzioni amministrative pecuniarie e, in caso di particolare gravità e recidiva, la sanzione accessoria della sospensione dell’attività per un periodo da uno a cinque giorni; 
b) a seguito di controlli effettuati nei locali gestiti dalla ricorrente, era stato accertato il funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro in orari non consentiti dalla ricordata ordinanza sindacale, così che erano state applicate le sanzioni pecuniarie ed anche la sanzione della sospensione dell’attività, stante la recidiva (ordinanza n. 204/2016); 
c) non poteva dubitarsi la sussistenza del potere del Comune di regolamentare gli orari di esercizio delle sale giochi autorizzate e del funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro; 
d) la disposizione dell’art. 10 del TULPS (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), secondo cui “Le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata”, era utilizzabile non solo dal Questore per abuso di licenze di pubblica sicurezza, ma anche dall’amministrazione comunale per sanzionare ipotesi di abuso delle licenze di somministrazione di alimenti e bevande; 
e) conseguentemente l’impugnata sanzione della sospensione, irrogata dall’amministrazione a seguito della accertata e reiterata violazione - non contestata - delle prescrizioni relative agli orari di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro, era legittima in quanto trovava adeguata copertura in una in fonte di rango primario; erano sotto questo profilo infondate le censure di violazione del principio di legalità ex art. 1 legge n. 689 del 1981 e dell’art. 23 della Costituzione, aggiungendo che la sospensione contestata era disgiunta dalla sanzione pecuniaria ed era prevista per ipotesi di particolare gravità e recidiva, come nel caso in esame.
Queste le argomentazioni del collegio giudicante:
Ciò premesso in punto di fatto deve osservarsi che le problematiche concernenti la disciplina degli orari di apertura e funzionamento delle sale gioco autorizzate costituiscono un terreno particolarmente sensibile e delicato nel quale confluiscono e devono essere adeguatamente misurati una pluralità di interessi, sia privati (dei gestori delle predette sale che, in quanto titolari di una concessione con l’amministrazione finanziaria e di una specifica autorizzazione di polizia, tendono a perseguire la massimizzazione dei loro profitti per ottenere la remunerazione dei loro investimenti economici attraverso la più ampia durata giornaliera dell’apertura dell’esercizio, invocando i principi costituzionali di libertà di iniziativa economica e di libera concorrenza e sul piano più strettamente il principio dell’affidamento, ingenerato proprio dal rilascio dei titoli, concessorio e autorizzatorio, necessari alla tenuta delle sale da gioco), sia soprattutto pubblici e generali, non contenuti in quelli economico – finanziari (tutelati dalla concessione) o relativi alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (tutelati dall’autorizzazione questorile), ma estesi anche alla quiete pubblica (in ragione dei non improbabili disagi derivanti dalla collocazione delle sale gioco in determinate zone cittadine più o meno densamente abitate a causa del possibile congestionamento del traffico o dell’affollamento dei frequentatori) e alla salute pubblica, quest’ultima in relazione al pericoloso fenomeno, sempre più evidente, della ludopatia.
Investita, tra l’altro, della questione della legittimità costituzionale (sollevata dal TAR Piemonte) della questione di legittimità costituzionale – con riferimento agli artt. 32 e 118 della Costituzione - degli artt. 42 e 50, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 167, nonché dell’art. 31, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 241, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono la competenza dei Comuni ad adottare atti normativi e provvedimentali volti a limitare l’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in ogni esercizio a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 86 dello stesso r.d. n. 773 del 1931, la Corte Costituzionale con la sentenza 18 luglio 2014, n. 220, nel dichiararla inammissibile, ha sottolineato che “…l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia di legittimità, sia di merito, ha elaborato un’interpretazione dell’art. 50, comma 7, del d. lgs. n. 267 del 2000, compatibile con i principi costituzionali evocati, nel senso di ritenere che la stessa disposizione censurata fornisca un fondamento legislativo al potere sindacale in questione”, evidenziando che in forza della generale previsione del predetto art. 50, comma 7, “…il sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano istallate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale”.
Nella predetta sentenza la Corte ha anche osservato, sotto altro concorrente profilo, che “…il potere di limitare la distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l’imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, potrebbe altresì essere ricondotto alla potestà degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto al quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al Comune le relative funzioni”, non mancando di richiamare al riguardo l’avviso di questo Consiglio di Stato secondo cui “l’esercizio del potere di pianificazione non può essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma deve essere costruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti (sentenza n. 2710 del 2012).
Ancora la Corte Costituzionale con la sentenza 11 maggio 2017, n. 108, investita della questione di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 117, commi secondo, lett. h) e terzo, della Costituzione, dell’art. 7 della legge regionale della Puglia 13 dicembre 2013, n. 43 (recante “Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico GAP”) nella parte in cui vieta il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di sale da gioco e all’installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai cosiddetti luoghi sensibili ivi indicati, ha tra l’altro evidenziato che “…il legislatore pugliese non è intervenuto per contrastare il gioco illegale, né per disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e nemmeno per individuare i giochi leciti: aspetti che – come posto in evidenza dalle citate sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006 – ricadono nell’ambito della materia <<ordine pubblico e sicurezza>>, la quale attiene alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso quale <<complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale>>, ma piuttosto per “…evitare la prossimità delle sale degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della “dipendenza da gioco d’azzardo”. Ha rilevato la sentenza che “la disposizione in esame persegue, pertanto, in via preminente finalità di carattere socio – sanitario, estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto nella materia della legislazione concorrente <<tutela della salute pubblica>> (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale”. Ha ancora aggiunto che non è decisivo, ai fini di escludere la competenza legislativa regionale nel caso di specie la circostanza “…che la norma censurata inciderebbe su esercizi commerciali, quali quelli che accettano scommesse, soggetti al controllo dell’autorità di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 88 del TULPS – controllo finalizzato alla prevenzione dei reati e alla tutela dell’ordine pubblico – finendo, così, per interferire indebitamente con questo stesso regime autorizzatorio. La norma regionale si muove su un piano distinto da quello del TULPS. Per quanto si è detto, essa non mira a contrastare i fenomeni criminosi e le turbative dell’ordine pubblico collegati al mondo del gioco e delle scommesse, ma si preoccupa, <<piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli>>, segnatamente in termini di prevenzione di <<forme di gioco cosiddetto compulsivo>> (sentenza n. 300 del 2011). In quest’ottica, la circostanza che l’autorità comunale, facendo applicazione della disposizione censurata, possa inibire l’esercizio di una attività pure autorizzata dal questore….non implica alcuna interferenza con le diverse valutazione demandate all’autorità di pubblica sicurezza”.
Anche la giurisprudenza amministrativa in materia ha ormai univocamente chiarito che la previsione contenuta nell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000, ha carattere generale, riconoscendo pertanto al sindaco il potere di disciplinare gli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l'orario di apertura degli esercizi, in cui i medesimi sono installati, puntualizzando che un simile potere non interferisce con quello degli organi statali preposti alla tutela dell'ordine e della sicurezza, atteso che la competenza di questi ha ad oggetto rilevanti aspetti di pubblica sicurezza, mentre quella del Sindaco concerne in senso lato gli interessi generali della comunità locale, con la conseguenza che le rispettive competenze operano su piani diversi e non è configurabile alcuna violazione dell'art. 117, comma 2, lett. h), Cost. (Cons. Stato, 1° agosto 2015, n. 3778; Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4784; 22 ottobre 2015, n. 4861; in tema di distanze delle sale da gioco dai c.d. luoghi sensibili, Cons. Stato, V, 27 giugno 2017, n. 3138).
Sulla scorta della delineata evoluzione giurisprudenziale deve ammettersi che, come già in precedenza accennato, nella materia dei giochi e delle scommesse lecite sussistono, oltre agli interessi tipicamente privati sopra evidenziati, una pluralità di interessi pubblici e generali, che possono essere individuati in quello dell’interesse economico – finanziario ed alla corretta gestione della concessione; in quello alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, finalizzato alla prevenzione dei reati, ricollegabile all’autorizzazione questorile; in quello alla quiete pubblico ed alla tutela della salute e più in generale complessivamente ad un ambiente cittadino salubre.
La tutela di tali diversi interessi risulta congruamente affidata a diversi poteri pubblici (l’amministrazione finanziaria per quanto riguarda l’aspetto concessorio; l’autorità di pubblica sicurezza – questore, per quanto riguarda l’aspetto autorizzatorio; l’autorità sindacale per quanto riguarda la salubrità dell’ambiente cittadino) che non confliggono tra loro proprio per le diversità finalità che essi perseguono e cui le rispettive competenze sono orientate.
Così delineato il complesso sistema di tutela degli interessi pubblici e generali che insistono nella materia dei giochi e scommesse ed evidenziato in capo al sindaco, ai sensi dell’art. 50, comma 7, del D. Lgs. n. 267 del 2000, il potere di disciplinare l’orario di apertura delle sale da gioco e di funzionamento degli apparecchi con vincite in danaro, con la precisazione che tale disciplina si riferisce all’aspetto della tutela della quiete pubblica e della salute pubblica (c.d. interesse ad un ambiente cittadino salubre), così da non interferisce con (ed anzi essere estraneo al) diverso profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica (che attiene alla prevenzione dei reati e la cui tutela appartiene al questore), deve logicamente e giuridicamente affermarsi la sussistenza anche di un corrispondente potere sanzionatorio, che sia effettivo e dunque non meramente simbolico o sproporzionato, in modo da garantire l’effettività della stessa disciplina sindacale; così come permane in capo ad esso l’ordinario potere di amministrativa attiva, vale a dire di cura diretta dell’interesse pubblico con le misure che possano di volta in volta essere più convenienti.
Invero una disciplina imperfetta, da un lato senza alcuna proporzionata sanzione e dell’altro senza – al contempo – misure di cura diretta dell’interesse pubblico, negherebbe da un lato la cogenza soggettiva delle prescrizioni, dall’altro l’essenza della funzione amministrativa che prescinde dai comportamenti indebiti e che è orientata oggettivamente a curare l’interesse pubblico. Il che tradirebbe lo sforzo ricostruttivo operato dal giudice delle leggi e dalla giurisprudenza amministrativa di riconoscere in capo al sindaco – nell’ambito del potere sindacale di ordinanza di cui all’art. 50, comma 7, del D. Lgs. n. 267 del 2000 - il potere/dovere di tutelare l’interesse alla salubrità dell’ambiente cittadino (sub specie di interesse alla quiete pubblica e interesse alla salute pubblica) e sotto un profilo sistematico istituzionale di fatto irrazionalmente negherebbe (e su un terreno così sensibile e delicati quale quello in questione) la capacità che la legge attribuisce ai sindaci per dare espressione all’interesse generale dei cittadini e della idoneità dell’autorità comunale di cogliere, apprezzare, garantire e tutelare i precipui interessi del territorio.
Proprio per la necessità di un’azione complessiva di realizzazione effettiva di quanto appena detto, la sanzione dev’essere ragionevole, efficace, dotata di un sicuro carattere afflittivo e dunque di deterrenza.
Ma per quanto concerne la cura effettiva e concreta dell’interesse pubblico la mera sanzione pecuniaria amministrativa non appare e non è uno strumento di suo sufficiente a realizzare davvero l’interesse cui presiede: se la sanzione, in rispetto del principio di legalità, trova adeguata e sicura copertura nell’art. 7 bis, comma 2, del D. Lgs. n. 267 del 2000, a tenore del quale “La sanzione amministrativa di cui al comma 1 si applica anche alle violazioni alle ordinanze adottate dal sindaco e dal presidente della provincia sulla base di disposizione di legge, ovvero di specifiche norme regolamentari”, resta d’altra parte evidente che la mera sanzione pecuniaria prevista dal citato comma 1 dell’art. 7-bis (“Salvo diversa disposizione di legge, per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro”) non spieghi alcun reale effetto ripristinatorio delle oggettive esigenze pubbliche poste dalle ordinanze sindacali sugli orari di apertura delle sale da gioco e scommesse e sul funzionamento degli apparecchi con vincita in danaro: del resto a nessuno sfugge che, se tutto si riducesse e si limitasse alla detta sanzione, fatalmente sarebbe agevolata una logica strettamente economica del rapporto costi/benefici, sicché il medio concessionario o titolare di sala giochi o degli apparecchi con vincite in danaro sarebbe facilmente indotto ad assumere il rischio e il relativamente tenue costo per la violazione dell’ordinanza sindacale consistente nel solo pagare la sanzione amministrativa (di importo mediamente assai contenuto) a fronte di un più elevato guadagno derivante dall’utilizzo della sala gioco o dal funzionamento degli apparecchi da gioco: conseguendo così gli inammissibili effetti pratici di una sanatoria a modesto onere economico. Non v’è chi non veda come un siffatto risultato anziché realizzare, neghi alla radice la cura dell’interesse pubblico.
Deve dunque riconoscersi la necessità, sotto il profilo logico – sistematico, che la reiterata violazione della disciplina sindacale degli orari di apertura delle sale da gioco e di funzionamento degli apparecchi con vincite in danaro, sia accompagnata da una misura ulteriore e diversa dalla sanzione pecuniaria: una misura, cioè, di cura diretta dell’interesse pubblico, che prescinda dal soggetto e che guardi all’oggetti, e che vada ad incidere direttamente e immediatamente sull’attività (del gioco e del funzionamento degli apparecchi di gioco), sospendendola per un tempo ragionevole, adeguato e idoneo.
Una tale misura – che a ben vedere esprime un potere di amministrazione attiva perché è a cura diretta e immediata dei detti interessi della collettività prima ancora che a retribuzione di una condotta individuale che li lede - ben può dalla discrezionalità comunale essere individuata, come avvenuto nel caso di specie, nella preannunciata sospensione dell’attività per un periodo massimo di cinque giorni, tempo che risulta significativo, adeguato e proporzionato, idoneo ad un tempo a garantire un reale effetto di deterrenza ed il carattere di afflittività, contemperando in modo non irragionevole l’interesse sanzionatorio dell’autorità sindacale ed il principio della libertà d’iniziativa economica
Rispetto a tale misura occorre tuttavia verificare il rispetto del principio di legalità e cioè se la sua previsione, da parte dell’ordinanza sindacale, sia garantita da una previsione di rango legislativo che l’ammette.
Al riguardo, ad avviso della Sezione, l’esercizio di una sala giochi e scommesse o di un locale con apparecchi con vincite in danaro (muniti ovviamente della regolare autorizzazione questorile) ben rientra nella categoria delle “sale pubbliche da bigliardi o per altri giuochi leciti” che ai sensi del comma 1, dell’art. 86 del T.U.L.P.S. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) “…non possono esercitarsi senza licenza del questore…”.
L’art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 616 del 1977 (“Attuazione della delega di cui all’art. 1 della l. 22/7/1975, n. 382) ha poi attribuito ai Comuni le funzioni di cui al T.U.L.P.S., tra cui al n. 8) “la licenza per alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè ed altri esercizi in cui si vendono o consumano bevande non alcooliche, sale pubbliche per biliardi o per altri giuochi leciti, stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture e simili di cui all’art. 86”.
Il quarto comma del predetto articolo 19 ha previsto che “I provvedimenti di cui ai numeri 5), 6), 7), 8), 9), 11), 13), 14), 15) e 17) sono adottati previa comunicazione al prefetto e devono essere sospesi, annullati o revocati per motivata richiesta dello stesso”, ma al riguardo deve sottolinearsi che la Corte Costituzionale con la sentenza 24 marzo 1987, n. 77, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto quarto comma nella parte in cui non limita i poteri del prefetto, ivi previsti, esclusivamente alle esigenze di pubblica sicurezza, nonché del successivo quinto comma.
Per completezza deve rilevarsi che l’art. 164 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59” ha poi abrogato: c) l'articolo 19, comma 1, numero 3), del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616; d) l'articolo 19, comma 4, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, nella parte in cui prevede la comunicazione al prefetto e i poteri di sospensione, revoca e annullamento in capo a quest'ultimo in ordine: all'articolo 19, comma 1, numero 13), in materia di licenza agli stranieri per mestieri ambulanti; all'articolo 19, comma 1, numero 14), in materia di registrazione per mestieri ambulanti; all'articolo 19, comma 1, numero 17), in materia di licenza di iscrizione per portieri e custodi, fermo restando il dovere di tempestiva comunicazione al prefetto dei provvedimenti adottati.
Per effetto di tale passaggio di funzioni (dall’autorità di pubblica sicurezza ai Comuni) avviene, sotto il profilo logico – sistematico, che a questi ultimi siano transitati anche i poteri sanzionatori previsti dal T.U.L.P.S., utilizzabili evidentemente in presenza di violazione delle discipline specifiche che attengono alla tutela degli interessi pubblici diversi da quello dell’ordine della sicurezza pubblica (in tal senso in generale, Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7777, secondo cui il potere di sospensione delle licenze per pubblici esercizi attribuiti ai Comuni dall’art. 19, comma 4, del D.P.R. n. 616 del 1977 deve ritenersi esercitabile nei soli casi in cui la sospensione della licenza trovi giustificazione in ragioni diverse da quelle attinenti alla tutela dell’ordine pubblico; ancora sez. IV, 6 giugno 1997, n. 625; sez. V, 24 novembre 1992 n. 1376).
Tra tali poteri rientra a pieno titolo anche quello della sospensione del titolo in caso di abuso dell’autorizzazione, come previsto dall’art. 10 del T.U.L.P.S., a tenore del quale “Le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata”.
Un tale abuso si connette non a questioni attinenti all’ordine o alla sicurezza pubblica, bensì a quegli altri interesse pubblici generali tutelati dall’autorità comunale mediante il rilascio dell’autorizzazione, perché funzione dell’autorizzazione stessa è di garantire il corretto esercizio dell’attività autorizzata. La giurisprudenza ha precisato che anche la mera violazione delle modalità di svolgimento del servizio autorizzato costituisce abuso cui può conseguire la sospensione ex art. 10, giacché l’autorizzazione deve essere utilizzata conformemente alle prescrizioni contenute nella legge e nelle altre varie fonti sub – primarie e la loro violazione costituisce un uso anomalo e quindi un abuso del titolo (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2010, n. 7185; secondo la più risalente, ma non meno significativa giurisprudenza, gli abusi che legittimano la revoca o la sospensione di una licenza di polizia [nel caso di specie si trattava di commercio di preziosi] non consistono solo nell’uso della stessa per scopi diversi da quelli per i quali il titolo è stato rilasciato, ma anche nel dispregio delle prescrizioni e delle regole procedurali che il titolare è tenuto ad osservare, Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 1992, n. 674).
Sulla scorta delle osservazioni svolte e tenuto conto che del resto l’appellante non ha contestato il fatto posto a fondamento, né la ragionevolezza e la congruità della sospensione, l’appello deve essere respinto,
Qui la sentenza integrale:

mercoledì 28 marzo 2018

UNA PERFORMANCE SANITARIA INSUFFICIENTE PER LA REGIONE LAZIO

L'Istituto Demoskopica ha pubblicato un nuovo rapporto con l'indice di performance sanitaria delle regioni italiane.
Nel 2017 ben 13 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi per motivi economici, per le lunghe liste di attesa o perché non si fidano del sistema sanitario della loro regione. Oltre 320 mila “viaggi della speranza” dal Sud con bilanci in rosso per ben 1,2 miliardi di euro. Cresce la “democrazia sanitaria”: 357 milioni di euro pari ad un incremento del 15% rispetto al 2016. Litigare nel comparto sanitario è costato quasi 500 mila euro al giorno. 
È l’Emilia Romagna, la regione in testa per efficienza del sistema sanitario italiano, strappando la prima posizione al Piemonte, mentre Sicilia e Molise si collocano in coda tra le realtà “più malate” del paese. In totale sono sei le realtà territoriali definite “sane”, nove le aree “influenzate” e cinque le regioni “malate”. Crolla il Piemonte che precipita di ben 10 posizioni rispetto all’anno precedente, collocandosi nell’area delle regioni “influenzate”. Entrano, inoltre, nell’area delle realtà sanitarie d’eccellenza, Marche, Veneto, Toscana e Umbria. Al Sud la migliore perfomance spetta alla Puglia, all’Abruzzo e alla Basilicata che migliorano la loro “condizione”, rispetto all’anno precedente, lasciando l’area dei sistemi sanitari locali più sofferenti. La Calabria abbandona, per la prima volta, l’ultima posizione tra le realtà “malate” collocandosi immediatamente al di sopra di Sicilia e Molise.
Nel 2017, inoltre, ben 13,5 milioni di italiani, pari al 22,3%, hanno rinunciato a curarsi per motivi economici, per le lunghe liste di attesa e perché, non fidandosi del sistema sanitario della regione di residenza, non hanno potuto affrontare i costi della migrazione sanitaria ritenuti troppo esosi. Un comportamento ancora significativamente preoccupante nonostante una rilevante contrazione rispetto al 2016 pari all’11,8%.
Insoddisfacente il risultato del Lazio che si colloca solo all'11° posto nel grado di soddisfazione dei cittadini, dopo Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia e Romagna, Umbria, Lombradia, Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Marche.
Sempre per il Lazio bassa la mobilità attiva (al 13° posto con solo 77.862 pazienti provenienti da altre regioni), mentre è alta la mobilità passiva (al 1° posto con 74.234 pazienti che sono andati a curarsi altrove), benché a Roma ci siano molte strutture di eccellenza che costano una montagna di soldi ai contribuenti.
Negativo ancora per il Lazio il risultato di esercizio con un disavanzo che pur essendo diminuito è ancora pari a 163.500.000 (14° posto).
Il disagio delle famiglie, costrette a pagarsi da sole le cure è pesane e il Lazio si colloca al 12° posto.
Alto il numero delle sentenze sfavorevoli per la malpractice (€12.614.053).
Infine la speranza di vita nel Lazio è solo al 13° posto con 82,91. 

QUALI ATTI POSSONO ESSERE ADOTTATI DAGLI ORGANI DEL COMUNE DOPO L'INDIZIONE DEI COMIZI ELETTORALI ?

Si approssima la data di scadenza di molti Consigli comunali e se non sarà stato costituito un nuovo Governo tra breve il Consiglio dei Ministri sarà costretto a prendere una decisione per l'indizione dei comizi elettorali.  
A questo punto si porrà come spesso avvenuto nel passato il problema di quali atti possono essere adottati da parte delle amministrazioni uscenti.
Al riguardo il Ministero dell'interno con parere del 19 maggio 2014 ha fatto presente quanto segue:
"Come noto, ai sensi del richiamato Art.38, comma 5, i consigli comunali durano in carica per un periodo di cinque anni sino all’elezione dei nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare gli atti urgenti e improrogabili. La previsione legislativa in esame trae la propria ratio ispiratrice nella necessità di evitare che il consiglio comunale possa condizionare la formazione della volontà degli elettori adottando atti aventi natura cosiddetta “propagandistica”, tali da alterare la par condicio tra le forze politiche che partecipano alle elezioni amministrative. 
E’ stato precisato in giurisprudenza che la preclusione disposta dalla citata norma opera solamente con riguardo a quelle fattispecie in cui il consiglio comunale è chiamato ad operare in pieno esercizio di discrezionalità e senza interferenze con i diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti e protetti dalla fonte normativa superiore. 
Quando invece l’organo consiliare è chiamato a pronunciarsi su questioni vincolate nell’an, nel quando e nel quomodo e che, inoltre, coinvolgano diritti primari dell’individuo, l’esercizio del potere non può essere rinviato (TAR Puglia n. 382/2004). 
E’ stato precisato, inoltre, che il carattere di atti urgenti e improrogabili possa essere riconosciuto agli atti “… per i quali è previsto un termine perentorio e decadenziale, superato il quale viene meno il potere di emetterli, ovvero essi divengono inutili, cioè inidonei a realizzare la funzione per la quale devono essere formati … o hanno un’utilità di gran lunga inferiore ” (T.A.R. Veneto 1118 del 2012). 
In ordine alla sussistenza del presupposto della urgenza ed improrogabilità, è stato osservato che lo stesso …“costituisce apprezzamento di merito insindacabile in sede di giurisdizione di legittimità, se non sotto il limitato profilo della inesistenza del necessario apparato motivazionale, ovvero della palese irrazionalità od illogicità della motivazione addotta” (sentenza Tar Friuli Venezia Giulia n. 585 del 2006, confermata in appello dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6543/2008). 
Come indicato nella circolare di questo Ministero n. 2 del 7 dicembre 2006, va rilevato che l’esistenza dei presupposti di urgenza ed improrogabilità deve essere valutata caso per caso dallo stesso consiglio comunale che ne assume la relativa responsabilità politica, tenendo presente il criterio interpretativo di fondo che pone, quali elementi costitutivi della fattispecie, scadenze fissate improrogabilmente dalla legge e/o il rilevante danno per l’amministrazione comunale che deriverebbe da un ritardo nel provvedere. 
Pertanto, la richiesta di convocazione d’urgenza del consiglio comunale ai sensi dell’art. 39, comma 2, del decreto legislativo n. 267/2000, dovrà essere valutata alla luce dei criteri ermeneutici sopraindicati".

martedì 27 marzo 2018

IL RAPPORTO DEL CENTRO COORDINAMENTO RAAE SULL'ANDAMENTO DELLA RACCOLTA DEI RIFIUTI DA APPARECCHIATURE ELETTRICHE ED ELETTRONICHE

Il centro coordinamento RAAE ha reso pubblico il 27 marzo il proprio rapporto sull'andamento della raccolta dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche dal quale risulta che la raccolta differenziata dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, i cosiddetti Raee, nel 2017 segna un +4,6% dei volumi gestiti rispetto al 2016. 
Nel corso del 2017 la raccolta complessiva di Raee gestita dai Sistemi Collettivi è stata pari a 296.274.320 kg, oltre 13 milioni di chilogrammi di Raee raccolti in più rispetto all''anno precedente. Il dato medio pro capite si attesta a 4,9 kg per abitante.
La tipologia di Raee più raccolta è quella che rientra nel ''Raggruppamento 2'', ovvero i Grandi Bianchi (come lavatrici, lavastoviglie, forni a microonde...) che segna un +7,35%, con oltre 96mila tonnellate. Il ''Raggruppamento 1'' (Freddo e Clima) cresce del 5,63%, l''R4 (Piccoli Elettrodomestici) del 9,04% e l''R5 (Sorgenti Luminose) del 5,69%. Segno negativo solo per la raccolta dei Raee del ''Raggruppamento 3'' (Tv e Monitor): -3,76% rispetto al 2016.L'andamento della raccolta positivo in tutto il Paese, nonostante permangano differenze tra le diverse aree territoriali. Nelle Regioni del Nord la raccolta complessiva cresce del 5,30% e quella media per abitante ammonta a 5,95 kg. Da segnalare il risultato dell''Emilia Romagna (+12,69%) mentre la Valle d''Aosta conferma il primato nazionale nella raccolta pro capite con 9,94 kg di Raee per abitante. Tra le regioni più virtuose anche Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna, con circa 7,2 kg di Raee raccolti per abitante.
Nel Centro Italia la raccolta cresce del 5,58% con dati positivi in tutte le Regioni ad eccezione delle Marche. La media pro capite sale a 4,94 kg di Raee per abitante, in linea con il dato nazionale. Da segnalare l''ulteriore aumento dei quantitativi assoluti del 10,03% nel Lazio e dell''8,65% in Abruzzo. Nonostante il miglioramento, la media pro capite di entrambe le Regioni si attesta ancora al di sotto della media dell''area geografica di riferimento.
Nel complesso prosegue la fase di crescita della raccolta differenziata di Raee registrata lo scorso anno nell''area Sud e Isole, anche se con un più timido +2,19%. Tutte le Regioni presentano risultati positivi ad eccezione di Campania e Molise; le migliori performance si registrano in Puglia e Calabria, con un aumento rispettivamente del 12,37% e 11,46%. Bene la Sardegna.

lunedì 26 marzo 2018

LA STABILIZZAZIONE DEI LAVORATORI LSU NEI PICCOLI COMUNI

Il Ministero del lavoro comunica che è stata avviata la procedura per l'erogazione del contributo per l'anno 2018 ai Comuni con meno di 5.000 abitanti per la stabilizzazione di Lavoratori Socialmente Utili.
E'  disponibile online, sul sito web del Ministero il  modello di domanda per richiedere il contributo 2018 ex art. 1, comma 1156, lett. f), Legge 296/2006 e ss. mm. ii. corredato della Guida alla compilazione, aggiornata specialmente nella parte relativa ai controlli delle dichiarazioni del Sindaco.
I Comuni interessati dovranno presentare domanda, esclusivamente in formato elettronico, entro il 30 giugno 2018.

COMUNE DI SABAUDIA: LA PROCEDURA PER LA DETERMINAZIONE DEL PIANO ECONOMICO DELLA TARI E DELLE RELATIVE TARIFFE PER LE UTENZE DOMESTICHE E PER LE ATTIVITA' PRODUTTIVE.

All'Albo pretorio del Comune di Sabaudia è stata pubblicata solo oggi 26 marzo la deliberazione del Consiglio comunale n. 19 del 23 febbraio scorso avente per oggetto: "TARI : tassa sui rifiuti anno 2018. Approvazione piano economico e relative tariffe" con il quale viene stimato il costo per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani in € 3.769.968,32.
Conseguentemente è stato adottato il piano tariffario per le utenze domestiche e per le attività produttive.
Secondo il Collegio dei revisori la tariffa è stata determinata sulla base della copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio del servizio rifiuti e nella determinazione dei costi si è tenuto conto delle risultanze dei fabbisogni standard.
Sempre secondo il Collegio la modalità di commisurazione della tariffa è stata fatta sulla bse del criterio medio ordinario ovvero in base alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolta e non sull'effettiva quantità di rifiuti prodotti.
Com'è noto, l’articolo 1, comma 653, della legge di stabilità 2014 (Legge n.147/2013 e s.m.i.) prevede che “A partire dal 2018, nella determinazione dei costi di cui al comma 654, il comune deve avvalersi anche delle risultanze dei fabbisogni standard”. 
L’operatività della norma a partire dal corrente anno aveva fatto emergere l’urgenza di mettere a disposizione dei Comuni un quadro interpretativo idoneo ad individuare il fabbisogno standard di ciascun ente e un orientamento per la valutazione del costo del servizio, di massima da inserire nel Piano economico finanziario (PEF) o nella delibera ad esso collegata. 
Pertanto proprio nell'intento di approfondire la materia il Ministero dell'economia e delle finanze sin dall'8 febbraio scorso ha pubblicato le Linee guida interpretative del comma 653, art. 1, L.147/13: "Si deve premettere che la tassa sui rifiuti (TARI) a norma dell’art. 1, commi 639 e seguenti della legge 27 dicembre 2013, n. 147 è diretta a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti; per cui il comma 654 prevede che “in ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, ricomprendendo anche i costi di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, ad esclusione dei costi relativi ai rifiuti speciali al cui smaltimento provvedono a proprie spese i relativi produttori comprovandone l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”.
Sulla base di tali principi il consiglio comunale ha deliberato, entro il termine fissato da norme statali per l’approvazione del bilancio di previsione, le tariffe TARI in conformità al piano finanziario che, a norma del comma 683, deve essere redatto dal soggetto che svolge il servizio di gestione dei rifiuti e deve essere approvato dal consiglio comunale stesso o da altra autorità competente a norma delle leggi vigenti in materia.
A decorrere dall’anno in corso, il comma 653 (la cui efficacia è stata prorogata fino al 2017) introduce un ulteriore elemento di cui i comuni devono tenere conto in aggiunta a quelli già ordinariamente utilizzati per il piano finanziario, dal momento che “a partire dal 2018, nella determinazione dei costi di cui al comma 654, il comune deve avvalersi anche delle risultanze dei fabbisogni standard”. 
Va in proposito osservato che i fabbisogni standard del servizio rifiuti possono rappresentare solo un paradigma di confronto per permettere all’ente locale di valutare l’andamento della gestione del servizio rifiuti e che quelli attualmente disponibili sono stati elaborati avendo come riferimento finalità perequative e quindi pensati come strumento da utilizzare per la ripartizione delle risorse all’interno del Fondo di solidarietà comunale e come tali potrebbero non corrispondere integralmente alle finalità cui sottende la disposizione recata dal comma 653 in commento.
Ed invero, anche in considerazione della circostanza che il 2018 è il primo anno di applicazione di tale strumento – per cui può essere ritenuto un anno di transizione in attesa di poter più efficacemente procedere ad una compiuta applicazione della norma – l’indicazione della legge deve essere letta in coordinamento con il complesso processo di determinazione dei costi e di successiva ripartizione del carico su ciascun contribuente. È infatti fuor di dubbio che i comuni sono solo uno dei soggetti che partecipano al procedimento tecnico e decisionale che porta alla determinazione dei costi del servizio, che vede la propria sede principale nel piano finanziario rinnovato annualmente e redatto a cura del gestore del servizio. Il comma 653 richiede pertanto che il comune prenda cognizione delle risultanze dei fabbisogni standard del servizio raccolta e smaltimento rifiuti, sulla cui base potrà nel tempo intraprendere le iniziative di propria competenza finalizzate a far convergere sul valore di riferimento eventuali valori di costo effettivo superiori allo standard che non trovino adeguato riscontro in livelli di servizio più elevati. 
Il comma 653, come osservano le Linee guida, “richiede pertanto che il comune prenda cognizione delle risultanze dei fabbisogni standard del servizio raccolta e smaltimento rifiuti, sulla cui base potrà nel tempo intraprendere le iniziative di propria competenza finalizzate a far convergere sul valore di riferimento eventuali valori di costo effettivo superiori allo standard che non trovino adeguato riscontro in livelli di servizio più elevati”.
Il MEF sottolinea come le risultanze dei fabbisogni standard di cui al comma 653  siano  quelle contenute nella “Tabella 2.6: Stime puntuali OLS dei coefficienti della funzione di costo - Smaltimento rifiuti” della “Revisione della metodologia dei fabbisogni standard dei comuni” del 13 settembre 2016, adottata con il DPCM del 29 dicembre 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 44 del 22 febbraio 2017.
Al riguardo anche l'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) in data 16 febbraio 2018 ha pubblicato un interessantissimo documento sui "Costi del servizio rifiuti e considerazione delle risultanze dei fabbisogni standard (co. 653 della legge n. 147 del 2013).

sabato 24 marzo 2018

LE NUOVE LINEE GUIDA PER LA PROCEDURE CONCORSUALI

Pronte le Linee guida del Dipartimento della funzione pubblica sulle procedure concorsuali delle pubbliche amministrazioni previste dall'articolo 35, comma 5.2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. La disposizione è stata introdotta dal decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 e si inserisce nell’ambito di un più ampio intervento riformatore finalizzato ad aggiornare e migliorare la qualità, la professionalità e le competenze del personale che opera presso le amministrazioni pubbliche.
Obiettivo delle linee guida è dunque quello di favorire pratiche e metodologie finalizzate a raggiungere l’obiettivo dei concorsi pubblici: quello di reclutare i candidati migliori in relazione alle esigenze delle amministrazioni.
Le linee guida di indirizzo amministrativo, muovendosi nell’ambito dei principi e delle disposizioni, anche di rango costituzionale, dettate dal quadro normativo vigente, sono ispirate alle regole di legalità, trasparenza, imparzialità, efficienza e buon andamento, che presidiano l’accesso per concorso all’impiego nelle pubbliche amministrazioni. 
In questo quadro, le norme generali di riferimento si rinvengono, principalmente nell’articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nel D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, nel D.P.R. 24 settembre 2004, n. 272 e nel D.P.R. 16 aprile 2013, n. 70.  
Una novità è rappresentata dal concetto di utilizzare la scelta della procedura più idonea.  
È importante ricordare che non esiste una procedura o un modello di concorso standard valido per il reclutamento di qualunque professionalità. 
Nell’ambito degli strumenti previsti dalla legge e dai regolamenti, occorre di volta in volta modulare sia le procedure sia i modelli a cui ricorrere al fine di pervenire alle soluzioni più adatte in relazione alla figura professionale da scegliere.
Tenuto conto delle metodologie di reclutamento previste dalla normativa vigente e in particolare dal D.P.R. n. 487 del 1994, il bando di concorso definisce innanzitutto, in relazione alla professionalità da reclutare, quale tipologia di concorso pubblico risulta più adatta tra:
a) concorso pubblico per esami;
b) concorso pubblico per titoli;
c) concorso pubblico per titoli ed esami;
d) corso-concorso;
e) selezione mediante lo svolgimento di prove volte all'accertamento della professionalità richiesta.
Nell’ambito della disciplina generale individuata dal D.P.R. 487 del 1994, il bando definisce procedure mirate al reclutamento delle varie figure professionali, tenendo anche conto, per l’accesso alla dirigenza, della disciplina dettata dai D.P.R. n. 272 del 2004 e n. 70 del 2013.
La scelta del modello concorsuale deve tenere conto del livello e dell’ambito di competenza richiesto per la professionalità da reclutare, nonché della necessità di definire procedure efficaci e celeri che possano svolgersi anche con l’ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione.

LA GIORNATA INTERNAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA VERITA' SULLE GRAVI VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI E PER LA DIGNITA' DELLE VITTIME MACCHIATA DALLA VICENDA DELLA OPEN ARMS

Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime

Sequestrata dalla procura di Catania la nave Open arms della Ong Proactiva, accusata di associazione a delinquere per l'immigrazione clandestina.
Meraviglia di padre Alex Zanotelli il quale ha affermato:  «Come è possibile aver messo sotto inchiesta una nave che ha salvato tante vite?» «Il primo eritreo sceso dalla nave pesava 35 chili, ho pensato ad Auschwitz. 
Il Sindaco di Barcellona Ada Colau, ieri sera, intervenendo alla trasmissione televisiva Propaganda live ha sollecitato una rapida soluzione della vicenda in quanto la ONG ha provveduto a salvare vite umane in acque internazionali provvedendo poi a portarle nel porto più vicino VEDI LA TRASMISSIONE
Proprio oggi il 24 marzo è la giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime, istituita dall'ONU il 21 dicembre 2010 e ignorata quasi da tutti.
La giornata si prefigge di sensibilizzare tutti i cittadini circa la necessità di commemorare quanti hanno perso la vita per difendere i diritti umani nel mondo e affermare principi inviolabili riconosciuti ovunque. In tale occasione sarebbe opportuno rendere noti agli studenti gli enti / istituzioni / organismi internazionali che quotidianamente operano per la tutela della persona. Il recupero / accertamento delle verità sottese a fatti criminosi che hanno insanguinato la nostra storia, passata e recente, dovrebbe rientrare tra i diritti inalienabili dell’uomo come prassi acquisita.
Lo scrittore e saggista Upton Sinclair (autore poco noto in Italia, ma famoso negli USA), sosteneva che “è difficile far capire qualcosa ad un uomo se il suo stipendio dipende proprio da questo suo non riuscire a capire”.

venerdì 23 marzo 2018

LA CORTE DEI CONTI ESCLUDE LA FIDUCIARIETA' NELL'AFFIDAMENTO DEGLI INCARICHI DI PATROCINIO LEGALE DOPO L'ENTRATA IN VIGORE DEL CODICE DEI CONTRATTI.

Con la deliberazione n. 4 del 16 gennaio 2018, la Corte dei conti, Sezione Emilia Romagna fornisce ha affrontato in maniera completa il problema degli incarichi di patrocinio legale da parte degli enti locali.
Molte le criticità rilevate nella gestione dell'affidamento degli incarichi rilevate a carico di una PA:
1) Mancato inserimento degli incarichi di patrocinio e di consulenza legale in un atto di programmazione;
2) Ricorso all'affidamento diretto 
3) Mancanza di uno specifico disciplinare che regola l’affidamento degli incarichi legali 
4) Omessa formalizzazione dell’accertamento sull'impossibilità di svolgere il patrocinio all'interno dell’Ente 
5) Mancata tutela dei principi di imparzialità, parità di trattamento e trasparenza ex art.4 del d.lgs. n.50/2016
In sostanza il collegio ha ritenuto che a decorrere dall'entrata in vigore del nuovo codice dei contratti anche ogni singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato come appalto di servizi. 
In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art.4 del citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità e pubblicità. 
L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina dei principi summenzionati, conferma l’orientamento consolidato della Corte in merito all’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario.

IL BENCHMARK DELLA SPESA PER LE MISSIONI

LA SPESA PER MISSIONI A CONFRONTO
Uno dei modi migliori, oggi universalmente utilizzato, per valutare la spesa degli enti locali, è rappresentato dal metterla a confronto con quella di uno o più Comuni di pari dimensioni.
Da tempo seguo il Comune di Ivrea, famoso per molto motivi, tra i quali quello di aver avuto per sindaco Adriano Olivetti.
Ancora oggi quell'amministrazione mostra una organizzazione basata su principi aziendalistici.
Proprio in questi giorni sono stati resi disponibili i dati del bilancio di previsione dell'esercizio 2018 e li ho messi a confronto con gli stessi del Comune di Sabaudia.
mentre il Comune di Ivrea ha pubblicato il bilancio in forma semplificata per renderlo comprensibile ai cittadini, quello di Sabaudia  (benché la delibera di approvazione da pare della Giunta risalga a circa un mese fa) non ha ancora provveduto.
I dati si prestano a molte osservazioni.
La prima è quella relativa alla spesa per i servizi istituzionali (affari generali ecc.) che per il Comune di Sabaudia è molto elevata anche se la spesa è stata ridotta un poco rispetto al passato è ancor amolto elevata.
Naturalmente, il fatto che la spesa per i servizi istituzionali assorba il 55% della spesa totale significa che per gli altri servizi rimane ben poco.
Il confronto tra i due Comuni è il seguente:
Ordine pubblico e sicurezza:  Sabaudia 3%, Ivrea 4%
Istruzione: Sabaudia 4%, Ivrea 10%
Cultura: Sabaudia 1%, Ivrea 5%
Giovani e Sport: Sabaudia: inferiore ad 1, Ivrea 4%
Turismo: Sabaudia inferiore ad 1, Ivrea 1%
Urbanistica: Sabaudia 3%, Ivrea 1%
Ambiente e territorio: Sabaudia 18%, Ivrea 21%
Trasporti e mobilità: Sabaudia 2%,  Ivrea 7%
Politiche sociali: Sabaudia 10%, Ivrea 12%
Sviluppo economico: Sabaudia 4%, Ivrea 1%
Politiche per il lavoro: Sabaudia meno di 1, Ivrea, meno di uno....
 

LA REGIONE LAZIO HA APPROVATO LA REVISIONE DELLE SEDI FARMACEUTICHE DELLA PROVINCIA DI LATINA

Sul supplemento del BUR n.22/2018 è stata pubblicata la Deliberazione della giunta regionale del Lazio del 27 febbraio 2018, n. 127 con la revisione della pianta organica delle farmacie dei comuni della provincia di Latina anno 2016 ad esclusione del comune di Latina per il quale l'iter deliberativo non e'stato ancora completato.
Per la città di Sabaudia sono previste sei sedi farmaceutiche.
1^ sede farmaceutica – zona C: Strada Lungomare pontino – Strada Sacramento – Strada Litoranea – Strada Migliara 49 – s.r. 148 Pontina – Strada Migliara 54 – Strada Litoranea – Via Principe Biancamano – Corso Emanuele Filiberto Testa di Ferro – Via Cesare Battisti – Piazza Santa Barbara – Piazza Circe – Via Principe di Piemonte – Via Conte Rosso – Via Conte Verde – Piazza Roma – Via dei Bersaglieri – Via degli Artiglieri – Via Caterattino; 
2^ sede farmaceutica – zona B: Strada Litoranea dalla Chiesa di Molella – limite della foresta demaniale (porzione sotto la strada litoranea) fino alla sponda sud del Braccio della Carnarola del Lago di Paola – proiezione sulla Strada Lungomare pontino in corrispondenza con il Braccio della Carnarola – Strada Lungomare Pontino fino all’incrocio con Via Caterattino – Via Caterattino fino a Via degli Artiglieri – Via degli Artiglieri fino all’incrocio con Via dei Bersaglieri – Via dei Bersaglieri fino a Piazza Roma – da Piazza Roma su Corso Vittorio Emanuele III fino all’incrocio con Via Conte Verde – Via Conte Verde fino a Via Conte Rosso – Via Conte Rosso fino all’incrocio con Via Principe di Piemonte – Via Principe di Piemonte fino ad incrocio con Piazza Mafalda di Savoia – Piazza Mafalda di Savoia (retro Palazzo comunale) fino ad incrocio con Via Umberto I – Via Umberto I (lato sud palazzo comunale) fino incrocio con Piazza Circe – Piazza Circe fino incrocio con Via Cesare Battisti – Via Cesare Battisti fino all’incrocio con Via Emanuele Filiberto Testa di ferro – Via Emanuele Filiberto Testa di Ferro fino all’incrocio con Via Principe Biancamano – Via Biancamano fino all’incrocio con Strada Litoranea – Strada Litoranea direzione Molella fino all’incrocio con Strada Migliare 54 (cantoniera Pantalone) – Strada Migliare 54 fino all’incrocio con di s.r. 148 Pontina – s.r 148 Pontina fino a confine comunale lato Terracina – confine comunale lato Terracina fino all’intersezione con la Strada litoranea – Strada Litoranea fino alla Chiesa di Molella (intersezione con foresta demaniale); 
3^ sede farmaceutica – zona D: confine comunale con Terracina, Fiume Sisto, Strada Migliara 48, s.s. 148 Pontina; 
4^ sede farmaceutica Zona E: Rio Martino, Fiume Sisto, Strada Migliara 48, s.r. 148 Pontina, Strada Migliara 49, Strada Litoranea, Strada Sacramento, Strada Lungomare Pontino; 
5^ sede farmaceutica – Zona A: Strada litoranea dalla Chiesa di Molella – limite della foresta demaniale (porzione sotto la strada litoranea) fino alla sponda sud del braccio della Carnarola del Lago di Paola proiezione sulla Strada Lungomare Pontino in corrispondenza con il Braccio della Carnarola – Strada Lungomare Pontino fino al confine comunale su Torre Paola – Via Pedemontana fino all’incrocio con Strada Litoranea – Strada Litoranea fino all’intersezione con l’inizio della foresta demaniale retro Chiesa di Molella; 5^ sede farmaceutica: comprensorio Molella _ Mezzomonte; 
6^ sede: - rurale – Sant’Andrea- Sacramento – Bella Farnia
Purtroppo, non non essendo stato dato corso all'apertura della farmacia comunale a Molella il Comune ha perduto il diritto di prelazione e così a Sabaudia non abbiamo neanche una farmacia comunale.