Finalmente il Governo ha accelerato l’adozione e
l’attuazione di leggi in materia di legalità della Pubblica Amministrazione
centrale e locale. Grazie al Presidente Cantone si procede speditamente, anche se le resistenze cominciano ad essere molte. Un tema che pur essendo molto sentito dai cittadini ancora
non trova molta attenzione in tutti gli enti. Come ricordato più volte la corruzione percepita è molto elevata nel nostro paese. Lo stesso Presidente della
Repubblica nel suo discorso di fine anno è stato costretto ad affrontare il
problema invitando a “bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra
società” la società civile, Stato e forze politiche senza eccezione alcuna.
Solo riacquistando “intangibili valori morali” la politica potrà riguadagnare e
vedere riconosciuta la sua funzione decisiva. Preoccupano però gli
atteggiamenti di taluni politici che fanno fatica ad abbandonare le vecchie
compagnie e un certo modo di fare politica. Non vorrei che questi si comportassero
come il deputato della Camera Francese Viennet il quale nella seduta del 23
marzo 1833, intervenendo su uno scandalo di fondi segreti (nulla di nuovo sotto
il sole) pronunciò la famosa frase: “La
lègalité nous tue”(La legalità ci uccide" -
ovvero - lo scrupolo di rispettare la legalità ci porta alla rovina), anche se poi lui sostenne di essere
stato frainteso e che la frase pronunciata fosse la seguente “La légalité actuelle nous tue: le factions
s’en moquent”. Del Viennet è un interessante articolo sulla difficile vita del deputato riportato nel volume di cui ho inserito l'immagine della copertina, La frase di Viennet fu ripresa il 29 gennaio
1849 da Odilon Barrot, Primo ministro
francese, designato dal Presidente della Repubblica Luigi Bonaparte, che era
stato eletto a suffragio universale con maggioranza schiacciante nel 1848. E il
Barrot lo disse nel propugnare, innanzi all'Assemblea Nazionale Costituente,
una serie di misure eccezionali contro gli estremismi "di destra e di
sinistra", monarchici legittimisti da una parte, socialisti estremisti
dall'altra. La frase di Barrot è riportata da Federico Engels nella sua
prefazione alle Lotte di classe in
Francia, di Marx,
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