venerdì 26 luglio 2019

LA DAZIONE DI SOMME O ALTRE UTILITA' A MEDICI PER AGEVOLARE LA PRESCRIZIONE DI INTEGRATORI FARMACEUTICI NON CONFIGURA IL REATO DI COMPARAGGIO EX ART. 170 R.D. 1265/1934

La Corte di Cassazione con SENTENZA 51946/2018 ha preso in esame un ricorso relativo ad un presunto reato di comparaggio.
Al riguardo la difesa sosteneva che nella fattispecie non era configurabile il reato di comparaggio perché nella specie le prescrizioni non avevano ad oggetto "specialità medicinali o altro prodotto ad uso farmaceutico" ma semplici integratori alimentari. 
La Corte ha così argomentato: "L'art. 170 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 punisce "Il medico o il veterinario che ricevano, per sé o per altri, denaro o altra utilità ovvero ne accettino la promessa, allo scopo di agevolare, con prescrizioni mediche o in qualsiasi altro modo, la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico" L'art. 172 dello stesso Regio decreto stabilisce che "Le pene stabilite negli artt. 170 e 171, primo e secondo comma, si applicano anche a carico di chiunque dà o promette al sanitario o al farmacista denaro o altra utilità". Nel quadro dell'attività di informazione e presentazione dei medicinali svolta presso medici o farmacisti è vietato dunque all'informatore di concedere, offrire o promettere premi, vantaggi pecuniari o in natura, se non di valore trascurabile, nonché al medico e al farmacista di sollecitare o accettare alcun incentivo di questo tipo: la violazione di questo divieto integra la contravvenzione del D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, art. 123. Per contro, la promessa o la dazione di denaro o altra utilità al sanitario o al farmacista, eseguite pure nel medesimo contesto informativo, e però "allo scopo di agevolare la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso Z a farmaceutico", integrano la diversa e autonoma fattispecie contravvenzionale di "comparaggio" di cui al R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, artt. 170-172, modif. 10 Corte di Cassazione - copia non ufficiale dal DIgs. n. 541 del 1992, art. 16, reato anch'esso plurioffensivo, ma connotato altresì dalla previsione dell'indicato dolo specifico. La norma fa riferimento, quanto al dolo, alla diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico. 
Nella letteratura per farmaco si intende qualsiasi sostanza, inorganica od organica, naturale o sintetica, capace di produrre in un organismo vivente modificazioni funzionali, utili o dannose, mediante un'azione chimica, fisicochimica o fisica. Quando l'impiego di un farmaco è volto a ricondurre alla norma una funzione patologicamente alterata o a favorire i processi riparativi di una lesione si può anche usare il termine medicamento. La produzione e il commercio dei farmaci sono, nell'interesse pubblico, soggetti a particolari limitazioni . Si definisce, genericamente, medicinale, ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali, nonché ogni sostanza e composizione da somministrare all'Uomo o all'animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche. Per specialità medicinale si intende invece una forma farmaceutica preconfezionata, prodotta industrialmente ed autorizzata sulla base di una documentazione contenente i risultati sperimentali chimici, biologici, farmaceutici, farmaco-tossicologici e clinici relativi al farmaco che viene immesso in commercio con una denominazione speciale. Non rientrano nella nozione di specialità i medicinali preparati nella farmacia ospedaliera destinati all'impiego nell'ospedale e quelli preparati in farmacia in base a prescrizioni mediche o alle indicazioni della farmacopea ufficiale; non sono specialità medicinali i preparati galenici magistrali, ossia farmaci preparati direttamente dal farmacista in base a prescrizioni mediche o alle indicazioni riportate nella farmacopea ufficiale. Diversamente, si definiscono integratori alimentari quei prodotti alimentari specifici, assunti nella regolare alimentazione, volti a favorire l'assunzione di determinati principi nutritivi. In Europa, la normativa di riferimento è la Direttiva 2002/46/CE, attuata in Italia con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169. In questa normativa, gli integratori alimentari sono definiti precisamente come: "prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocom posti che pluricom posti, in forme predosate". 
Per le loro proprietà nutrizionali, vanno assunti entro limiti di sicurezza (upper safe leve!: UL), tenendo conto delle RDA (recommended dietary allowances). 
È consolidata l'affermazione secondo cui gli integratori alimentari sono prodotti alimentari e come tali: 
a) non possono vantare proprietà terapeutiche né capacità di prevenzione e cura di malattie (etichettatura, presentazione e pubblicità); 
b) sono soggetti alle norme in materia di sicurezza alimentare. Al fine di garantire la sicurezza dei prodotti e la corretta informazione ai consumatori, l'immissione in commercio di un integratore alimentare deve essere preceduta dalla comunicazione (notifica) al Ministero della Salute, che ne valuta la conformità alla normativa in vigore. 
Gli integratori alimentari che superano tale procedura di verifica sono inclusi in un Registro con uno specifico codice che può essere riportato in etichetta. Dunque, un integratore non è un farmaco, non una specialità medicinale e non può essere considerato un prodotto ad uso farmaceutico; ne deriva che il ricorrente non corrispose denaro e/o altra utilità allo scopo di agevolare la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico.
Questo però non significa che non possa essere individuata la fattispecie di altro reato.

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