martedì 28 agosto 2018

SABAUDIA: UNA PROPOSTA DI RETTIFICA DELLA DELIBERAZIONE CONSILIARE N. 18/2018 CONCERNENTE IL PIANO DELLE ALIENAZIONI E DELLE VALORIZZAZIONI IMMOBILIARI

Come era l'area sportiva di via Arezzo prima dell'abbandono
Com'è noto i beni patrimoniali indisponibili: Sono quei beni elencati nell'art. 826 del codice civile: foreste, miniere, cave, le cose di interesse storico, archeologico, e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Inoltre fanno parte del patrimonio dello Stato o rispettivamente della Regione, della Provincia o del Comune, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede degli uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico.

La giurisprudenza (Cassazione e giudici amministrativi) da anni ha assunto comportanti  costanti ed omogenei nel definire gli impianti sportivi comunali come rientranti tra i beni facenti parte del patrimonio indisponibile (Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza 13 nov. 1997, n. 11219; Cassazione n. 26402/2009 , n. 10199/1994, n. 1161/1989, 2212/1989 e TAR Lazio Roma, Sezione II, n. 2545/2013); ed essendo destinati al soddisfacimento dell'interesse proprio dell'intera collettività allo svolgimento delle attività sportive che vi hanno luogo.
A sua volta la Corte dei conti, Sezione  regionale di controllo per la Lombardia con delibera n. 172/2014 ha ritenuto quanto segue :  In particolare si ricorda come la Sezione regionale per il Veneto (Deliberazione n. 716/2012/PAR), ponendosi in linea di continuità con quanto già affermato da questa Sezione (cfr. in particolare Deliberazione n. 349/2011/PAR e precedenti ivi richiamati), ha chiaramente evidenziato come la deroga al principio generale di redditività del bene pubblico può essere giustificata “solo dall’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario di tali beni. A questo proposito, il Collegio ritiene opportuno chiarire che la sussistenza o meno dello scopo di lucro, inteso come attitudine a conseguire un potenziale profitto d’impresa, va accertata in concreto, verificando non solo lo scopo o le finalità perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a disposizione. […] La Sezione precisa, inoltre, che, oltre all'accertamento in concreto dell’assenza di uno scopo di lucro dell’associazione di interesse collettivo, ai fini di un corretta gestione del bene pubblico di cui si intende disporre a suo favore, qualsiasi atto di disposizione di un bene, appartenente al patrimonio comunale, deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza e pubblicità, che governano l’azione amministrativa nonché nel rispetto delle norme regolamentari dell’ente locale”.

Negli anni recenti il Parlamento ha approvato una serie di norme per agevolare il processo di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico nell'ambito del quale rilevano le misure introdotte dai seguenti articoli:
• 58 rubricato «Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali» del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria) che detta una disciplina generale
•33 rubricato «Disposizioni in materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare» del decreto legge n. 98/2011. Si tratta di una disciplina speciale che si applica esclusivamente se si vuole consentire la partecipazione del fondo dei fondi del Mef di cui all’art. 33
L'inserimento di un immobile nel piano delle valorizzazioni immobiliari ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale..

Ancora una volta devo tornare a scrivere sull'impianto sportivo sito in fondo a via Arezzo che per molti anni ha ospitato il Calcetto "Le Querce" dando la possibilità a molte persone di fare pratica sportiva in alcuni sport.
Una "manina" ha impropriamente inserito nell'allegato alla deliberazione del Consiglio comunale n. 18 in data 23 febbraio 2018 avente per oggetto. " Legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 58 - Piano delle Alienazioni e Valorizzazioni immobiliari Triennio 2018-2020 , tra i fabbricati interessati alla valorizzazione gli impianti sportivi di via Arezzo (n. 18) mentre tutti gli altri impianti sportivi sono inseriti correttamente nella sezione loro espressamente destinata
Sarebbe opportuno che in sede di aggiornamento del Piano fosse modificato il punto in questione anche al fine di evitare che l'immobile in questione possa essere oggetto di un project financing (come viene affermato)  che sottrarrebbe illegittimamente il bene all'utilizzo dei cittadini mettendolo a disposizione per qualche decennio di imprenditori privati.
Ancora una volta devo segnalare che l'Istituto di credito Sportivo, a seguito di un protocollo d'intesa con l'ANCI ha messo a disposizione dei finanziamenti a tasso zero per la ristrutturazione degli impianti sportivi dei comuni e che tale opportunità scadrà nel dicembre prossimo per cui sarebbe ora che venisse predisposto un progetto per accompagnare la richiesta. 
Infine l'ANAC con Delibera n. 1300 del 14 dicembre 2016 dopo aver ribadito che gli impianti sportivi sono  assoggettati al regime dei beni patrimoniali indisponibili i quali, ex art. 828 c.c. non possono essere sottratti alla loro destinazione. Su tali beni insiste, dunque, un vincolo funzionale, coerente con la loro vocazione naturale ad essere impiegati in favore della collettività, per attività di interesse generale e non vi è dubbio che la conduzione degli impianti sportivi sottenda a tale tipologia di attività (Consiglio di Stato n. 2385/2013). La gestione di tali impianti può essere effettuata dall’amministrazione competente oltre che in forma diretta anche in forma indiretta, mediante affidamento a terzi, individuati in esito ad una procedura selettiva. 
A tal riguardo l’Autorità ha osservato che l’affidamento a terzi della gestione di un impianto sportivo comunale deve essere inquadrato nella concessione di pubblico servizio,pertanto l’ente locale che intenda affidare a terzi tale gestione è tenuto, ai sensi dell’articolo 30, comma 3, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ad indire una procedura selettiva tra i soggetti qualificati in relazione al suo oggetto.
L’Autorità ha altresì affermato che l’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 2891 pur mostrando il favor del legislatore per l’affidamento degli impianti sportivi ai soggetti operanti nel settore dello sport, non consente un affidamento diretto degli stessi ma, in conformità alle norme ed ai principi derivanti dal Trattato, occorre procedere ad un confronto concorrenziale tra i soggetti indicati nella stessa disposizione normativa. Detto confronto concorrenziale, secondo le considerazioni svolte, deve essere effettuato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 30 del d.lgs. 163/2006.
Passando ad analizzare i quesiti formulati dalla FISG, in ordine alla disciplina dei contratti pubblici oggi dettata dal d.lgs. 50/2016, si rappresenta quanto segue.
In via preliminare si osserva che quanto alla natura del bene “impianto sportivo”, la giurisprudenza più recente (Consiglio di Stato sez. V 26/7/2016 n. 3380) conferma il consolidato orientamento (richiamato anche dall’Autorità nel parere sulla normativa sopra citato) a tenore del quale gli impianti sportivi di proprietà comunale appartengono al patrimonio indisponibile dell’ente, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive. 
La gestione di tali impianti può essere effettuata dall’amministrazione competente in forma diretta oppure indiretta, mediante affidamento a terzi individuati con procedura selettiva. 
A tal riguardo, in ordine alle modalità di affidamento di tale gestione, alla luce delle intervenute disposizioni del d.lgs. 50/2016, occorre distinguere tra impianti con rilevanza economica ed impianti privi di rilevanza economica. Laddove gli impianti sportivi con rilevanza economica sono quelli la cui gestione è remunerativa e quindi in grado di produrre reddito, mentre gli impianti sportivi privi di rilevanza economica sono quelli la cui gestione non ha tali caratteristiche e va quindi assistita dall’ente. Più in particolare «ai fini della definizione della rilevanza economica del servizio sportivo è necessario distinguere tra servizi che si ritiene debbano essere resi alla collettività anche al di fuori di una logica di profitto d’impresa, cioè quelli che il mercato privato non è in grado o non è interessato a fornire, da quelli che, pur essendo di pubblica utilità, rientrino in una situazione di mercato appetibile per gli imprenditori in quanto la loro gestione consente una remunerazione dei fattori di produzione e del capitale e permette all’impresa di trarre dalla gestione la fonte della remunerazione, con esclusione di interventi pubblici» (TAR Lazio, 22 marzo 2011 n. 2538). 
Come evidenziato dalla Federazione istante, nel settore sportivo sussistono diverse tipologie di impianti, distinte per bacino d’utenza, per grandezza, per attività alle quali sono deputati; pertanto, la redditività di un impianto sportivo deve essere valutata caso per caso, con riferimento ad elementi quali i costi e le modalità di gestione, le tariffe per l’utenza, le attività praticate. 
In ragione di ciò la gestione dei predetti impianti può essere ascritta alla categoria delle concessioni di servizi se ricorrono gli elementi a tal fine indicati dal legislatore.
Si osserva al riguardo che il d.lgs. 50/2016 definisce la concessione di servizi all’art. 3, comma 1, lett. vv) come «un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi». Il rischio operativo, come precisato alla successiva lett. zz) è «il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito al concessionario. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile».
Il Codice dedica alle concessioni (di lavori e) di servizi la Parte III, prevedendo per le stesse una specifica disciplina, così introducendo un regime differente rispetto alle previsioni del d.lgs. 163/2006 che escludeva, all’art. 30, l’applicabilità del Codice per le concessioni di servizi e prevedeva la scelta del concessionario nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici.
Il d.lgs. 50/2016 prevede, ora, all’articolo 164, comma 2, che alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione. Il successivo comma 3 specifica inoltre che «I servizi non economici di interesse generale non rientrano nell’ambito di applicazione della presente Parte». 
Dunque, ove la gestione di impianti sportivi possa essere qualificata in termini di “concessione di servizi” secondo le indicazioni fornite dall’art. 3 del Codice, la stessa dovrà essere aggiudicata nel rispetto delle parti I e II del Codice stesso (per quanto compatibili).
Nel caso in cui gli impianti siano privi di rilevanza economica (nel senso in precedenza indicato), come chiarito dal comma 3 dell’art. 164, l’affidamento non può avvenire in applicazione delle disposizioni dettate per le concessioni dalla Parte III del Codice. 
Conseguentemente occorre chiarire se in tali casi debba trovare applicazione la disciplina in tema di appalti di servizi o se, invece, debba essere esclusa l’applicazione del Codice, come ipotizzato dall’istante sulla base del tenore letterale del citato art. 164, comma 3.
A tal fine occorre sottolineare che, secondo il “vocabolario comune per gli appalti pubblici (CPV)” (Reg. (CE) n. 2195/2002, come mod. dal Reg. (CE) n. 213/2008), il codice CPV “92610000-0” è riferito ai “Servizi di gestione di impianti sportivi”. Detto CPV è attualmente ricompreso nell’Allegato IX (Servizi di cui agli articoli 140, 143 e 144) del d.lgs. 50/2016, nella categoria “servizi amministrativi, sociali, in materia di istruzione, assistenza sanitaria e cultura”. 
Si tratta, pertanto, di un appalto di servizi poiché oggetto dell’affidamento è la gestione dell’impianto sportivo, quale servizio reso per conto dell’amministrazione ed in assenza di rischio operativo (secondo le definizioni contenute nell’art. 3 del Codice). 
Discende da quanto sopra, che la gestione degli impianti sportivi privi di rilevanza economica, sottratta alla disciplina delle concessioni di servizi, deve essere ricondotta nella categoria degli “appalti di servizi”, da aggiudicare secondo le specifiche previsioni dettate dal Codice per gli appalti di servizi sociali di cui al Titolo VI, sez. IV.
Resta ferma, inoltre, la disciplina di cui all’art. 36 per gli affidamenti di importo inferiore alle soglie di cui all’art. 35.
Si ritiene pertanto, che a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice, che ha dettato una specifica disciplina per le concessioni di servizi e che ha incluso la “gestione degli impianti sportivi” nell’Allegato IX del Codice, quale appalto di servizi, debba ritenersi superata e non più applicabile la previsione di cui all’art. 90, comma 25 della l. 289/2002, sopra richiamato, dettata in un differente contesto normativo. 
Infine, per quanto riguarda la distinzione tra affidamento della gestione degli impianti sportivi fissi e degli impianti sportivi mobili, evidenziata dall’istante, confermando per i primi le considerazioni svolte in precedenza, con riferimento agli impianti mobili (definiti come spazi pubblici concessi dall’ente per lo svolgimento di manifestazioni o eventi sportivi), sembra opportuno sottolineare, in linea generale, che i servizi sportivi (CPV 92600000-7), i servizi connessi allo sport (CPV 92620000-3), i servizi di promozione di manifestazioni sportive (CPV 92621000-0) e i servizi di organizzazione di manifestazioni sportive (CPV 92622000-7), sono inclusi, come i servizi di “gestione degli impianti sportivi” nell’Allegato IX del d.lgs. 50/2016, pertanto gli stessi, quali appalti di servizi, devono essere affidati nel rispetto delle disposizioni del Codice sopra richiamate. 
Nel caso in cui l’ente debba concedere esclusivamente l’uso di spazi pubblici per consentire lo svolgimento di eventi, tale fattispecie non rientra nell’ambito di applicazione del Codice, ma costituisce una concessione amministrativa di beni pubblici, da affidare comunque con procedura ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza, di concorrenza, di parità di trattamento e di non discriminazione (Corte dei conti, parere n. 4/2008, Cons. Stato, sez. VI, 30.09.2010, n. 7239; Cons. Stato, sez. VI, 25.01.2005, n. 168).

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