venerdì 12 giugno 2015

ALCUNI CONSIGLI AD UN SINDACO PER REGOLARE I CONTATTI DEGLI AMMINISTRATORI E DEI FUNZIONARI CON LOBBISTI ECC.

I recenti fatti avvenuti in vari Comuni, tra i quali quello in cui sono nato, mi hanno profondamente addolorato in quanto mettono in luce ancora una volta la scarsissima attenzione da parte della Pubblica Amministrazione Locale (ma quella centrale non è da meno) al problema della prevenzione della corruzione. A differenza delle grandi democrazie del nord Europa, come la Norvegia, Svezia, la Danimarca, in Italia il lobbismo non è ancora regolamentato, anche se da alcuni mesi giacciono insabbiate nelle commissioni ben 11 proposte (S.1782, S.1632, S.1522, S.1191, S. 992, S. 643, ecc.); com’è noto, il nostro Paese si è collocato ancora una agli ultimi posti in Europa per livello di trasparenza del settore nella recente ricerca condotta da Transparency International (Lobbying in Europe). Il lobbying è un fenomeno estremamente diffuso in Italia, ma al tempo stesso difficile da analizzare. Nonostante i lobbisti giochino un ruolo chiave nel processo democratico, non esiste alcun tipo di legge o regolamentazione al riguardo. Le uniche iniziative esistenti nel panorama nazionale sono nate all’interno di un singolo Ministero (Ministero delle Politiche Agricole, alimentari e Forestali nel 2012) o di singole regioni (Toscana nel 2002, Molise nel 2004, Abruzzo nel 2010). Fin dagli anni '70 in Svezia ogni funzionario era tenuto a tenere un registro degli incontri con persone esterne e ad indicare il motivo dell’incontro. Da noi non se ne parla nemmeno lontanamente. Dalle cronache di questi giorni si apprende di contatti quasi quotidiani tra titolari di imprese che aspiravano a prendere appalti comunali o con intermediari con amministratori comunali di Roma. Allo scopo di regolamentare la materia già da tempo Transparency International ha presentato delle raccomandazioni al Parlamento, ma non sono state ancora accolte. Nel report “Lobbying e democrazia: la rappresentanza degli interessi in Italia” Transparency International ha analizzato e valutato tre dimensioni per governare il lobbying:
- Accesso da parte dei cittadini alle informazioni sui lobbisti (trasparenza)
- Adeguatezza degli standard di comportamento dei lobbisti e dei politici (integrità)
- Apertura alla partecipazione nel processo decisionale (parità di accesso).
I risultati dell’analisi fatta da Transparency International Italia confermano l’assoluta mancanza di questi tre elementi (trasparenza, integrità e parità di accesso) nel nostro Paese: conseguentemente il giudizio complessivo assegnato all’Italia è pari a 20 su 100, al terzultimo posto in Europa, secondo il rapporto internazionale “Lobbying in Europe – Hidden Influence, Privileged Access”.
Per questo motivo Transparency International Italia ha chiesto ai parlamentari di approvare al più presto una legge sul lobbying che comprenda i seguenti 4 punti: 
REGISTRO PUBBLICO: istituzione di un registro pubblico dei lobbisti, garantito da un’autorità super partes, come ad esempio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (meglio l’ANAC). Il registro deve essere obbligatorio, pubblico e rispettare i più elevati standard internazionali di trasparenza e rendicontazione.

TRASPARENZA DEL PROCESSO LEGISLATIVO: completa apertura al pubblico del processo legislativo (c.d. legislative footprint), soprattutto per quanto riguarda le primissime fasi dell’iter normativo e nella fase cruciale in cui le proposte di legge passano nelle Commissioni Parlamentari.

TRACCIABILITÀ DEGLI INCONTRI: i parlamentari devono avere l’obbligo di rendere pubblici i dettagli degli incontri con lobbisti e gruppi di interesse. Ciò deve avvenire anche grazie ad un più attento controllo degli accessi al Parlamento ed ai palazzi istituzionali, che devono essere registrati e aperti alla consultazione online dei cittadini.
CONFLITTO DI INTERESSI E PORTE GIREVOLI: introduzione di specifiche norme per regolamentare i conflitti di interesse ed in particolare il cosiddetto fenomeno delle “porte girevoli” (revolving doors). Ciò significa prevedere dei “periodi di attesa” al termine del mandato o incarico per politici ed alti funzionari pubblici, durante i quali non può essere loro consentito di effettuare attività di lobbying nei confronti dell’istituzione in cui hanno svolto precedentemente le proprie funzioni.

Naturalmente questi principi possono essere estesi anche all’amministrazione degli enti locali (e perché no, anche alle ASL dove molti dirigenti vengono assunti da imprese private o case di cura).
Ogni ente locale, anche in assenza di norme specifiche potrebbe introdurre un sistema di regolamentazione del lobbying con poche decisioni:
- Istituzione di un registro dei portatori di interesse
- Tracciabilità degli incontri tra lobbisti e decisori politici ma anche con i funzionari
- Trasparenza del processo deliberativo e di quello delle determinazioni
- Regolamentazione dei conflitti di interesse (con l’introduzione di “periodi di attesa” per passare da un ruolo di politico o di alto funzionario pubblico alla professione di lobbista, e viceversa o addirittura a dipendente delle imprese che lavorano per il Comune).
Naturalmente sarebbe opportuno che a livello legislativo fosse vietato che le imprese o i loro responsabili titolari di contratti con il Comune versassero contributi elettorali ai candidati e dovrebbe essere verificato dalla Commissione Trasparenza se anche durante la consiliatura non si sia verificata tale fattispecie.

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