Una sentenza del Consiglio di Stato, sezione III, molto interessante che riguarda l'attribuzione del premio di maggioranza nei comuni superiori a 15.000 abitanti è stata emessa il 19 febbraio scorso e reca il n. 1067.
Dopo una lunga premessa il Collegio ha argomentato quanto segue:
La materia del contendere ha ad oggetto le modalità di attribuzione del cd. premio di maggioranza alla lista o coalizione di liste collegate al sindaco eletto nei Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, così come disciplinate dall’art. 73, comma 10, T.U.E.L. n. 267/2000, con particolare riferimento all’ipotesi - contemplata dal secondo periodo - di elezione del sindaco al turno di ballottaggio e verificatasi nella vicenda elettorale qui oggetto di giudizio, relativa alle elezioni per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale del Comune di Avezzano, svoltesi l’11 e 25 giugno 2017.
Tale norma testualmente recita che “qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8”.
Nei tre giudizi riuniti, costituisce oggetto di controversia tra le rispettive parti l’interpretazione della clausola ostativa al riconoscimento del premio alla lista o al gruppo di liste collegate al sindaco eletto, correlata al superamento al primo turno, da parte di altra lista o gruppo di liste, del 50% dei “voti validi”, confrontandosi sul punto:
- la tesi degli appellanti (posta dall’Ufficio Elettorale Centrale a base del provvedimento impugnato in primo grado), secondo cui la locuzione “voti validi” comprenderebbe tutti i voti assegnati, sia al primo che al secondo turno, ai candidati alla carica di sindaco;
- e la tesi dei ricorrenti in primo grado ed odierni appellati (fatta propria dal T.A.R. con la sentenza gravata), secondo cui, invece, la locuzione de quafarebbe riferimento ai soli voti validi espressi nel primo turno elettorale.
Dall’adesione all’una piuttosto che all’altra opzione interpretativa discendono decisive conseguenze sulla individuazione – tra gli appellanti, sostenitori del candidato sindaco dichiarato vincitore, o, all’opposto, tra gli originari ricorrenti, appartenenti alla coalizione di liste collegate al candidato sindaco non eletto – degli aventi diritto alla carica di consigliere comunale, per effetto, nel caso di accoglimento della tesi degli appellati e di conferma della sentenza impugnata, della redistribuzione, secondo i criteri proporzionali di cui al comma 8 del citato art. 73, dei seggi altrimenti “assorbiti” dal premio di maggioranza.
Tanto premesso, va subito evidenziato che gli appelli (ma, di riflesso ed in chiave oppositiva, anche le deduzioni difensive degli appellati), si articolano in una pluralità di argomenti, afferenti a diversi approcci ermeneutici (sino a culminare nella richiesta di deferimento al Giudice delle leggi della profilata questione di costituzionalità) volti, singolarmente e complessivamente, a dimostrare la correttezza interpretativa della tesi “ampliativa”, quanto al senso da attribuire alla locuzione “voti validi”.
Al riguardo, il Collegio deve sottolineare la decisività dell’esegesi letterale della disposizione, in quanto questo Consiglio ha già in passato affermato – a proposito delle norme di carattere elettorale dettate dal T.U. n. 267 del 2000 – che gli argomenti sistematici volti a privilegiare determinate esigenze di rango politico-amministrativo devono comunque cedere ai rilievi fondati su di una stretta interpretazione delle norme elettorali medesime: si veda, in tal senso, la sentenza Sezione V 03/05/2005, n. 2105, che si è così espressa a proposito di una questione coinvolgente sempre il secondo turno di ballottaggio e per certi versi analoga a quella qui sottoposta al Collegio, anche se focalizzata sull’esercizio della funzione di minoranza consiliare (là: provinciale), invece che sulle esigenze di governabilità e di una stabile maggioranza (qui: “del Sindaco”).
In entrambi i casi ne risulta implicata la dialettica maggioranza-minoranza all’interno di un organo elettivo e, dunque, la funzionalità istituzionale di quest’ultimo (non per caso, durante le discussioni orali - comuni ad identico contenzioso riguardante il Comune di Lecce - tanto in sede cautelare, quanto all’odierna udienza pubblica, da parte di molti difensori intervenuti è stata evocata l’immagine, cara a ordinamenti stranieri, dell’<anatra zoppa>): ebbene - a fronte di argomenti che invocavano l’esigenza di formazione di coalizioni in grado di preludere ad una maggiore omogeneità e compattezza della minoranza nel futuro consiglio provinciale per giustificare la prededuzione del seggio per il candidato presidente non eletto dai seggi complessivamente conquistati dai gruppi collegatisi al secondo turno - la richiamata sentenza n. 2105/2005 ha espressamente attribuito prevalenza al dato letterale dell’art. 75 TUEL.
A maggior ragione, poi, deve intendersi di stretta interpretazione l’inciso, che viene qui in rilievo, del secondo periodo del comma 10, riportato al precedente capo XIII.1, e cioè: “sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi).
Invero, tale inciso stabilisce un’eccezione (“sempreché”) alla regola generale dettata al primo periodo dello stesso secondo comma e per la quale: “qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi”.
E come ogni disposizione di carattere eccezionale, anche questa deve essere di stretta interpretazione.
Ebbene, il dato testuale che qui si tratta di interpretare si presenta inequivoco sotto il profilo letterale, in quanto:
i) la prima parte del secondo periodo del comma 10 stabilisce, per l’appunto, la regola generale dell’attribuzione del premio di maggioranza (del 60%) al Sindaco proclamato eletto al secondo turno, ove la/e lista/e ad esso collegata/e non abbia/no già (cioè, letteralmente: in precedenza, il che, nel caso di specie, non può essere altro che al primo turno) conseguito almeno la stessa percentuale del 60% dei seggi;
ii) la seconda parte di tale periodo introduce l’eccezione della non attribuzione del premio di maggioranza nel caso in cui un diverso schieramento politico/elettorale (espresso da una lista singola o da più liste collegate al primo turno) abbia già (di nuovo in precedenza, cioè storicamente prima del secondo turno di ballottaggio all’esito del quale il Sindaco è stato proclamato eletto) superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi;
iii) lungi dal costituire un corpus unico, tale periodo si articola, quindi, in due autonome e distinte proposizioni, la seconda delle quali posta, peraltro, in funzione di (eventuale) eccezione alla prima e, dunque, tale da risultare necessariamente in sé conchiusa;
iv) in siffatto contesto, l’aggettivo medesimo non può che grammaticalmente riferirsi al “primo turno” che lo precede di sole quattro parole e che è l’unico ad essere menzionato nella specifica frase recante l’eccezione alla regola generale; inoltre, l’unico soggetto di quest’ultima frase è esclusivamente “la lista o il gruppo di liste” e, dunque, esclusivamente a tale soggetto occorre riferire il seguito della frase stessa, senza che in essa possano irrompere altri soggetti quali i “candidati sindaci” posti al centro della prima parte del secondo periodo del comma 10, in cui è definita la sola regola generale;
v) per le stesse ragioni, anche l’espressione voti validi non può che essere letteralmente e unicamente riferita al medesimo primo turno, il quale è l’unico ad essere preso in considerazione dalla frase che contempla l’eccezione de qua;
vi) in conclusione, seguendo doverosamente il canone di stretta interpretazione nessuno “sconfinamento” dell’espressione “voto validi” può compiersi al di là del perimetro (primo turno) delimitato dalla disposizione eccezionale dettata dal legislatore nella seconda parte del secondo periodo del comma 10, sicché è da escludersi che essa possa essere intesa - in virtù di una, come si è visto, inammissibile interpretazione estensiva - come ricomprendente la sommatoria dei voti validi attribuiti, nei due turni, ai candidati sindaci.
La (stretta) interpretazione che precede ha trovato autorevole conferma in un passaggio (pur se costituente poco più di un obiter dictum) contenuto nella pronuncia della Corte costituzionale n. 275/2014, ampiamente richiamata dall’appellata sentenza del Tar L’Aquila.
Invero, nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legislazione trentina in tema di elezione degli organi delle amministrazioni comunali, il Giudice della leggi ha avuto modo - nella parte conclusiva del capo 3.1.2. in diritto della citata sentenza n. 275/2014 - di osservare testualmente che: “Né vi è bisogno, in Trentino-Alto Adige, di escludere l'assegnazione del premio di maggioranza nel caso in cui un'altra lista o gruppo di liste abbia già superato, al primo turno, il 50 per cento dei voti validi, secondo quanto disposto dal medesimo art. 73, comma 10, del TUEL. Neppure questa evenienza, infatti, potrebbe verificarsi in mancanza di voto disgiunto”.
Dunque, secondo il chiaro avviso della Corte, il suddetto comma 10 dispone inequivocabilmente che l’assegnazione del premio di maggioranza, in favore del rassemblement del Sindaco eletto al ballottaggio, non scatti in caso di superamento, al primo turno, del 50 per cento dei voti validi da parte di altro rassemblement.
Del resto, è noto il costante indirizzo della stessa Corte, la quale (cfr. da ultimo il capo 6 in diritto della sentenza n. 35/2017) “ha sempre riconosciuto al legislatore un'ampia discrezionalità nella scelta del sistema elettorale che ritenga più idoneo in relazione al contesto storico-politico in cui tale sistema è destinato ad operare, riservandosi una possibilità di intervento limitata ai casi nei quali la disciplina introdotta risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 1 del 2014, n. 242 del 2012, n. 271 del 2010, n. 107 del 1996, n. 438 del 1993, ordinanza n. 260 del 2002).
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Né può indurre a conclusioni diverse il ripetuto richiamo - operato specialmente dagli appellanti dei giudizi 7237 e 7238 del 2017 - alla sentenza di questa Sezione III, n. 2174 del 2017, in quanto detta pronuncia si rivela, ad una attenta lettura della complessiva vicenda processuale al culmine della quale è stata pronunciata, non pertinente, discutendosi in quella sede della computabilità nella nozione di “voti validi” - oltre che dei voti di lista - di quelli attribuiti (sempre al primo turno) ai candidati alla carica di sindaco (come agevolmente si evince dalla sentenza di primo grado: cfr. T.A.R. Marche, n. 593 del 28 ottobre 2016) e non venendo in rilievo la diversa questione, intorno alla quale ruota invece la presente controversia, relativa alla rilevanza ascrivibile ai voti espressi dagli elettori nel turno di ballottaggio.
E’ vero che la sentenza citata afferma (capo 5.1. in “diritto”) che <la peculiare legittimazione democratica che riviene al Sindaco dalla sua investitura diretta da parte del corpo elettorale (è) tale da escludere ogni distorsione del principio di rappresentanza per effetto della “valorizzazione”, ai fini che qui rilevano, del voti validi dallo stesso riportati nel turno di ballottaggio>: tuttavia, non solo le argomentazioni spese con la sentenza de qua appaiono riferibili esclusivamente alla questione della determinazione dei voti validi limitatamente al primo turno (come quella con la quale si afferma che <può ritenersi del tutto compatibile con il quadro costituzionale, in considerazione della possibilità di voto “disgiunto” al primo turno fra candidato Sindaco e liste collegate e della necessità di assicurare la governabilità dell’Ente locale al Sindaco democraticamente eletto, la previsione che assegna il premio di maggioranza sulla base dei voti validi conseguiti da quest’ultimo, e non solo dei voti riportati al primo turno dalle liste a questo collegate>), ma le stesse sono articolate in chiave meramente “confermativa” di un <pacifico e consolidato orientamento della giurisprudenza> (cfr. capo 5.2.), il quale, come si evince dalle sentenze che hanno concorso a formarlo, attengono appunto alla nozione di “voti validi” con esclusivo riferimento al primo turno elettorale.
Col che è da escludersi anche la ravvisabilità – allo stato – di orientamenti interpretativi difformi delle Sezioni del Consiglio di Stato sulla questione di cui si tratta e la conseguente necessità di deferirla all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, come pure prospettato nel corso della discussione orale “congiunta” dei “casi” Lecce e Avezzano, svoltasi all’odierna udienza pubblica.
Conclusivamente, i tre appelli riuniti sono da respingere.