La corte di cassazione con sentenza n.1625 del 28 gennaio scorso ha preso in esame i contratti di sale and lease back, una particolare operazione finanziaria in base al quale una parte cede un bene (per lo più un immobile) in proprietà ad una società finanziaria (impresa di leasing) da cui ottiene poi il godimento dello stesso in leasing e la possibilità di riscattare il bene in questione ad una specifica data futura. La funzione del contratto è essenzialmente quella di finanziamento ed, in correlazione ad essa, per lungo tempo si è dubitato della sua compatibilità con il divieto del patto commissorio. Questo tipo di contratto ha avuto notevole successo nella pratica soprattutto a causa dei notevoli vantaggi tributari che potevano lucrarsi per suo tramite. La regione Lazio a suo tempo per ottenere un finanziamento ha stipulato un contratto di questo tipo con scadenza al 7 marzo 2033 e, in particolare, la Regione vendeva alla società San.Im. S.p.A. (controllata al 100% dalla Regione) - la quale contestualmente dava in locazione alla Regione stessa - 56 complessi ospedalieri con cartolarizzazione dei crediti connessi al pagamento dei canoni di cui la Regione si faceva carico emettendo un mandato irrevocabile di pagamento. La stessa giurisprudenza di legittimità ha individuato, per distinguere il leasing puro da quello anomalo in quanto confliggente con il divieto di patto commissorio, tre essenziali criteri: l’esistenza di una situazione debitoria in capo all’impresa utilizzatrice verso la concedente, le difficoltà economiche della prima e la sproporzione tra corrispettivo e valore del bene: ma tali indici mancherebbero nella vicenda in esame. Ora la Cassazione ha affermato che il contratto è nullo, per illiceità della causa in concreto, nel caso in cui sia stato violato il divieto di patto commissorio, salvo che le parti, con apposita clausola (cd. patto marciano), abbiano preventivamente convenuto che al termine del rapporto - effettuata la stima del bene con tempi certi e modalità definite, tali da assicurare una valutazione imparziale ancorata a parametri oggettivi ed autonomi ad opera di un terzo - il creditore debba, per acquisire il bene, pagare l’importo eccedente l’ entità del suo credito, sì da ristabilire l'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni e da evitare che il debitore subisca una lesione dal trasferimento del bene in garanzia. Secondo la Corte di Cassazione perché la c.d. clausola marciana possa conseguire il ricordato effetto legalizzante del contratto di lease back, occorre pertanto che essa preveda, per il caso ed al momento dell'inadempimento ossia quando si attuerà coattivamente la pretesa creditoria (cfr. art. 1851 c.c. ), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta la quale a detti parametri farà riferimento (cfr. art. 1349 c.c. ), al fine della corretta determinazione dell’an e del quantum della eventuale differenza da corrispondere all'utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse modalità concrete di stima, purché siano rispettati detti requisiti. L'essenziale è che risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell'operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell'inadempimento, perché il surplus gli sarà senz'altro restituito. Non è invece necessario che la clausola marciana subordini, altresì, alla condizione del pagamento della differenza l'acquisizione del bene da parte del creditore: invero, così come per il divieto ex art. 2744 c.c. , anche la clausola marciana può essere in concreto articolata non solo nel senso di ancorare all'inadempimento il trasferimento della proprietà del bene, ma pure il consolidamento dell'effetto traslativo già realizzato, che si verificherà solo ove sia corrisposta l'eventuale differenza.
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