La discussione in corso sulla
riforma della Pubblica amministrazione, specialmente per la parte relativa agli
enti locali è fonte di preoccupazione in quanto da una parte muove verso una
motivazione di efficientamento, dall’altra rischia di creare, a mio avviso più
danni di quanti si pensa di eliminare. Le varie riforme che si sono
succedute in questi anni (anche se non hanno affrontato in maniera globale il
problema essendo tutte parziali: amministrazioni centrali, enti locali, sanità)
miravano tutte, almeno sulla carta a dividere in maniera chiara le
responsabilità della politica da quelle della dirigenza. Il principio era
chiaro, ma nei fatti questo risultato non è stato raggiunto. In molti casi sono state create
delle organizzazioni burocratiche elefantiache accanto ai Ministri ed ai
Direttori generali con staff super dimensionati (con dirigenti privi di
responsabilità di gestione, ma pagati quanto gli altri), lasciando gli uffici
di line talora privi del minimo
personale necessario. Per molti enti si prevede una
divisione di ruoli tra personale tecnico e amministrativo, ma spesso anche il
personale amministrativo deve svolgere una funzione che presuppone conoscenze
specifiche sull’attività dell’ente in cui lavora, altrimenti può avvenire
quanto accaduto quando furono sciolti i primi enti inutili e un alto dirigente
dell’UMA (Utenti Macchine Agricole) fu mandato al CONI a dirigere una Federazione
sportiva, senza oltretutto conoscere alcuna lingua straniera. Problemi ci possono essere anche
in strutture di ricerca o sperimentali dove per i dirigenti amministrativi è
importante la conoscenza del settore in cui lavorano. Per quanto riguarda la questione
specifica degli enti locali è proprio qui (per le dimensioni delle strutture e
per il fatto che ci troviamo di fronte ad enti territoriali), che si crea un
rapporto più diretto tra politica e cittadini, ma anche più stretto tra politica
e dirigenti. Certamente la situazione varia da
un ente locale all’altro in quanto quello che è vero a Roma, non vale per un
Comune di 50 abitanti. Probabilmente si dovrebbe agire sui
controlli interni (ancora troppo labili ed inefficienti) anche per dare una
maggiore autonomia e terzietà all’Organismo Indipendente di Valutazione che di
indipendente ha solo il nome venendo nominato dal Sindaco dal che ha origine la
difficoltà a fare una valutazione reale dei dirigenti più inclini ad assecondare
le voglie del primo cittadino. Gli enti locali oggi devono
essere gestiti come un’azienda con una veduta di alto livello che in grado di
migliorare la qualità della vita dei cittadini, di contribuire allo sviluppo
economico, con elevate conoscenze di economia e di ragioneria pubblica
applicata: di fatto il Sindaco deve essere un tuttologo e con lui i dirigenti,
ma nella maggior parte dei casi ci troviamo a persone che hanno fatto concorsi
in casa e che non si sono mai mossi dal loro paese. Un’altra questione è che proprio
per la tipologia dell’organizzazione dei piccoli Comuni, la maggioranza di
questi non dispone di dirigenti (ad eccezione del Segretario generale), per cui
la totalità dei compiti e la responsabilità dei settori è affidata a funzionari
di categoria “D” ai quali viene affidata dal Sindaco la posizione organizzativa
con procedure non sempre trasparenti. Personalmente non ho mai avuto
una grande considerazione della figura del Segretario generale in quanto, per
una serie di motivazioni, ma soprattutto per la formazione che gli viene
impartita (a mio parere inadeguata) e la loro tradizione di essere stati per
molto tempo alle strette dipendenze del Prefetto, troppo spesso si limitano a
fare i notai. Peraltro la proposta di
sopprimerli non mi trova d’accordo in quanto in questi ultimi anni, grazie in
parte al D.lgs 150/2009 ma specialmente all’ANAC a questi dirigenti sono state
attribuiti compiti e responsabilità rilevanti in materia di performance, di prevenzione
della corruzione e di partecipazione alla attività di controllo successivo da
parte della Corte dei Conti (artt. 148 e 148 bis TUEL). L’idea di fare un ruolo unico senza
dubbio consentirà di agevolare la mobilità tra i vari Comuni (che oggi è
complessa ma non impossibile) e di elevare la qualità della dirigenza, ma solo
se si potranno fare anche qui concorsi unici, aggiornamento comune, procedure
di mobilità trasparenti ecc. Anche il sindacato in tutti
questi anni ha accumulato delle colpe non contrastando adeguatamente le
deviazioni che si sono verificate in molte realtà. In ogni caso il ruolo unico della
dirigenza andrà bene nei comuni superiori a 50.000 abitanti che però
rappresentano una realtà molto ridotta. Le norme sulla fusione dei
piccoli Comuni ritardano ad avere applicazione per una notevole resistenza proprio
da parte delle piccole realtà che invece sono proprio quelle che potrebbero trarre
i maggiori benefici da tale nuova organizzazione. In sostanza su 8.101 Comuni italiani
la riforma troverebbe difficoltà di applicazione: da quelli inferiori a 500
abitanti a quelli di 19.999, sono 7.604, mentre il ruolo unico potrebbe essere
applicato agevolmente in quelli restanti (che sono pochi). Oggi nei Comuni sotto i 20.000
abitanti i dirigenti sono pochissimi per cui la rotazione interna è spesso quasi
impossibile e questo ostacolo sarebbe superato con il ruolo unico, ma il problema, come accennato si pone sempre per i titolari delle posizioni
organizzative il cui livello professionale, tranne pochissimi casi è molti
limitato. In ogni caso il ruolo unico per
gli enti locali deve essere studiato e la relativa mobilità deve essere
organizzato per fasce in analogia a quanto oggi avviene per i Segretari
generali, non essendo possibile che il dirigente del Comune di 10.000 abitanti
vada a fare il capo Dipartimento al Comune di Roma. Ancora una volta pur con intenti
senza dubbio lodevoli, si cerca di globalizzare la soluzione di problemi della
pubblica amministrazione centrale estendendoli anche ad altre amministrazioni,
come quelle locali che hanno funzioni e problemi ben diversi. Pertanto, poiché comunque si
condivide la necessità e l’urgenza di intervenire anche sulla dirigenza degli
enti locali, è auspicabile che sulla base di principi omogenei e condivisi, si
possa poi adottare singoli decreti legislativi delegati per ciascun comparto
per cercare di evitare troppa confusione, facendo in modo di:
- Sollecitare la fusione dei Comuni
- Definire una organizzazione standard per le
varie fasce di enti locali anche per agevolare il confronto dei costi ecc.
- Rafforzare i controlli interni e sottoponendoli
a verifica da parte della Corte dei Conti e dell’ANAC
- Garantire la funzione di terzietà all’OIV
facendo in modo che la sua nomina avvenga (come per il Collegio dei Revisori) mediante
sorteggio tra tutti quelli che sono iscritti ad un albo nazionale tenuto dall’ANAC
- Affidare alle Prefetture e al Dipartimento per la Funzione pubblica la verifica sullo
svolgimento da parte della politica delle funzioni di indirizzo e
programmazione (e non sull’affidamento degli appalti) e il rispetto della
ripartizione dei compiti
- Definire procedure standard per tutti i
provvedimenti amministrativi dato che nonostante il tempo trascorso quasi
nessun comune le ha approvate e pubblicate, creando gravi situazioni di scarsa
trasparenza
- Affrontare il problema delle modalità di attribuzione
della responsabilità dei Settori a persone prive della qualifica di dirigente
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