sabato 28 marzo 2015

IL RUOLO UNICO DELLA DIRIGENZA NEL DISEGNO DI LEGGE 1577 LA C.D. RIFORMA MADIA

La discussione in corso sulla riforma della Pubblica amministrazione, specialmente per la parte relativa agli enti locali è fonte di preoccupazione in quanto da una parte muove verso una motivazione di efficientamento, dall’altra rischia di creare, a mio avviso più danni di quanti si pensa di eliminare. Le varie riforme che si sono succedute in questi anni (anche se non hanno affrontato in maniera globale il problema essendo tutte parziali: amministrazioni centrali, enti locali, sanità) miravano tutte, almeno sulla carta a dividere in maniera chiara le responsabilità della politica da quelle della dirigenza. Il principio era chiaro, ma nei fatti questo risultato non è stato raggiunto. In molti casi sono state create delle organizzazioni burocratiche elefantiache accanto ai Ministri ed ai Direttori generali con staff super dimensionati (con dirigenti privi di responsabilità di gestione, ma pagati quanto gli altri), lasciando gli uffici di line talora privi del minimo personale necessario. Per molti enti si prevede una divisione di ruoli tra personale tecnico e amministrativo, ma spesso anche il personale amministrativo deve svolgere una funzione che presuppone conoscenze specifiche sull’attività dell’ente in cui lavora, altrimenti può avvenire quanto accaduto quando furono sciolti i primi enti inutili e un alto dirigente dell’UMA (Utenti Macchine Agricole) fu mandato al CONI a dirigere una Federazione sportiva, senza oltretutto conoscere alcuna lingua straniera. Problemi ci possono essere anche in strutture di ricerca o sperimentali dove per i dirigenti amministrativi è importante la conoscenza del settore in cui lavorano. Per quanto riguarda la questione specifica degli enti locali è proprio qui (per le dimensioni delle strutture e per il fatto che ci troviamo di fronte ad enti territoriali), che si crea un rapporto più diretto tra politica e cittadini, ma anche più stretto tra politica e dirigenti. Certamente la situazione varia da un ente locale all’altro in quanto quello che è vero a Roma, non vale per un Comune di 50 abitanti. Probabilmente si dovrebbe agire sui controlli interni (ancora troppo labili ed inefficienti) anche per dare una maggiore autonomia e terzietà all’Organismo Indipendente di Valutazione che di indipendente ha solo il nome venendo nominato dal Sindaco dal che ha origine la difficoltà a fare una valutazione reale dei dirigenti più inclini ad assecondare le voglie del primo cittadino. Gli enti locali oggi devono essere gestiti come un’azienda con una veduta di alto livello che in grado di migliorare la qualità della vita dei cittadini, di contribuire allo sviluppo economico, con elevate conoscenze di economia e di ragioneria pubblica applicata: di fatto il Sindaco deve essere un tuttologo e con lui i dirigenti, ma nella maggior parte dei casi ci troviamo a persone che hanno fatto concorsi in casa e che non si sono mai mossi dal loro paese. Un’altra questione è che proprio per la tipologia dell’organizzazione dei piccoli Comuni, la maggioranza di questi non dispone di dirigenti (ad eccezione del Segretario generale), per cui la totalità dei compiti e la responsabilità dei settori è affidata a funzionari di categoria “D” ai quali viene affidata dal Sindaco la posizione organizzativa con procedure non sempre trasparenti. Personalmente non ho mai avuto una grande considerazione della figura del Segretario generale in quanto, per una serie di motivazioni, ma soprattutto per la formazione che gli viene impartita (a mio parere inadeguata) e la loro tradizione di essere stati per molto tempo alle strette dipendenze del Prefetto, troppo spesso si limitano a fare i notai. Peraltro la proposta di sopprimerli non mi trova d’accordo in quanto in questi ultimi anni, grazie in parte al D.lgs 150/2009 ma specialmente all’ANAC a questi dirigenti sono state attribuiti compiti e responsabilità rilevanti in materia di performance, di prevenzione della corruzione e di partecipazione alla attività di controllo successivo da parte della Corte dei Conti (artt. 148 e 148 bis TUEL). L’idea di fare un ruolo unico senza dubbio consentirà di agevolare la mobilità tra i vari Comuni (che oggi è complessa ma non impossibile) e di elevare la qualità della dirigenza, ma solo se si potranno fare anche qui concorsi unici, aggiornamento comune, procedure di mobilità trasparenti ecc. Anche il sindacato in tutti questi anni ha accumulato delle colpe non contrastando adeguatamente le deviazioni che si sono verificate in molte realtà. In ogni caso il ruolo unico della dirigenza andrà bene nei comuni superiori a 50.000 abitanti che però rappresentano una realtà molto ridotta. Le norme sulla fusione dei piccoli Comuni ritardano ad avere applicazione per una notevole resistenza proprio da parte delle piccole realtà che invece sono proprio quelle che potrebbero trarre i maggiori benefici da tale nuova organizzazione. In sostanza su 8.101 Comuni italiani la riforma troverebbe difficoltà di applicazione: da quelli inferiori a 500 abitanti a quelli di 19.999, sono 7.604, mentre il ruolo unico potrebbe essere applicato agevolmente in quelli restanti (che sono pochi). Oggi nei Comuni sotto i 20.000 abitanti i dirigenti sono pochissimi per cui la rotazione interna è spesso quasi impossibile e questo ostacolo sarebbe superato con il ruolo unico, ma il problema, come accennato si pone sempre per i titolari delle posizioni organizzative il cui livello professionale, tranne pochissimi casi è molti limitato. In ogni caso il ruolo unico per gli enti locali deve essere studiato e la relativa mobilità deve essere organizzato per fasce in analogia a quanto oggi avviene per i Segretari generali, non essendo possibile che il dirigente del Comune di 10.000 abitanti vada a fare il capo Dipartimento al Comune di Roma. Ancora una volta pur con intenti senza dubbio lodevoli, si cerca di globalizzare la soluzione di problemi della pubblica amministrazione centrale estendendoli anche ad altre amministrazioni, come quelle locali che hanno funzioni e problemi ben diversi. Pertanto, poiché comunque si condivide la necessità e l’urgenza di intervenire anche sulla dirigenza degli enti locali, è auspicabile che sulla base di principi omogenei e condivisi, si possa poi adottare singoli decreti legislativi delegati per ciascun comparto per cercare di evitare troppa confusione, facendo in modo di:
- Sollecitare la fusione dei Comuni
- Definire una organizzazione standard per le varie fasce di enti locali anche per agevolare il confronto dei costi ecc.
- Rafforzare i controlli interni e sottoponendoli a verifica da parte della Corte dei Conti e dell’ANAC
- Garantire la funzione di terzietà all’OIV facendo in modo che la sua nomina avvenga (come per il Collegio dei Revisori) mediante sorteggio tra tutti quelli che sono iscritti ad un albo nazionale tenuto dall’ANAC
- Affidare alle Prefetture e al Dipartimento per la Funzione pubblica la verifica sullo svolgimento da parte della politica delle funzioni di indirizzo e programmazione (e non sull’affidamento degli appalti) e il rispetto della ripartizione dei compiti
- Definire procedure standard per tutti i provvedimenti amministrativi dato che nonostante il tempo trascorso quasi nessun comune le ha approvate e pubblicate, creando gravi situazioni di scarsa trasparenza
- Affrontare il problema delle modalità di attribuzione della responsabilità dei Settori a persone prive della qualifica di dirigente

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