Finalmente anche il Comune di Sabaudia si apre alla commemorazione del ricordo dell'orrenda tragedia delle foibe. la Biblioteca comunale ha deciso di mettere a disposizione degli utenti per la giornata di oggi tutte le pubblicazioni possedute (in verità ne esistono poche) sull'argomento. Ma è un segnale positivo dopo tante sollecitazioni svolte solo pochi anni fa da me perché fossero fatte delle manifestazioni per la giornata della memoria e per quella del ricordo. Due vicende terrificanti sull'ultima delle quali (ma solo in ordine di tempo) per troppi anni si è cercato di stendere un velo di silenzio.
Per comprendere meglio la questione occorre andare all'inizio del XX secolo quando nel Friuli convivevano numerose persone di etnie diverse: italiani, croati, serbi, sloveni. Il processo di nazionalizzazione avviato da Mussolini impose che in queste determinate zone dell’Italia venisse parlata soltanto la lingua italiana in pubblico, e che le persone slave che vivevano nel territorio italiano, mutassero i loro cognomi in altri di origine sempre italiana. Le imposizioni fasciste del 1922 alimentarono un diffuso malessere tra gli stranieri che abitavano il Friuli e gli altri territori dell’Italia. Pertanto iniziarono a formarsi delle vere e proprie organizzazioni antifasciste, appartenenti al regime social-comunista. La storia delle foibe ha origine proprio nel fallimento di queste politiche di integrazione imposte agli slavi, che iniziarono a coltivare un profondo odio nei confronti dello Stato italiano. Quando Hitler attaccò la Jugoslavia, divise i territori conquistati tra Italia e Germania. Le organizzazioni antifasciste si ribellarono, e lo Stato italiano fece costruire dei campi di lavoro dove venivano detenuti gli oppositori al regime.
Dopo l’armistizio dell’8 Settembre si creò un vuoto di potere e le organizzazioni comuniste slovene e croate iniziarono ad avere sempre più forza e controllo dei territori in cui risiedevano: fu in questo periodo storico in cui la strage delle foibe iniziò.
La prima ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell'armistizio dell?8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicarono contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturarono, massacrarono, affamarono e poi gettarono nelle foibe circa un migliaio di persone.
Ma la violenza aumentò nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupò Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci furono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini.
Una carneficina che testimonia l'odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione proseguì fino alla primavera del 1947, fino a quando venne fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia.
Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non era finito. Nel febbraio del 1947 l’Italia ratificò il Trattato di pace che pose fine alla Seconda guerra mondiale: l’Istria e la Dalmazia vennero cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone furono trasformate in esuli.
Scapparono dal terrore, non avevano nulla, solo bocche da sfamare, ma non trovarono in Italia adeguata accoglienza: la sinistra italiana non affrontò il dramma, appena concluso, degli infoibati, ma la stessa classe dirigente democristiana preferì non approfondire la tragedia delle foibe e così persino i neofascisti, furono poco propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Era una pagina della storia che un poco tutti volevano cancellare e che solo ora dopo tanti anni riusciamo ad affrontare.
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