Il Comitato nazionale per l'economia e il lavoro (vi ricordate, quello che un ragazzo voleva sopprimere?) ha pubblicato un nuovo quaderno in cui affronta la questione della spesa degli enti locali.
Secondo l'indagine del CNEL i comuni hanno ridotto le proprie spese amministrative di quasi il 6% fra il 2013 e il 2015, segno di una decisa efficacia delle politiche di spending review e fiscal compact.
E’ uno dei dati contenuti nel secondo Quaderno del Cnel dal titolo “Le performance dei servizi comunali: I servizi amministrativi e sociali nelle Regioni a statuto ordinario”, a cura di Emanuele Padovani, Professore associato di Public management & accounting all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Questo lavoro si propone di misurare i livelli di prestazione, o performancenell’accezione anglosassone ampiamente entrata nel vocabolario della pubblica amministrazione a seguito della c.d. Riforma Brunetta D.Lgs.150/09, delle amministrazioni comunali. In particolare, sono misurati i livelli di efficienza, intesa come costo per unità di servizio reso, ed efficacia, intesa come rapporto fra servizio reso e bisogno espresso, delle amministrazioni comunali delle regioni a statuto ordinario.
Nel 2015 le spese amministrative si sono attestate su 157 euro per abitante ma i Comuni sotto i 3.000 abitanti spendono circa un terzo di più rispetto alla media (210 euro) e richiedono il 60% in più di personale. Questo rileva la necessità di continuare sul fronte delle politiche volte all’incentivazione della fusione dei piccoli enti, anche considerando che i Comuni di medie dimensioni sono quelli che possiedono i livelli di efficienza più elevati (119 euro per abitante).
“Dalla misurazione dei livelli di performance delle amministrazioni comunali emergono interessanti informazioni” – afferma il prof. Emanuele Padovani, autore del Quaderno del Cnel - “che possono essere utili a sviluppare considerazioni da un lato per comprendere lo stato dei servizi comunali e dall’altro per ri-orientare le politiche pubbliche di rilievo strategico nazionale, quale lo sviluppo della competitività attraverso il completamento della riforma della pubblica amministrazione e il miglioramento delle politiche di welfare”.
Il Nord-ovest spende poco meno del sud, 169 euro contro 161, e si distacca notevolmente dal più efficiente nord-est, 127 Euro. La Liguria è la regione in cui si spende di più (229 Euro), la Puglia quella con il risultato migliore (117 Euro) davanti al Veneto (123 Euro). Tali differenze sono molto probabilmente dovute al diverso dimensionamento medio delle amministrazioni comunali (in Puglia la dimensione media è di circa 15.600 abitanti, contro i circa 8.400 abitanti medi del Veneto). A seguito della forte contrazione delle spese amministrative, pari ad oltre il 10%, le grandi città del Sud hanno costi pro capite addirittura più contenuti del nord, 107 Euro contro 121/122 Euro
“C’è la necessità di ribilanciamento/rifinanziamento per quegli enti che attualmente soffrono un sottodimensionamento dei servizi di staff amministrativo, come ad esempio i servizi di ragioneria, che ora devono fare i conti con l’armonizzazione contabile, a seguito delle cure dimagranti imposte dai tagli e dal blocco del personale degli ultimi anni”, sottolinea l’esperto.
“Sul fronte dei servizi sociali, invece, si evidenziano due tipi di situazioni contrastanti: nord-sud e centro-periferia. I Comuni grandi sono trasversalmente i più problematici, mentre i piccoli sono quelli in cui, indipendentemente dalla collocazione geografica (ad eccezione del sud), il bisogno di servizi sociali è più contenuto”, rileva Padovani.
“Il modello di riferimento, che garantisce la massima efficacia, è quello dei Comuni al di sopra dei 50.000 abitanti del nord-est, in cui si investono molte risorse finanziarie provenienti dalla fiscalità generale e si raggiunge il maggior numero di utenti e beneficiari di contributi in relazione alla dimensione demografica” – continua il professore – “All’opposto, i grandi Comuni del sud sono i più problematici poiché pur investendo una quantità di risorse della fiscalità generale più elevata della media (comunque inferiori di circa il 30% rispetto ai comuni del Nord-est e 15% rispetto ai comuni del Centro) non riescono a rispondere alle esigenze della loro comunità locale”.
“Sembrerebbe poi che i comuni di medie dimensioni, fatta eccezione per l’area Sud, costituiscano la dimensione amministrativa/sociale ottimale sul fronte dei servizi sociali: i migliori contesti socio-economici consentono un minor investimento di risorse finanziarie. Anche in questo caso, quindi, l’evidenza empirica suggerisce l’avanzamento delle politiche volte a incentivare le fusioni fra enti comunali di ridottissime dimensioni verso una dimensione ottimale più ampia”, conclude il professore.
Un modello al quale tendono i territori regionali di Piemonte e Umbria è di tipo “parsimonioso-efficace”, in cui a fronte di risorse della fiscalità generale contenute si ottengono buon risultati di efficacia; un altro modello delineato è quello “dispendioso-molto efficace” di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia. Dove ci si potrebbe auspicabilmente e strategicamente collocare? Molto dipende dalle capacità finanziarie dei contribuenti, che dipendono necessariamente dal contesto. Qualora si potesse, come auspicato più sopra, ottenere l’informazione relativa alla spesa al lordo delle contribuzioni dell’utenza, si potrebbero avere maggiori elementi valutativi per poter rispondere in modo compiuto alla domanda. Il modello “dispendioso-non efficace” della Basilicata è probabilmente da abbandonare.
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