Il TAR del Lazio, Roma, Sez. III ha pronunciato una interessante sentenza in materia di riversamento di acque reflue in una vertenza che ha visto da una parte l'ACEA e dall'altra la Provincia di Roma.
Al riguardo è stato osservato che l’art. 11 del PTAR (Piano di Tutela delle Acque regionali) prescrive espressamente che in presenza di uno scarico che vada ad immettersi in un corpo idrico ricadente in un bacino idrografico:
- occorre accertare se il predetto scarico possa peggiorare lo stato di qualità delle acque del bacino idrografico;
- nel caso in cui venga accertato che lo scarico può peggiorare lo stato di qualità delle acque, i reflui devono subire un ulteriore trattamento di disinfezione U.V.-;
- è, tuttavia, di competenza della Giunta Regionale, l'individuazione degli impianti che dovranno provvedere alla suddetta disinfezione U.V.
La sentenza in esame ha anche affermato che uno scarico costituisce refluo urbano in grado di peggiorare lo stato di qualità delle acque, la prescrizione dei limiti imposti... deve ritenersi rispondente al “principio di precauzione”, enunciato nell'art.3 ter del d.lgs. 152/2006, secondo cui “la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell'articolo 174, cominci 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”. Il richiamato principio di precauzione, invero, impone alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione.
L’applicazione del principio di precauzione comporta, quindi, che ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 18 maggio 2015, n. 2495; idem,Sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525).
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