domenica 14 gennaio 2018

LA CASSAZIONE RITORNA SULLA TARI DELLE AREE DI DEPOSITO

Con la Sentenza n. 26637 del 10 novembre 2017 la Corte di Cassazione ha affrontato un annoso problema riguardante la tassazione ai fini Tari dei residui prodotti in un deposito, affermandone la impossibile loro qualificazione come residui del ciclo di lavorazione, così da rendere ininfluente la loro definizione o meno tra i rifiuti assimilati agli urbani. 
In particolare, la Suprema Corte osserva che, estendendo alla Tari l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di Tarsu, con riguardo all’art. 62, comma 3, del Dlgs. n. 507/13, la Tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, salva l'applicazione sulla stessa di un «coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi» e chiaramente presuppone l'assoggettamento all'imposta dei soli rifiuti urbani e salvo il diritto ad una riduzione della tassa in caso di produzione di rifiuti assimilati « smaltiti in proprio» (Cass. n. 6359 del 2016).
La Corte ha recentemente precisato che "i residui prodotti in un deposito o magazzino non possono essere considerati residui del ciclo di lavorazione, per cui risulta ininfluente che possano essere qualificati o meno come rifiuti assimilati agli urbani. Secondo la giurisprudenza della Corte, la esenzione o riduzione delle superfici tassabili deve intendersi limitata a quella parte di esse su cui insiste l'opificio vero e proprio, perché solo in tali locali possono formarsi rifiuti speciali, per le specifiche caratteristiche strutturali relative allo svolgimento dell'attività produttiva, mentre in tutti gli altri locali destinati ad attività diverse, i rifiuti devono considerarsi urbani per esclusione, salvo che non siano classificati rifiuti tossici o nocivi, e la superficie di tali locali va ricompresa per interno nell'ambito della superficie tassabile (uffici, depositi, servizi ecc. ),  inoltre tale classificazione costituisce accertamento di fatto, riservato al giudice del merito" (Cass. n. 26725 del 2016). 
L'impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti e non dalla contingente e soggettiva modalità di utilizzazione dei locali. La Corte ha precisato che: « La situazione che legittima l'esonero si verifica allorquando l'impossibilità di produrre rifiuti dipende dalla natura stessa dell'area o del locale, ovvero dalla loro condizione di materiale ed oggettiva inutilizzabilità ovvero dal fatto che l'area ed il locale siano stabilmente, e cioè in modo permanente e non modificabile, insuscettibili di essere destinati a funzioni direttamente o indirettamente produttive di rifiuti. La funzione di magazzino, deposito o ricovero è invece una funzione operativa generica e come tale non rientra nella previsione legislativa» (Cass. n. 19720 del 2010). Al riguardo, la Corte, con sentenza n. 2814 del 2005 ha esplicitamente affermato che «i magazzini, qualora siano destinati al ricovero di beni strumentali o delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio, concorrono all'esercizio dell'impresa e vanno perciò riguardati come aree operative, al pari degli stabilimenti o dei locali destinati alla vendita». 
Qui trovate la sentenza integrale

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