E' frequente da parte di molti Comuni l'affidamento a imprese o professionisti esterni di determinate attività attenenti a funzioni pubbliche essenziali.
Relativamente alla esternalizzazione dei servizi degli Enti locali, vale la pena di evidenziare che la norma di riferimento è quella contenuta nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (c.d. TUPI), recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, che all’art.6-bis detta specifiche disposizioni in materia di misure in materia di organizzazione e razionalizzazione della spesa per il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.
Al riguardo la Corte dei conti, sezione di controllo della regione Friuli Venezia Giulia con deliberazione n. 4/2017/PAR in base alla normativa vigente ha ritenuto che l’ambito di estensione dell’istituto concernente l’esternalizzazione dei servizi locali può riguardare solo i cosiddetti servizi pubblici di rilevanza economica, rimanendo però escluse da tali fattispecie le funzioni pubbliche essenziali che il Comune deve svolgere direttamente tramite le proprie strutture, non potendo le medesime essere appaltate a soggetti esterni, in quanto si tratta di funzioni strettamente connaturate al soggetto pubblico che ne è titolare.
In tal senso, ha avuto modo di esprimersi anche la Sezione regionale di controllo per la Lombardia con il parere n.355/2012/PAR con cui si è affermato che “in via preliminare, si rammenta che ogni la scelta amministrativa, quando realizzata spendendo la capacità negoziale di diritto comune dell’ente (art. 1 e 1-ter della L. n. 241 del 1990), presuppone due momenti volitivi distinti, articolabili in una fase pubblicistica, di carattere prodromico, e una propriamente negoziale: la prima è sostanzialmente riconducile alla determinazione a contrarre, fase preliminare di ogni procedura ad evidenza pubblica. La struttura bifasica dell’agire di diritto comune degli enti pubblici è stata messa in evidenza dal Consiglio di Stato, nell’Adunanza Plenaria n. 10 del 2011: in tale arresto il Supremo Consesso amministrativo ha evidenziato che gli atti pubblicistici vanno, sul piano logico, cronologico e giuridico, tenuti nettamente distinti dai successivi atti negoziali cui sono prodromici. Nell’atto amministrativo si condensano le valutazioni sugli interessi pubblici (espressi dalla legge con l’indicazione degli scopi e dei limiti all’agire giuridico dell’amministrazione) che, sul piano negoziale, il più delle volte, rimangono estranei alla causa giuridica, segnalandosi come meri “motivi”, di norma irrilevanti per il diritto privato. Nel caso di negozi con cui si realizza un’esternalizzazione, la preliminare decisione pubblicistica deve riscontrare che la decisione di esternalizzare persegua l’efficientamento della p.a. e non si ponga in contrasto con i limiti ordinamentali, tanto di carattere interno, quanto di carattere esterno”.
Ne consegue che per gli Enti locali sarà possibile procedere all’attivazione di processi di esternalizzazione di servizi pubblici a rilevanza economica, purché tale scelta produca “economie di gestione”, precipuamente con riferimento ai servizi di cui agli articoli 112 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL - Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), dovendo invece necessariamente continuare ad essere svolte in via diretta tutte quelle attività che sono connaturate all’esistenza stessa dell’Ente.
In tal senso, ha avuto modo di esprimersi anche la Sezione regionale di controllo per la Lombardia con il parere n.355/2012/PAR con cui si è affermato che “in via preliminare, si rammenta che ogni la scelta amministrativa, quando realizzata spendendo la capacità negoziale di diritto comune dell’ente (art. 1 e 1-ter della L. n. 241 del 1990), presuppone due momenti volitivi distinti, articolabili in una fase pubblicistica, di carattere prodromico, e una propriamente negoziale: la prima è sostanzialmente riconducile alla determinazione a contrarre, fase preliminare di ogni procedura ad evidenza pubblica. La struttura bifasica dell’agire di diritto comune degli enti pubblici è stata messa in evidenza dal Consiglio di Stato, nell’Adunanza Plenaria n. 10 del 2011: in tale arresto il Supremo Consesso amministrativo ha evidenziato che gli atti pubblicistici vanno, sul piano logico, cronologico e giuridico, tenuti nettamente distinti dai successivi atti negoziali cui sono prodromici. Nell’atto amministrativo si condensano le valutazioni sugli interessi pubblici (espressi dalla legge con l’indicazione degli scopi e dei limiti all’agire giuridico dell’amministrazione) che, sul piano negoziale, il più delle volte, rimangono estranei alla causa giuridica, segnalandosi come meri “motivi”, di norma irrilevanti per il diritto privato. Nel caso di negozi con cui si realizza un’esternalizzazione, la preliminare decisione pubblicistica deve riscontrare che la decisione di esternalizzare persegua l’efficientamento della p.a. e non si ponga in contrasto con i limiti ordinamentali, tanto di carattere interno, quanto di carattere esterno”.
Ne consegue che per gli Enti locali sarà possibile procedere all’attivazione di processi di esternalizzazione di servizi pubblici a rilevanza economica, purché tale scelta produca “economie di gestione”, precipuamente con riferimento ai servizi di cui agli articoli 112 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL - Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), dovendo invece necessariamente continuare ad essere svolte in via diretta tutte quelle attività che sono connaturate all’esistenza stessa dell’Ente.
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