martedì 7 marzo 2017

CON L'UNITA' D'ITALIA FU INTRODOTTO UN NUOVO CODICE CIVILE, I DIRITTI DELLA DONNA CAMBIARONO, TALORA IN PEGGIO


Prima dell'Unità d'Italia nei vari Stati della penisola vigevano codici civili che erano in parte ispirati alla rivoluzione francese, in parte all'illuminismo ma in molti altri casi erano molto antiquati.
Nel Regno delle due Sicilie al cap. VI del Codice era previsto che "Il marito è in dovere di proteggere la moglie; la moglie di dipendere dal marito" e poi "La moglie non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del marito quando anche ella esercitasse pubblicamente la mercatura, o non fosse in comunione o fosse separata nei beni"
Negli Stati di Parma Piacenza e Guastalla la donna godeva di una situazione un poco migliore, mentre nel Lombardo Veneto la donna era molto più avanti grazie al fatto che era vigente il Codice dell'Austria Ungheria adottato nel 1811 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1816 ma fondato sui principi kantiani. E' l’unico codice ottocentesco che elimina l’autorizzazione maritale sugli atti – in costanza di matrimonio la donna gode sui beni patrimoniali una capacità patrimoniale pari a quella del marito (nonostante il regime dotale). La moglie può amministrare il patrimonio, compiere atti e stare in giudizio senza l’intervento del marito (si riconosceva la sua superiorità fisica e intellettuale anche come strumento di mantenimento dell’armonia famigliare e in qualità di capo della famiglia), c’era piena capacità di agire della donna con discostamento della tradizione romanistica (e quella del codice civile francese). Quindi regime di uguaglianza tra i coniugi maggiormente realizzato.
Con l'avvento del nuovo Codice Civile del regno d'Italia nel 1865 emanato a Firenze da Vittorio Emanuele II vengono introdotte (commi 134 e seguenti) norme molto arretrate per quanto riguardava i diritti della moglie che non poteva stare in giudizio né alienare i propri beni senza l'autorizzazione del marito per cui le donne che fino allora vivevano negli Stati dove c'erano norme più moderne si trovarono a dover subire un arretramento nella loro condizione.
Inoltre il lavoro femminile difficilmente veniva riconosciuto come tale: quasi tutte le donne occupate nell’agricoltura non venivano riconosciute come lavoratrici, a meno che non fossero titolari di una proprietà o di un contratto di affitto. Lo stipendio delle lavoratrici era in genere poco più della metà di quello dei lavoratori di sesso maschile. Poiché anche il lavoro dei bambini era assai diffuso, e sottopagato, prima della prima guerra mondiale furono emanate alcune leggi per tutelare "donne e fanciulli", quali soggetti deboli e sfruttati. I salari più bassi delle donne venivano percepiti dagli altri lavoratori come una forma di concorrenza sleale, e quindi le prime proposte di legge cercavano di garantire un minimo salariale alle lavoratrici, anche per "mantenere sul mercato" la manodopera maschile 
Le donne poi erano escluse dal godimento dei dritti politici;  ma benché Anna Maria Mozzoni  avesse fondato nel 1879 una Lega promotrice degli interessi femminili - che si batteva per il diritto di voto alle donne -, le prime femministe italiane si interessarono molto di più delle questioni sociali.
Dal punto di vista  dell’istruzione, soltanto nel 1874  fu permesso l’accesso delle donne ai licei e alle università, anche se nei fatti queste norme furono inizialmente osteggiate;   nel 1900, risultavano  iscritte all’università in Italia 250 donne, 287 ai licei, 267 alle scuole di magistero superiore, 1178 ai ginnasi e quasi 10.000 alle scuole professionali e commerciali.
Il fascismo con i suoi codici emanò norme retrive e punitive della donna.
Per arrivare al voto dopo qualche tentativo fallito durante l'era fascista per consentirgli il voto solo alle amministrative, si dovette attendere la Repubblica e l'anno 1945.
Poi sono arrivate le battaglie per modificare il codice civile, per il divorzio, per la parità di accesso agli uffici pubblici....in alcuni campi la parità è effettiva, in altri ci sono ancora problemi.

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