In base all’art. 97 della Costituzione, agli impieghi nelle P.A. si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
Possono accedere agli impieghi civili delle pubbliche amministrazioni i soggetti che posseggono i seguenti requisiti generali:
1) cittadinanza italiana. Tale requisito non è richiesto per i soggetti appartenenti alla Unione europea, fatte salve le eccezioni di cui al D.P.C.M. 7 febbraio 1994;
2) età non inferiore agli anni 18 e non superiore ai 40. Per i candidati appartenenti a categorie per le quali leggi speciali prevedono deroghe, il limite massimo non può superare, anche in caso di cumulo di benefici, i 45 anni di età. Il limite di età di 40 anni è elevato in misura variabile per gli aspiranti coniugati, per ogni figlio, per gli appartenenti a determinate categorie, ecc.
3) idoneità fisica all’impiego;
Norme particolari riguardano l’accesso a specifici profili professionali (categoria “D”)per i quali è richiesto il diploma di laurea, fatte salve le deroghe previste per legge.
Nel caso in cui il candidato abbia ottenuto l’assunzione senza essere in possesso dei requisiti e dei titoli previsti oltre a subire il licenziamento ex tunc (dato che l'atto è nullo) è tenuto alla restituzione degli stipendi indebitamente conseguiti.
La questione ha formato oggetto di una recente sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale della Regione Siciliana, n. 50/2018 la cui fattispecie riguardava la stabilizzazione di un dipendente che aveva dichiarato di essere in possesso dei requisiti di legge dei quali invece era privo.
Ancora una volta torna l'attenzione su queste procedure anomale di assunzione che poi costringono il Parlamento a varare norme per stabilizzare precario tra il quale si celano anche persone prive dei requisiti dimostrando ancora una volta come i titolari degli uffici preposti al reclutamento siano i primi responsabili per omessi controlli.
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