Le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture dei Comuni in questi anni sono state notevolmente migliorate al fine di contenere i costi nell’ambito della spending review, tanto cara al'economista Carlo Cottarelli ma anche per elevare il livello della qualità delle procedure mediante la creazione della CONSIP Spa.
Basta leggere il prezzo di acquisto di alcuni beni e andare a cercare il costo di un prodotto analogo sulle convenzioni CONSIP disponibili in quel momento. Il divario è spesso notevole.
Basta leggere il prezzo di acquisto di alcuni beni e andare a cercare il costo di un prodotto analogo sulle convenzioni CONSIP disponibili in quel momento. Il divario è spesso notevole.
Successivamente abbiamo assistito ad una ulteriore accelerazione grazie all’art. 9, comma 4 del D.L. n. 66/2014, convertito con Legge n. 89/2014 ha riformulato l’art. 33 del D.lgs 163/2006, introducendo il comma 33-bis in base al quale i Comuni non capoluogo di provincia dal 1° gennaio 2016 avrebbero dovuto procedere all’acquisizione di beni e servizi (dal 1° luglio 2016 per gli appalti di lavori) nell’ambito delle unioni dei Comuni, se esistenti, oppure costituendo un apposito accordo consortile (anche avvalendosi degli uffici delle province), ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore in base al DPCM 11 novembre 2014.
In particolare l’art. 37 del nuovo Codice dei contratti stabilisce che i Comuni, fermi restando gli obblighi di ricorso agli strumenti di acquisto e di negoziazione, anche telematici, previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, possono procedere sia direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000 euro e di lavori di importo inferiore a 150.000 euro, che attraverso l’effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle Centrali Uniche di Committenza (CUC).
Pertanto a decorrere dal 1° gennaio 2016 i Comuni non capoluogo di provincia devono effettuare gli acquisti superiori a 40.000 euro solamente:
- Ricorrendo a una Centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati previsti dall’art. 9, comma 2 del D.L. 66/2014 convertito con legge 89/2014.
- Mediante unioni di Comuni (o in subordine accordi consortili);
- Ricorrendo alla Stazione unica appaltante costituita presso le province e o le città metropolitane ai sensi della legge 56/2014; la legge finanziaria n. 206/2006 (articolo 1 comma 455) aveva già previsto la possibilità, per le regioni, di costituire centrali di acquisto che operino quali centrali di committenza, anche in favore degli enti locali aventi sede nel medesimo territorio.
Purtroppo molti enti locali, hanno pensato bene di aggirare la norma costituendo sì una centrale Unica di Committenza insieme ad altri Comuni, ma poi proseguendo a fare come prima, come se nulla fosse, eludendo così l’obbligo di legge.
Si tratta di un comportamento molto grave dal quale derivano affidamenti di lavori, servizi e forniture fatti a costi più elevati di quanto sarebbe stato possibile fare in sede di CUC oltre che una serie di proroghe dei contratti in essere assolutamente vietati dalla legge.
Naturalmente l’accertamento di dette fattispecie comporterà un conseguente danno erariale.
Meraviglia come i Collegi dei revisori sempre attenti a tante cose non vedano queste cose.
Questo tema viene affrontato dal prof. Cottarelli, direttore dell'Osservatorio Conti Pubblici italiani dell'Università Cattolica di Milano in un suo articolo apparso oggi su La Repubblica.
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