lunedì 9 aprile 2018

UNA ESEMPLARE SENTENZA DELLA CASSAZIONE PER UN CASO DI "STRAINING"

Anche nelle strutture pubbliche possiamo trovare casi di "straining" ma di che si tratta?
Lo Straining, dall’inglese “ to strain”, ha un significato molto simile a quello di “to stress”, stringere, distorcere, mettere sotto pressione e indica, infatti, una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima (il lavoratore), subisce da parte dell’aggressore (lo strainer) che solitamente è un superiore, almeno un’ azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo. 
Si possono avere così casi di  demansionamento, dequalificazione, isolamento o  privazione degli strumenti di lavoro: si tratta di situazioni stressanti che possono anche causare gravi disturbi psicosomatici, ma non di azioni ripetute nel tempo.
Già nel passato se ne era occupata la Cassazione Civile, Sez. lavoro, con sentenza 19/02/2016 n. 3291Con sentenza in data 23 settembre 2009, il Tribunale di Livorno, in accoglimento del ricorso proposto da M. L. nei confronti di un istituto bancario, ha accertato il diritto del ricorrente all'inquadramento nella categoria dirigenziale a decorrere dall'ottobre 2001 ed al relativo trattamento economico oltre alla regolarizzazione della posizione contributiva, con conseguente condanna della società alla corresponsione delle differenze retributive ed ha ritenuto essersi verificato un evento lesivo per la salute del ricorrente a causa dei comportamenti tenuti dalla resistente, condannando, quindi, la stessa al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
A seguito del ricorso presentato dalla Banca la Corte Suprema di cassazione ha ritenuto che la motivazione addotta dalla Corte territoriale appare perfettamente in linea con la giurisprudenza di legittimità in tema di "straining", atteso che i giudici di merito hanno adeguatamente motivato sulla situazione lavorativa conflittuale di stress forzato - accresciuto dall'allontanamento di  M.L.  dalla direzione generale, nonché dall'invio di lettere di scherno diffuse in banca - in cui il lavoratore avrebbe subito azioni ostili anche se limitate nel numero e in parte distanziate nel tempo (quindi non rientranti, tout court, nei parametri del mobbing) ma tali da provocare in lui una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni "stressogene" che
diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio (sul punto, Cass. n. 3291 del 2016).
Questo stress forzato, secondo la giurisprudenza di legittimità, (cfr.Cass. n. 3291 del 2016 cit.) può anche derivare, tout court, dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro ostile, per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo con conseguente violazione da parte datoriale del disposto di cui all'art. 2087 cod. civ..
Quindi, per quanto concerne il danno non patrimoniale, inteso come lesione del diritto al normale svolgimento della vita lavorativa ed alla libera e piena esplicazione della propria personalità sul luogo di lavoro - anche nel significato "areddituale" della professionalità - quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, la prova del cui pregiudizio può essere fornita anche con presunzioni (V. SU n. 2611 del 2017), le censure formulate dalla parte ricorrente attengono a valutazioni di merito non censurabili in sede di legittimità.
Anche con riguardo al danno alla professionalità da perdita di chances, il riferimento all'estromissione del Mieli da un settore strategico dell'azienda, nel quale stava progressivamente incrementando le proprie conoscenze tecniche e gestionali, e, quindi, l'impoverimento del proprio bagaglio professionale, qualificato dalla Corte in termini di portata patrimoniale della professionalità, che può essere dimostrata anche in via presuntiva ed in termini di calcolo delle probabilità (cfr., sul punto, fra le tante, Cass., n. 21544 del 2008) non consente una ingerenza valutativa del giudice di legittimità, tenuto conto del riferimento all'allontanamento dalla direzione generale, alla destinazione del ricorrente ad una agenzia di sole tre unità ed alla circostanza allegata secondo cui, presumibilmente, nessuno avrebbe conferito un incarico dirigenziale ad un dirigente appena rimosso.

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