Una interessante sentenza del TAR della Sicilia, Sezione di Palermo, n. 2039 del 9 agosto 2016 affronta il delicato tema delle "capanne" costruite sulla spiaggia dagli stabilimenti balneari
Si tratta di una sentenza molto articolata della quale qui riporto solo una parte:
"...se può affermarsi con certezza che nell'articolata normativa di settore manchi una disciplina specifica che preveda l’assoggettamento delle capanne stagionali in sé considerate al regime della concessione edilizia, deve però rilevarsi che la giurisprudenza amministrativa ha da sempre escluso la natura precaria dello stabilimento balneare; e ciò, nella considerazione che lo stesso non comporti una alterazione del territorio soltanto temporanea, precaria e irrilevante: mancherebbe infatti il requisito della precarietà funzionale, cioè la possibilità di una pronta rimozione dopo un uso contingente e momentaneo (TAR Ancona, 26 novembre 2015 n.862; Tar Liguria, 27 gennaio 2009 n.119; Tar Puglia (Lecce), Sez.I, 7 luglio 2005 n.3650; TAR Veneto sez. II 10 luglio 2003 n. 3691; Tar Marche, 18/04/1985 n.118). Il Consiglio di Stato ha, poi, ritenuto necessaria la concessione edilizia per costruzioni destinate ad attività stagionali, che, seppure non infisse al suolo, ma solo aderenti ad esso in modo stabile, sono destinate ad una utilizzazione perdurante nel tempo, anche se intervallate da pause stagionali; in tal caso l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, sez. V, 24.2.1996, n. 226).
Deve poi osservarsi che un chiaro riferimento alla necessità del titolo edilizio è offerto dalla l.r. n.15 del 2005, la quale all’art.1 stabilisce che “la concessione dei beni demaniali marittimi può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, per l'esercizio delle seguenti attività: a) gestione di stabilimenti balneari […]” (comma 1).
Il successivo comma 4 stabilisce che, ai fini di quanto stabilito dalla stessa legge, le “opere […] destinate alla diretta fruizione del mare quando previste nei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime […]” sono soggette ai “provvedimenti edilizi abilitativi […]”.
Pertanto, fermo restando quanto sopra già rilevato in ordine alla inapplicabilità della suddetta disciplina alle aree già oggetto di concessione, sul punto la disposizione sembra avere natura meramente ricognitiva in ordine all’assoggettamento delle opere di cui trattasi a “provvedimenti edilizi abilitativi” rilasciati dai comuni competenti per territorio.
In tale prospettiva, non appare dirimente la distinzione tra “stabilimento balneare” inteso come complesso di strutture precarie e non, funzionali al servizio della balneazione, e le singole capanne in legno (o in materiale prefabbricato) atteso che, secondo la condivisibile definizione offerta dalla giurisprudenza, la necessità del titolo edilizio riguarda tutte le strutture coperte destinate alla suddetta attività stagionale che, seppure non infisse al suolo, ma solo aderenti in modo stabile, sono destinate ad una utilizzazione perdurante nel tempo, anche se intervallate da pause stagionali.
Nel caso in esame deve, pertanto, ritenersi che le capanne in legno costituiscano strutture precarie (nel senso già precisato) funzionali all’esercizio di attività di balneazione svolta dallo stabilimento balneare - del quale fanno parte altre strutture fisse già assistite da autonoma concessione edilizia ed appartenenti all’annesso complesso ricettivo alberghiero – ma non per questo esse risultano ricomprese nei titoli edilizi già rilasciati e, pertanto, necessitano del titolo edilizio abilitativo.
Acclarata la necessità del titolo edilizio anche per le opere precarie funzionali all’esercizio degli stabilimenti balneari, deve darsi risposta al terzo punto sottoposto all’esame del Collegio, ossia alla connessa questione relativa all’onerosità del titolo edilizio, avendo la ricorrente dedotto l’illegittimità della pretesa di assoggettare le capanne al contributo sul costo di costruzione e agli oneri di urbanizzazione.
Infatti, con nota del 17 luglio 2014 (impugnata con i primi motivi aggiunti) il Comune di Palermo ha richiesto il pagamento del contributo del costo di costruzione, pari ad € 67.782,85, e degli oneri di urbanizzazione, pari ad € 31.007,72.
Sul punto, il Collegio condivide l’opzione ermeneutica (cfr. da ultimo, Tar Marche n. 862 del 2015) secondo cui deve tenersi conto delle peculiarità proprie degli stabilimenti balneari in ordine alla natura delle opere e/o alle loro modalità esecutive e di utilizzo.
Va in primo luogo osservato che per il titolo edilizio abilitativo non è dovuto il contributo commisurato al costo di costruzione, ai sensi dell’articolo 17 del d.P.R. 380/2001: la circostanza che nel caso di specie si verta su opere che sorgono in area demaniale esclude l’imposizione di tale obbligo.
Infatti, la quota di contributo commisurata al costo di costruzione costituisce una obbligazione di natura paratributaria, determinata tenendo conto della produzione di ricchezza generata dallo sfruttamento del territorio che, per sua natura, non è ravvisabile nelle costruzioni su area demaniale, in quanto non suscettibili di commercializzazione e destinate, alla cessazione del rapporto concessorio a permanere nella titolarità dell’amministrazione concedente. Quest’ultima, invero, ha facoltà di chiedere il ripristino dello stato dei luoghi a spese del privato concessionario che deve lasciare libera l’area demaniale (almeno per ciò che riguarda eventuali opere permanenti, poiché le capanne in legno e le altre opere precarie vengono, per obbligo contrattuale, comunque rimosse al termine di ogni stagione).
Con riferimento a tale aspetto non appare ultroneo rilevare che la concessione demaniale n. 4/2012 di cui è titolare la società ricorrente ha una durata di cinque anni (oggi prorogata) ed impone alla concessionaria l’obbligo di corrispondere all’Erario, in riconoscimento della demanialità del bene ed in corrispettivo della concessione (dunque della fruizione del bene demaniale) un canone annuo. E come chiarisce il Comune in memoria, alla scadenza della concessione l’area dovrà essere assegnata con procedura ad evidenza pubblica, di talché potrebbe non essere più assegnata alla società ricorrente.
A differente conclusione si perviene con riguardo alla quota di contributo commisurata agli oneri di urbanizzazione, trattandosi di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, posto a carico del privato a titolo di partecipazione dei costi delle opere di urbanizzazione “in proporzione” all’insieme dei benefici che la nuova costruzione o opera ne trae.
Difatti, per giurisprudenza pressoché costante, ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio, se ne muti la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico socio-economico, che l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori (Cons. St., Sez. V, n. 4326 del 2013).
Ne segue l'irrilevanza della natura del titolo edilizio ai fini dell’obbligo contributivo di che trattasi, rilevando, invece, l’incremento sostanziale del carico urbanistico correlato alla natura dell'opera ed alle sue modalità di esecuzione. In definitiva, l'obbligo di contribuzione va correlato al presupposto sostanziale dell'aumento del carico urbanistico connesso all'intervento edilizio anziché alla natura del titolo abilitativo.
In linea di fatto, l'intervento edilizio in esame - comportante la realizzazione di n.309 capanne in legno stagionali a completamento della parte di stabilimento balneare già munito dei necessari titoli edilizi - per la sua natura certamente costruttiva e funzionale comporta un’incidenza sul carico urbanistico del territorio, sicché va ritenuta legittima la richiesta dell’amministrazione di assoggettarne la relativa allocazione agli oneri di urbanizzazione i quali, come di seguito sarà precisato, devono, tuttavia, essere commisurati in ragione dell’effettivo carico urbanistico.
In definitiva, per quanto fin qui argomentato, le note (impugnate con il ricorso introduttivo e con il primo e il terzo ricorso per motivi aggiunti) non resistono alle censure prospettate nella parte in cui esigono, per il rilascio del titolo edilizio, oltre agli oneri di urbanizzazione, anche il contributo per il costo di costruzione.
Sul punto deve peraltro rilevarsi come con la nota del 17 luglio 2014 (impugnata con il primo ricorso per motivi aggiunti) il Comune si sia limitato a calcolare gli oneri di urbanizzazione sull’intera cubatura delle capanne, senza valutare che almeno una parte di esse viene allestita ogni estate su apposite piattaforme di cemento già munite di concessione edilizia.
Per evidenti ragioni di connessione logica con quanto appena spiegato, deve esaminarsi il quarto ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto la deliberazione del Consiglio comunale n. 74 del 2015 avente ad oggetto l’adeguamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione per gli anni 2011-2012-2013-2014, e con la quale sono state assoggettate al rilascio della concessione edilizia onerosa “tutte le strutture precarie finalizzate alla gestione di stabilimenti balneari”.
Deduce, la ricorrente, l’illegittimità della delibera per violazione dell’art.17 della l.r. n.4 del 2003 e per eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento della causa tipica, stante che il Comune avrebbe adottato la delibera solo apparentemente per adeguare gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione, mentre, in realtà, con essa sarebbe introdotto o esteso, per la prima volta, il regime degli oneri concessori a carico delle strutture precarie finalizzate alla gestione di stabilimenti balneari, peraltro, con effetto retroattivo.
In disparte l’atipico utilizzo della deliberazione di “adeguamento” di tali oneri per disciplinare una situazione giuridica (quella su cui si controverte) - in relazione alla quale in passato il Comune non aveva mai preteso oneri concessori, e fermo restando quanto già rilevato in ordine alla non debenza del contributo sul costo di costruzione, la delibera in questione risulta affetta dal dedotto vizio di difetto di motivazione. Dalla stessa, infatti, può evincersi soltanto che i due parametri sulla base dei quali è stata determinata l’incidenza degli oneri di urbanizzazione dovuti dagli stabilimenti balneari sono: a) la somma delle superfici lorde dei pavimenti delle strutture commerciali (bar e ristorazione); b) il volume delle strutture destinate alla fruizione del mare (dunque le capanne e gli altri fabbricati precari).
Osserva però il Collegio che i predetti oneri non possono che essere parametrati tenendo conto della reale incidenza del carico urbanistico delle capanne (e delle eventuali altre opere precarie costituenti nel complesso lo stabilimento balneare) sul territorio e, dunque, avuto riguardo anche alla stagionalità della loro messa in opera (sono allestite per tre mesi l’anno) e alla “durata” limitata nel tempo della concessione demaniale, elementi di valutazione - che però – non sono tenuti in considerazione nella tabella di calcolo allegata alla delibera impugnata.
Tale ultima considerazione, peraltro, trova anche riscontro normativo nell’art.1, comma 4, della l.r. n.15 del 2005 il quale, nello stabilire che gli stabilimenti balneari sono soggetti ai provvedimenti edilizi abilitativi nei comuni competenti per territorio, “validi per tutta la durata delle concessioni demaniali marittime, anche se rinnovate senza modifiche sostanziali” ha, appunto, previsto il rilascio, da parte dei Comuni, di titoli edilizi di durata limitata nel tempo poiché destinati a decadere per legge allo scadere delle concessioni demaniali marittime.
Infine, deve essere esaminato il secondo ricorso per motivi aggiunti con il quale la ricorrente ha impugnato la deliberazione del Consiglio comunale n. 376/2014 approvativa del piano di utilizzo delle aree demaniali marittime nella parte in cui il Comune pretende di estenderne l’applicazione anche alle aree demaniali già detenute in concessione. Il riferimento è, segnatamente: a) all’obbligo per il concessionario di lasciare alla libera fruizione il 50% del fronte demaniale marittimo, b) all’obbligo di prevedere parcheggi pertinenziali in spazi esterni al demanio marittimo in misura non inferiore a mq.25 ogni mq.100 di superficie concessa; c) di consentire varchi di libero transito.
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.4, comma 2, della l.r. n. 15 del 2005 e dell’art.4 delle “Linee guida per la redazione dei piani di utilizzo del demanio marittimo della Regione Siciliana” approvate con decreto dell’Assessore regionale del territorio e dell’ambiente 4 luglio 2011.
Le censure sono fondate.
In base alle citate linee guida il Comune è tenuto a prendere in considerazione le osservazioni proposte dai soggetti interessati al progetto di piano predisposto dalla Giunta durante il periodo di pubblicazione nell’albo pretorio e prima della sottoposizione al Consiglio comunale, rilevandosi, viceversa, come nella stessa delibera impugnata si sia dato atto che sulle osservazioni pervenute alla Segreteria generale il 14/04/2014, in considerazione di una non giustificata urgenza, si è preferito dar corso alla sottoposizione del progetto al Consiglio comunale senza concludere la relativa istruttoria.
Inoltre – come è stato più sopra rilevato - in ordine alle concessioni già esistenti al momento della entrata in vigore della l.r. n. 15/2005, la relativa disciplina è contenuta nell’art.4, comma 2-bis, introdotto dall’art. 56 della l.r. n. 9/2009, secondo cui “Le disposizioni del presente articolo (i.e.: art. 4) non trovano applicazione con riferimento alle aree già detenute in concessione al momento di entrata in vigore della presente legge. Nell’attività di programmazione le amministrazioni competenti devono tenere conto delle concessioni esistenti al momento di entrata in vigore della presente legge”. Pertanto le aree demaniali in atto già concesse alla ricorrente non possono essere oggetto delle prescrizioni del piano di utilizzo, come invece pretenderebbe il Comune.
Con riferimento poi, alle singole previsioni del piano – già oggetto delle osservazioni formulate dalla società e non esaminate - la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.41 quinquies, commi 8 e 9, L.17/08/1942 n.1150 (introdotti dall’art.17 L.6 agosto 1967 n.765) nonché del D.M. 02/04/1968 n.1444 e l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, in relazione all’obbligo, previsto dal Comune nel progetto di piano e ribadito nelle note impugnate, di dotarsi di parcheggi pertinenziali in misura “comunque non inferiore a mq.25 per ogni mq di superficie demaniale marittima concessa utile allo svolgimento delle attività oggetto della c.d.m.”
Le censure sono fondate.
Le norme invocate dalla ricorrente – e parimenti citate dal Comune nelle proprie difese - infatti, prevedono il rispetto dei rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e parcheggi, peraltro con riferimento alla formazione di nuovi strumenti urbanistici o alla revisione di quelli esistenti.
La richiesta formulata dal Comune con nota prot.410468 del 12/05/2014 di dotarsi di parcheggi pertinenziali risiede invece, per espresso rinvio, nel correlativo obbligo stabilito dal progetto di P.U.D.M., allo stato non ancora approvato, non sussistendo alcuna disposizione normativa che imponga la dotazione di parcheggi pertinenziali con riferimento agli stabilimenti balneari stagionali.
La ricorrente deduce inoltre la violazione e falsa applicazione dell’art.41 Cost., nonché l’eccesso di potere per manifesta illogicità e per difetto di presupposti in relazione all’art.7, comma 3, delle norme tecniche di attuazione (R2) nel quale si prevede che ogni concessionario di area demaniale marittima deve sempre consentire l’accesso pubblico alla battigia in maniera libera e gratuita, anche al fine della balneazione, predisponendo gratuitamente dei servizi igienici utilizzabili anche dagli utenti che non intendano usufruire dei servizi offerti dallo stabilimento.
Lamenta l’illegittimità di tale previsione poiché consentire l’accesso indiscriminato allo stabilimento da parte di soggetti non paganti e in costume da bagno – pertanto indistinguibili dai clienti - oltre a compromettere la sicurezza dei clienti medesimi e dei loro beni si porrebbe in contrasto con la finalità dell’attività economica esercitata dalla società ricorrente, rendendo facoltativo e non più necessario pagare l’ingresso allo stabilimento per accedere comunque alle sue strutture.
La censura è fondata, tenuto conto della inapplicabilità delle disposizioni del redigendo PUDM per le ragioni sopra già rilevate, essendo comunque onere del Comune di fornire alla libera fruizione dell’utenza i necessari servizi igienici.
Conclusivamente, il ricorso introduttivo e i successivi motivi aggiunti devono essere accolti con conseguente annullamento, per quanto di ragione, degli atti impugnati, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione volti a rideterminare l’importo degli oneri di urbanizzazione previsti".
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