Con una sentenza del 1° dicembre, n. 249 la Corte Costituzionale ha respinto un ricorso in merito ad una questione di legittimità costituzionale, per violazione delle norme recanti «La revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali, è richiesta dai comuni agli Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. Per i calcoli di cui al precedente periodo, il valore medio di mercato è aggiornato secondo le modalità stabilite con il provvedimento di cui al comma 339. L’Agenzia del territorio, esaminata la richiesta del comune e verificata la sussistenza dei presupposti, attiva il procedimento revisionale con provvedimento del direttore dell’Agenzia medesima».
La Corte, ha considerato in diritto che la Commissione tributaria regionale del Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 335, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», il quale prevede il riclassamento di unità immobiliari ubicate in microzone nelle quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato ai sensi del d.P.R. 23 marzo 1998, n. 138 (Regolamento recante norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi criteri nonché delle commissioni censuarie in esecuzione dell’articolo 3, commi 154 e 155, della L. 23 dicembre 1996, n. 662) e il corrispondente valore medio catastale, ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili, si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali.
Secondo il rimettente, dal quadro generale della legislazione vigente emergerebbe che il classamento è un’operazione legata necessariamente ad una singola unità immobiliare. Pertanto sarebbe incompatibile con il sistema la previsione di una revisione parziale del classamento di intere microzone.
In particolare, l’impugnato comma 335 sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, atteso che il singolo contribuente si troverebbe esposto a rivalutazione del proprio bene solo in base alla circostanza che il suo immobile è situato in una microzona oggetto di richiesta di revisione parziale del classamento da parte del Comune interessato.
La norma violerebbe, poi, l’art. 53 Cost., in quanto un riaccatastamento di una serie di edifici «collegato ai soli valori di mercato di zona e senza modificazioni nella realtà» si porrebbe in conflitto con il principio di capacità contributiva dei singoli, posto che il classamento, pur non essendo un vero e proprio atto di imposizione fiscale, incide sulla rendita del bene ed ha quindi effetti sull’imposizione diretta e su quella locale.
Essa contrasterebbe, infine, con l’art. 97 Cost., dato che «non assicur[erebbe] né il buon andamento né l’imparzialità dell’amministrazione, colpendo indiscriminatamente tutte le unità immobiliari (di una determinata microzona) senza alcuna verifica concreta del singolo bene […] esponendo l’amministrazione medesima ad una altrettanto “massiva” opposizione da parte dei contribuenti interessati».
In via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, in considerazione del fatto che la questione di costituzionalità non sarebbe suscettibile di una soluzione costituzionalmente imposta e quindi involgerebbe scelte discrezionali spettanti esclusivamente al legislatore.
L’eccezione è inammissibile in quanto formulata in maniera generica e gravemente carente nella motivazione.
Nel merito, le censure sono infondate.
In via generale, si procede al riclassamento di un immobile quando, pur disponendo, quest’ultimo, già di una categoria, di una classe e di una rendita, si prospetta che tale classamento sia divenuto inadeguato.
Le cause che possono rendere necessaria l’operazione sono riconducibili alle ipotesi individuate dai commi 335 e 336 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004.
Si tratta di due procedure con presupposti diversi. La prima concerne situazioni legate a mutamenti di carattere generale o collettivo interessanti una determinata area; la seconda riguarda le situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti passati per intervenute variazioni edilizie della singola unità immobiliare e presuppone quindi che si sia di fronte ad innovazioni specifiche relative ad un determinato immobile.
Ai sensi del comma 335 − oggetto del giudizio − il procedimento prende avvio su iniziativa del Comune, il quale formula richiesta di revisione del classamento al competente Ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio (ora assorbita dall’Agenzia delle entrate ai sensi del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135). Quest’ultima, accertata la sussistenza dei presupposti di legge, con provvedimento del direttore attiva il «processo revisionale», che si snoda secondo le modalità tecniche e operative previste nel successivo comma 339 e stabilite nelle linee guida di cui alla Determinazione del direttore dell’Agenzia del territorio del 16 febbraio 2005. A conclusione del procedimento, gli intestatari delle unità immobiliari interessate ricevono un avviso di accertamento con la rideterminazione del classamento e l’attribuzione di una nuova rendita catastale.
Venendo all’esame delle censure, il contrasto con l’art. 3 Cost. è impostato nella limitata prospettiva secondo cui il singolo contribuente si troverebbe esposto a rivalutazione del proprio bene solo in base alla circostanza che il suo immobile sia situato in una microzona oggetto di richiesta di revisione parziale del classamento da parte del Comune interessato, con la conseguente sperequazione rispetto al contribuente che, pur trovandosi nella stessa situazione, non subisca analoga iniziativa comunale.
La censura, come è evidente, non è riferibile alla previsione della norma, ma è ricollegabile, invece, a circostanze contingenti − e cioè la maggiore o minore sollecitudine del Comune di riferimento nell’avanzare l’istanza – che attengono alla concreta applicazione della disciplina (ordinanza n. 270 del 2012).
Si tratta, dunque, di un inconveniente di fatto, che, secondo pacifica giurisprudenza, è irrilevante nel giudizio costituzionale (ex multis, sentenze n. 35 del 2017, n. 219 e n. 192 del 2016; ordinanza n. 122 del 2016).
Il Collegio tributario prospetta poi la violazione dell’art. 53 Cost., in quanto un riaccatastamento conseguente alla sola variazione dei valori di mercato di una determinata aerea contrasterebbe con il principio di capacità contributiva.
Va in proposito ricordato che questa Corte ha ritenuto che la rendita catastale «non costituisce […] un presupposto d’imposta» (sentenza n. 162 del 2008): non è pertanto prospettabile, in riferimento ad essa, una questione collegata al parametro di cui all’art. 53 Cost. (sentenze n. 263 del 1994 e n. 162 del 2008). Si è però anche affermato che, benché le tariffe di estimo e le rendite catastali non siano atti di imposizione tributaria, i criteri per la loro determinazione, ove non ispirati a princìpi di ragionevolezza, potrebbero porre le premesse per l’incostituzionalità delle singole imposte che su di essi si fondino (sentenza n. 263 del 1994).
Si è poi ritenuto che «la capacità contributiva, desumibile dal presupposto economico al quale l’imposta è collegata, può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità, sotto il profilo della palese arbitrarietà e manifesta irragionevolezza» (sentenza n. 162 del 2008).
Esaminata la questione sotto questa specifica prospettiva, la scelta fatta dal legislatore con il censurato comma 335 non presenta profili di irragionevolezza.
La decisione di operare una revisione del classamento per microzone si basa sul dato che la qualità del contesto di appartenenza dell’unità immobiliare rappresenta una componente fisiologicamente idonea ad incidere sul valore del bene, tanto che il fattore posizionale già costituisce una delle voci prese in considerazione dal sistema catastale in generale.
Può quindi ritenersi non irragionevole che l’accertamento di una modifica del valore degli immobili presenti in una determinata microzona abbia una ricaduta sulla rendita catastale. Il conseguente adeguamento, proprio in quanto espressione di una accresciuta capacità contributiva, è volto in sostanza ad eliminare una sperequazione esistente a livello impositivo.
È bene ricordare, peraltro, che la natura e le modalità dell’operazione enfatizzano l’obbligo di motivazione in merito agli elementi che hanno, in concreto, interessato una determinata microzona, così incidendo sul diverso classamento della singola unità immobiliare; obbligo che, proprio in considerazione del carattere “diffuso” dell’operazione, deve essere assolto in maniera rigorosa in modo tale da porre il contribuente in condizione di conoscere le concrete ragioni che giustificano il provvedimento.
Infondata, infine, è la censura (peraltro formulata in maniera generica e apodittica) relativa all’art. 97 Cost., secondo la quale la rivalutazione «massiva» operata dalla norma censurata, colpendo indiscriminatamente tutte le unità immobiliari di una determinata microzona senza alcuna verifica concreta del singolo bene, «espo[rrebbe] l’amministrazione medesima ad una altrettanto “massiva” opposizione da parte dei contribuenti interessati».
Non è dato comprendere, infatti, come il rischio che l’Amministrazione sia esposta ad azioni giudiziarie possa rilevare nel senso dell’incostituzionalità di una disciplina. Ogni riforma normativa, per la sua portata innovativa, è potenzialmente idonea a suscitare reazioni da parte dei destinatari, ma ciò evidentemente rientra nella fisiologia dell’ordinamento.
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