Ieri è entrata in vigore la normativa che obbliga l'indicazione sulle etichette di alcuni prodotti alimentari della loro provenienza.
Quasi ovunque si legge la frase "latte di mucca", ma si tratta di un errore.
Il Regio decreto n. 994/1929 al Titolo V stabilisce quanto segue:
"Requisiti del latte. Mungiture, filtrazione, refrigerazione, raccolta, trasporto.
Per «latte alimentare» deve intendersi il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa della mammella di animali in buono stato di salute e di nutrizione.
Con la sola parola «latte» deve intendersi il latte proveniente dalla vacca.
Il latte di altri animali deve portare la denominazione della specie cui appartiene l'animale che lo fornisce, così per esempio «latte di capra», «latte di asina», ecc.
Il latte di vacca messo in commercio, oltre che essere genuino ed integro, deve corrispondere ai seguenti requisiti: a) peso specifico fra 1,029 e 1,034 a + 15° C; b) grasso non inferiore al tre per cento; c) residuo secco magro non inferiore all'8,70%. È ammesso un residuo secco magro sino al limite dell'8,50%, purché il tasso di grasso sia superiore al 3,15% .
L'autorità comunale, quando abbia accertato che, nelle zone di produzione, il latte contenga maggiore quantità di grasso della percentuale sopra indicata, determinerà la percentuale stessa in relazione con l'accertamento fatto."
Pertanto è errata la dizione latte di mucca.
Il termine tecnico per indicare la femmina di bovino che ha già figliato e che quindi produce il latte è "vacca".
Le figlie si chiamano lattonzole, finché si nutrono solo di latte (normalmente fino a circa un anno di età), poi si chiamano vitelle fino a quando figliano.
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