lunedì 15 maggio 2017

IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETA' NELLA COSTITUZIONE

Torna di attualità il principio di solidarietà.
L'anno scorso la Corte Costituzionale con una sentenza molto ben motivata ha affrontato il contributo di solidarietà introdotto dal governo Letta con il comma 486 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013.
Secondo la Corte il prelievo istituito dal citato comma 486  non è configurabile, infatti, come tributo non essendo acquisito allo Stato, nè destinato alla fiscalità generale, ed essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti “esodati”. Si tratta, del resto, di una misura non strutturalmente dissimile – come sottolineato dalla difesa dello Stato – da quella a suo tempo introdotta dall’art. 37 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2000), il quale analogamente disponeva che «A decorrere dal 1° gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori al massimale annuo previsto dall’art. 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è dovuto, sulla parte eccedente, un contributo di solidarietà nella misura del 2 per cento […]». Norma, quest’ultima, che questa Corte ebbe a ritenere non in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., in quanto «volta a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale» (ordinanza n. 22 del 2003), e neppure contraria agli artt. 2, 36 e 38 Cost. (ordinanza n. 160 del 2007). 
Si è dunque, nella specie, in presenza di un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003).
Resta allora da verificare se il contributo di solidarietà sulle pensioni più alte, come disciplinato dal censurato comma 486, risponda a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, tenendo conto dell’esigenza di bilanciare la garanzia del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica con altri valori costituzionalmente rilevanti.
In linea di principio, il contributo di solidarietà sulle pensioni può ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali è necessariamente costretta in forza del combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (artt. 3 e 38 Cost.), il cui rispetto è oggetto di uno scrutinio “stretto” di costituzionalità, che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà.
In tale prospettiva, è indispensabile che la legge assicuri il rispetto di alcune condizioni, atte a configurare l’intervento ablativo come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile.
Il contributo, dunque, deve operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori – endogeni ed esogeni (il più delle volte tra loro intrecciati: crisi economica internazionale, impatto sulla economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico) – che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato (sentenze n. 69 del 2014, n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis).
L’effettività delle condizioni di crisi del sistema previdenziale consente, appunto, di salvaguardare anche il principio dell’affidamento, nella misura in cui il prelievo non risulti sganciato dalla realtà economico-sociale, di cui i pensionati stessi sono partecipi e consapevoli.
Anche in un contesto siffatto, un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza.
Il prelievo, per essere solidale e ragionevole, e non infrangere la garanzia costituzionale dell’art. 38 Cost. (agganciata anche all’art. 36 Cost., ma non in modo indefettibile e strettamente proporzionale: sentenza n. 116 del 2010), non può, altresì, che incidere sulle “pensioni più elevate”; parametro, questo, da misurare in rapporto al “nucleo essenziale” di protezione previdenziale assicurata dalla Costituzione, ossia la “pensione minima”.
Inoltre, l’incidenza sulle pensioni (ancorché) “più elevate” deve essere contenuta in limiti di sostenibilità e non superare livelli apprezzabili: per cui, le aliquote di prelievo non possono essere eccessive e devono rispettare il principio di proporzionalità, che è esso stesso criterio, in sé, di ragionevolezza della misura.
In definitiva, il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum.
Tali condizioni appaiono, sia pur al limite, rispettate nel caso dell’intervento legislativo in esame.
Come detto, esso opera all’interno del sistema previdenziale, che concorre a finanziare, in un contesto di crisi del sistema stesso, acuitasi negli ultimi anni, per arginare la quale il legislatore ha posto in essere più di un intervento, contingente o strutturale, tra cui, in particolare, proprio quelli per salvaguardare la posizione dei lavoratori cosiddetti “esodati” (da ultimo, commi da 263 a 270 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015).
Inoltre, il contributo riguarda le pensioni più elevate, ossia quelle il cui importo annuo si colloca tra 14 a 30 e più volte il trattamento minimo di quiescenza, incidendo in base ad aliquote crescenti (del 6, 12 e 18 per cento), secondo una misura che rispetta il criterio di proporzionalità e, in ragione della sua temporaneità, non si palesa di per sé insostenibile, pur innegabilmente comportando un sacrificio per i titolari di siffatte pensioni.
In questi termini, l’intervento legislativo di cui al denunciato comma 486, nel suo porsi come misura contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta, supera lo scrutinio “stretto” di costituzionalità.
Anche sotto il profilo della violazione dell’art. 3 Cost. in riferimento al tertium rappresentato dal comma 487 della stessa legge n. 147 del 2013 e, per il suo tramite, dalla legislazione siciliana, la questione non è fondata, giacché evoca un termine di raffronto (il comma 487) non idoneo a radicare un giudizio di eguaglianza, concernendo questo le misure di risparmio di spesa rimesse all’autonomia di organi costituzionali e di Regioni ad autonomia speciale rispetto a soggetti che non fanno parte del circuito della previdenza obbligatoria (in particolare, per ciò che concerne la Regione siciliana opera il Fondo di quiescenza di cui alla legge regionale 14 maggio 2009, n. 6, recante: «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2009») e, dunque, non suscettibile di raffronto con i pensionati di cui al comma 486.
Non si ravvisa, infine, nemmeno la dedotta violazione degli artt. 81 e 97 Cost., in quanto il primo parametro invocato non risulta conferente, disciplinando la disposizione censurata non già una nuova spesa o maggiori oneri, ma un’entrata; mentre la destinazione alle gestioni previdenziali del prelievo, e dunque per fini istituzionali delle stesse (e anche per il finanziamento di misura a favore degli “esodati”), non costituisce arbitraria attribuzione di discrezionalità amministrativa (art. 97 Cost.) alle stesse gestioni previdenziali o, comunque, indifferenziata destinazione di spesa (art. 81 Cost.).

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