giovedì 11 maggio 2017

IL CONSIGLIO DI STATO INTERVIENE IN MERITO ALLE DISTANZE TRA FABBRICATI (ART. 9 DM 1444/1968)

Il rispetto delle distanze minime tra edifici (e tra edifici e strade) è un vincolo inderogabile che non ammette giustificazioni, eccezioni o repliche.
Una nuova sentenza del Consiglio di stato focalizza il problema delle distanze tra edifici, che è stato oggetto di attenzione anche da parte mia nel 2012. La Sezione IV con sentenza n. 2086/2017 in particolare, ha affermato quanto segue: "...l’art. 9 del DM 2 aprile 1968 n. 1444, recante “limiti di distanza tra i fabbricati”, prevede, tra l’altro, che le distanze minime tra i fabbricati: “nelle altre zone, con riferimento a “nuovi edifici”… “in tutti i casi . . . di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”. 
Le stesse disposizioni, dettate con riferimento agli strumenti urbanistici ad esse successivi, si impongono inderogabilmente, al punto da sostituire per inserzione automatica eventuali disposizioni contrastanti (cfr. Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2016 n. 2848; Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2015 n. 1951).
La finalità del DM n. 1444 del 1968 di prescrivere precise distanze tra fabbricati è infatti quella di garantire sia l’interesse pubblico ad un ordinato sviluppo dell’edilizia, sia l’interesse pubblico alla salute dei cittadini, evitando il prodursi di intercapedini malsane e lesive della salute degli abitanti degli immobili (Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016 n. 856).
 Le distanze previste dall’art. 9 cit. sono dunque coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile (cfr. Cons. stato, sez. IV, 3 agosto 2016, n. 3510).
Ciò premesso, va dunque verificato se il provvedimento impugnato risulti adottato in violazione della norma di diritto pubblico in tema di distanze, nel senso che il nuovo manufatto si ponga in contrasto con le finalità di tutela dell’interesse pubblico al quale la norma è teleologicamente orientata.
L’intervento assentito con permesso di costruire n. 120 del 2 aprile 2013 consiste nella soprelevazione di un primo e secondo piano su un fabbricato preesistente posto sul confine. Tali opere sono da considerarsi pertanto come una “nuova costruzione” ai fini del rispetto della distanza di 10 metri imposta dal DM n. 1444/1969, dall’art. 5 del Regolamento edilizio e dall’art. 57 delle NTA al PRG (cfr. Cass. civ. sez. II, 27 marzo 2014, n. 7291).
 In particolare, il limite di 10 m. di distanza, di cui al già citato art. 9, primo comma n. 2. D.M. n. 1444/1968, da computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non anche alle sole parti che si fronteggiano (Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2015 n. 2661), presuppone la presenza di due “pareti” che si fronteggiano, delle quali almeno una finestrata (Cons. stato, sez. IV, 26 novembre 2015 n. 5365; id., 19 giugno 2006 n. 3614). Più precisamente, la giurisprudenza ha affermato che il limite predetto presuppone “pareti munite di finestre qualificabili come vedute”.
 Orbene, nel caso di specie ricorre l’ipotesi di due pareti di edifici, delle quali almeno una finestrata da cui si può vedere direttamente la proprietà dei signori Sciumbarruto e Buia, e dunque proprio il caso testualmente disciplinato dall’art. 9 del DM 1444/1968.
 In sostanza, può dunque essere condivisa la prospettazione di parte appellante che nel primo motivo di appello ha rilevato la tassatività delle disposizioni dello stesso decreto e la loro operatività al momento del rilascio del titolo edilizio con riferimento alla situazione concreta, a prescindere dalla distanza delle abitazioni già esistenti, dalla loro eventuale abusività o da altre disposizioni in senso contrario contenute negli strumenti urbanistici (cfr. Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2006, n. 7563).
Per le ragioni sopra esposte, il Collegio ha accolto l'appello e, per l’effetto, ha totalmente riformata la sentenza impugnata con conseguente accoglimento del ricorso proposto in primo grado e l’annullamento del permesso di costruire oggetto del  giudizio.

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