mercoledì 10 maggio 2017

CONSIGLIO DI STATO : LA CLAUSOLA SOCIALE NEI CONTRATTI DI APPALTO

Il Consiglio di Stato, Sezione III in data 5 maggio ha emesso una interessante sentenza n. 2078  in materia di applicazione della c.d. clausola sociale, un argomento di grande attualità. 
Il Collegio, esaminando il primo ordine di censure "...ha ritenuto di dover precisare la portata applicativa della c.d. clausola (di salvaguardia) sociale, alla luce della disciplina dettata dall’art. 12-bis della l.r. Calabria 26/2007 (introdotto dall’art. 1 della l.r. 16/2012), richiamata dagli artt. 21.3 e 35.1 del capitolato speciale, e della circostanza che (per il lotto n. 3) la stazione appaltante aveva elencato il personale delle imprese che venivano a cessare il servizio in 69 unità lavorative. Secondo detta disposizione legislativa: “Fatte salve le previsioni della contrattazione collettiva, ove più favorevoli, la Regione, gli enti, le aziende e le società strumentali della Regione devono prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e nelle condizioni di contratto per appalti di servizi, l'utilizzo del personale già assunto dalla precedente impresa appaltatrice, compatibilmente con la gestione efficiente dei servizi, con l'organizzazione d'impresa e con la normativa vigente sugli appalti, garantendo, altresì, le condizioni economiche e contrattuali già in essere. Tale norma si applica anche agli enti sub-regionali, agli enti locali che utilizzano i fondi regionali e comunitari o che esercitano le deleghe della Regione. Le previsioni di cui al comma 1 si applicano in misura proporzionale alla quantità di servizi appaltati e non si applicano ai dirigenti e al personale che esercitano i poteri direttivi”). ....se è vero che il rispetto degli obblighi assunti dall'aggiudicataria in sede di gara riguarda l'esecuzione del rapporto, sicché la verifica del loro inadempimento risulta rimandata alle future dinamiche dell'instaurando rapporto contrattuale, tuttavia assume rilevanza anche nella gara, quale indice sintomatico di ulteriori vizi dell'offerta medesima (ad es., sotto i profili della univocità e completezza dell’offerta, ovvero dell'anomalia dell'offerta). Tuttavia, la suddetta disposizione regionale non comporta, già in base al suo tenore testuale, un obbligo assoluto di garantire la continuità di tutti i rapporti di lavoro, in quanto l’obbligo di assunzione è previsto “compatibilmente con la gestione efficiente dei servizi, con l'organizzazione d'impresa e con la normativa vigente sugli appalti”. Nel caso in esame, il capitolato non aggiunge nulla di sostanziale, prevedendo l’assunzione del personale alle dipendenze del precedente gestore “secondo i dettami contenuti nella relativa normativa regionale di riferimento …” e “nel pieno rispetto delle norme di cui all’art. 12-bis della legge regionale …”   D’altro canto, una diversa accezione della clausola sociale (di quella concretamente rilevante nel caso in esame, come in generale di quelle previste dagli artt. 69 del d.lgs. 163/2006, 63, comma 4, del d.lgs. 112/1999, 29, comma 3, del d.lgs. 276/2003, e dalle diverse leggi regionali), comporterebbe una evidente violazione della libertà di iniziativa economica e del principio di concorrenza. Infatti, la giurisprudenza di questa Sezione ha affermato che la c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto, sicché tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (cfr. Cons. Stato, III, n. 1255/2016; n. 5598/2015; vedi anche, IV, n. 2433/2016). Né è dimostrato che, nel caso in esame, si verifichi un’ipotesi di stretta conservazione del modello organizzativo (ciò che potrebbe, secondo un orientamento, comportare un’applicazione “rigida” dell’obbligo di assunzione del personale precedentemente utilizzato nel servizio – cfr. Cons. Stato, III, n. 2533/2013, invocata da S.I.A.R.C. – o quanto meno un onere rafforzato di motivazione sulle scelte di non assorbire tutto il personale).
Di contro, rileva la circostanza che - come sottolineato dall’appellata - il numero degli addetti non poteva intendersi come predefinito, dato che era previsto un sub-criterio che attribuiva punteggi per il numero del personale (3 punti) e per il grado di professionalità del personale (3 punti), e che l’offerta tecnica prevede l’utilizzo di apparecchiature elettroniche e macchinari automatici e semiautomatici per ottimizzare le risorse umane.  Le argomentazioni con le quali il TAR, facendo leva sulla distinzione sottesa alle tabelle ministeriali del costo del lavoro, ha affermato che non vi era in realtà discrasia tra il numero di unità lavorative indicate nell’offerta (76) e numero di unità lavorative indicate in sede di giustificazione dell’anomalia (65) da parte del r.t.i. aggiudicatario, appaiono condivisibili, e comunque non risultano specificamente confutate nell’appello.
Il testo integrale della sentenza lo trovate qui: CONSIGLIO DI STATO SEZ. III N. 2078/2017

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