Il Tribunale Amministrativo regionale delle Marche, Sezione I, con la sentenza n. 347/2016 relativa ad una vertenza tra un'impresa e il Ministero dell'Ambiente, del territorio e del mare, ha riconfermato l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui “chi inquina paga”.
In primo luogo è indispensabile dimostrare il nesso causale tra gli operatori e l'inquinamento accertato.
Quindi l'obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell'inquinamento o al rischio di inquinamento.
Il rapporto tra l'azione o l'omissione degli operatori deve essere accertato attraverso indizi plausibili quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Solo quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato.
Pertanto gli inquirenti devono fare tutti gli accertamenti ritenuti necessari per dimostrare il collegamento tra l'inquinamento rilevato e le azioni commesse, in questo caso da un'impresa, anche ricorrendo ad accertamenti tecnici.
La sentenza la potete trovare qui:
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