Si tratta di un orientamento giurisprudenziale che comincia ad estendersi.
Le motivazioni della sentenza sono state le seguenti:
"La disposizione dell’articolo 3, comma 1, lettera b) della legge regionale n. 12 del 2004, infatti, prevede la insanabilità delle opere edilizie realizzate in ambito vincolato – anche successivamente all'edificazione (in ciò rendendo il condono più restrittivo rispetto a quanto previsto dalla normativa statale che ai medesimi fini attribuisce rilevanza ai soli vincoli istituiti in epoca anteriore all'edificazione) – allorchè esse siano in contrasto con le norme urbanistiche e le prescrizioni degli strumenti urbanistici.
In altri termini l’insanabilità richiede una doppia condizione; la prima è che l’edificazione abusiva di cui viene chiesta la sanatoria risulti realizzata in ambito soggetto a “a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali”; la seconda è che le opere non siano conformi alle norme urbanistiche e agli strumenti urbanistici.
Nella fattispecie ricorre chiaramente la prima condizione dato che l’area di intervento è gravata da ben quattro vincoli ostativi alla sanatoria (di cui non è smentita la ricorrenza); la circostanza che tali vincoli siano stati imposti successivamente all'edificazione – quand'anche risultasse vera per ciascuno di essi – è del tutto irrilevante dato che la speciale normativa emanata dalla regione Lazio, rendendo, come già accennato, più restrittivo l’ambito del condono edilizio del 2003 rispetto a quanto previsto dalla disposizione dell’articolo 32, comma 27, lettera d) del d.l. n. 269, dà rilevanza ai vincoli indipendentemente dalla data di imposizione (e, quindi, anche se imposti dopo l’edificazione); la legittimità della normativa regionale non può essere contestata dato che rientra nella potestà legislativa delle regioni, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale (sentenza 28 giugno 2004, n. 196 e 10 febbraio 2006, n. 49), la facoltà di rendere più restrittive le condizioni previste per il conseguimento della sanatoria; non esiste quindi il denunciato contrasto con la normativa del d.l. n. 269 (dato che il rapporto tra la legge statale e quella regionale è l’ordinario rapporto tra norma generale e norma speciale con conseguente prevalenza di quest’ultima) né con la normativa della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e in particolare con l’articolo 32 (che evidentemente potrà trovare applicazione nel caso di vincoli non compresi tra quelli considerati dalla legge regionale ovvero nel caso in cui l’edificazione risulti conforme alla normativa urbanistica con conseguente possibilità astratta di sanatoria e necessità per il suo conseguimento del parere favorevole dell’autorità, quale che sia, preposta alla tutela del vincolo); ciò implica la reiezione dei primi due motivi.
Risulta invece fondato il terzo perché nel provvedimento neppure si afferma la sussistenza della seconda condizione, cioè la contrarietà dell’edificazione alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, quasi sembrando che per il comune di Sabaudia, ai fini della impossibilità della sanatoria, rilevi la sola presenza dei vincoli indicati nel citato articolo 3, comma 1, lettera b); così però non è, dato che i vincoli, indipendentemente dall'epoca di imposizione, sono ostativi alla sanatoria solo se le opere non siano conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento".
La sentenza del TAR rappresenta un segnale importante nella difesa del'ambiente delicato del Parco.
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