PALAZZO SPADA |
Da tempo vado predicando che i piccoli e medi comuni che non hanno un ufficio legale (e sarebbe antieconomico oltre che difficile metterlo in piedi con le norme attuali) potrebbero fare una convenzione con il capoluogo di provincia.
Il problema, pur essendo riferito ad una fattispecie specifica, è stato ora affrontato dal Consiglio di stato che con una sentenza (n. 2731/2017 del 7 giugno scorso) ha ritenuto che:
In primo luogo, l’articolo 2, comma 12, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge Finanziaria per il 2008) dispone che “Gli enti locali di cui all'articolo 2 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, possono istituire, mediante apposite convenzioni, da stipulare ai sensi dell'articolo 30 del medesimo testo unico, uffici unici di avvocatura per lo svolgimento di attività di consulenza legale, difesa e rappresentanza in giudizio degli enti convenzionati”.
Quindi, l’articolo 30 del d.lgs. 267 del 2000 prevede che “Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni.
Le convenzioni devono stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie.
Per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un'opera lo Stato e la regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra enti locali, previa statuizione di un disciplinare-tipo.
Le convenzioni di cui al presente articolo possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l'esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti”.
Infine, l’articolo 18, lettera d) della legge n. 247 del 2012 stabilisce l’incompatibilità della professione di avvocato “con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato”; peraltro, il successivo articolo 19, nel dettare le eccezioni al regime delle incompatibilità, dispone, al comma 3, che “È fatta salva l'iscrizione nell'elenco speciale per gli avvocati che esercitano attività legale per conto degli enti pubblici con le limitate facoltà disciplinate dall'articolo 23”.
Quest’ultima norma prevede, a sua volta, che gli avvocati degli uffici legali specificamente istituiti presso gli enti pubblici, “ai quali venga assicurata la piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente ed un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta, sono iscritti in un elenco speciale annesso all'albo. L'iscrizione nell'elenco è obbligatoria per compiere le prestazioni indicate nell'articolo 2”.
A tal riguardo, il secondo comma precisa che “Per l'iscrizione nell'elenco gli interessati presentano la deliberazione dell'ente dalla quale risulti la stabile costituzione di un ufficio legale con specifica attribuzione della trattazione degli affari legali dell'ente stesso e l'appartenenza a tale ufficio del professionista incaricato in forma esclusiva di tali funzioni; la responsabilità dell'ufficio è affidata ad un avvocato iscritto nell'elenco speciale che esercita i suoi poteri in conformità con i principi della legge professionale”.
Dal combinato disposto delle norme in esame, discende pertanto che è eccezionalmente ammessa l’assunzione, quali lavoratori subordinati, di avvocati iscritti al relativo Albo professionale, a condizione che gli stessi vengano posti alle dirette ed esclusive dipendenze di una pubblica amministrazione, la qual ultima attribuisca loro, in via esclusiva, la trattazione dei propri affari legali.
...OMISSIS...
La disposizione, invero, come bene rileva la sentenza, ha coerentemente previsto non la possibilità che un ente locale si accordi con altre amministrazioni per mettere a comune disposizione il proprio ufficio legale (di fatto, sulla falsariga di un appalto di servizi); bensì la creazione, come oggetto della reciproca cooperazione tra le diverse amministrazioni interessate, di una struttura nuova e comune, sino allora insussistente: ossia “l’ufficio unitario” di avvocatura, da implementare«con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l'esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti».
Nel caso di specie, come si rileva dalle emergenze processuali, non si era in presenza di un ufficio creato ex novo dai comuni interessati all’attivazione, in forma convenzionata, di un servizio legale comune; bensì di una unidirezionale mera messa a disposizione – sia pure tramite articolata (e successiva) convenzione – dei servizi dell’ufficio legale del Comune di Busto Arsizio anche ad altri enti territoriali, secondo un dispositivo riconducibile, in ultimo, a schemi negoziali di tipo privatistico.
Si è dunque al di fuori dello schema legale del richiamato articolo 2, comma 12, la cui natura eccezionale non consente interpretazioni analogiche o estensive.
In particolare la norma, intesa a una razionalizzazione dei pubblici servizi e al conseguente contenimento della spesa, persegue un duplice obiettivo: a) assicurare la fruizione, con carattere di continuità, di un importante servizio quale quello legale “interno” anche agli enti locali inizialmente sprovvisti di siffatta struttura (ad esempio perché di dimensioni minori o impossibilitati ad affrontare la relativa spesa); b) prevenire, per contro, che per tale via si assista ad una nuova proliferazione dei pubblici uffici.
In questi termini non appare di suo necessaria la “messa in comune”, tra i diversi enti locali convenzionati, del personale dagli stessi già dipendente e dotato della qualifica di avvocato: ciò, infatti, verrebbe a contraddire in concreto la ragione della innovazione legislativa, perché precluderebbe l’accesso al servizio a quei comuni cui la norma appare precipuamente diretta, ossia a quelli di dimensioni minori, che finora non hanno potuto avvalersi per ragioni di bilancio di siffatto servizio.
La convenzione tra i comuni interessati, dunque, ben potrebbe prevedere che solo i comuni che già dispongono del relativo personale provvedano a “conferirlo” al costituendo “ufficio comune”, gli altri potendo apportare, in tutto o in parte, personale amministrativo e dotazioni materiali della struttura. Ma ciò che appare insuperabile – ai sensi della riforma – è che l’ufficio (proprio perché “unico”) di avvocatura sia “nuovo” e realmente “comune” ai vari enti territoriali consorziati. Il che comporta, per riflesso, la simultanea cessazione ad ogni effetto dell’ufficio del comune conferente quando sorge l’ufficio comune.
Il testo integrale della sentenza lo trovate qui:
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