Una sentenza importante della corte Costituzionale sulle concessioni di demanio marittimo (n. 109/2018).
Il Presidente del Consiglio dei ministri aveva impugnato gli artt. 7, 8, 9, commi 2 e 3, 41, 48, comma 6, e 49 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 10 (Disposizioni in materia di demanio marittimo regionale e demanio marittimo stradale, nonché modifiche alle leggi regionali 17/2009, 28/2002 e 22/2006), ritenuti in contrasto con l’art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione.
La legge impugnata introduce, in primo luogo, una apposita disciplina relativa alle funzioni amministrative inerenti al demanio marittimo della laguna di Marano-Grado, individuata in ragione di quanto previsto dall’art. 30, comma 2, della legge 5 marzo 1963, n. 366 (Nuove norme relative alle lagune di Venezia e di Marano-Grado). A tale ambito demaniale viene dedicato il Titolo II della legge de qua, cui si riferiscono, in particolare, gli impugnati artt. 7, 8 e 9, inseriti nel Capo afferente alle concessioni ed autorizzazioni e rispettivamente inerenti all’affidamento concessorio, ai criteri che devono guidare le procedure di aggiudicazione nonché alla durata dei titoli in questione
Sempre in tema di demanio marittimo, la legge in esame ha inoltre ampliato l’oggetto della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22 (Norme in materia di demanio marittimo con finalità turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale n. 16/2002 in materia di difesa del suolo e di demanio idrico), in origine chiamata a dettare la disciplina delle sole concessioni demaniali aventi finalità turistico-ricreativa relative ad ambiti demaniali estranei alla citata laguna di Marano-Grado (l’art. 1, comma 3, ne prevede, ancora oggi, l’espressa esclusione).
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha censurato tra l'altro l’art. 9, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n 10 del 2017, il quale, per le concessioni aventi finalità turistico-ricreative relative a beni che insistono nella laguna di Marano-Grado, fissa in quaranta anni il termine di durata massima del titolo.
La disposizione censurata, ad avviso del ricorrente, si pone in contrasto con la disciplina statale che, all’art. 03, comma 4-bis, del citato d.l. n. 400 del 1993, fissa in una forbice tra i sei e i venti anni la durata per le concessioni aventi la medesima finalità; sarebbe altresì in conflitto con le indicazioni di principio emergenti dalla direttiva servizi e dal decreto legislativo che ha dato attuazione alla stessa. Autorizzando una utilizzazione prolungata di una risorsa scarsa, la norma limiterebbe la concorrenza, rendendola recessiva rispetto alle esigenze di integrale ammortamento degli investimenti e alla piena remunerazione del capitale investito dal concessionario, sottese all’intervento normativo regionale impugnato.
Le indicazioni di disciplina derivanti dalla direttiva servizi (comma secondo dell’art. 12) e dalla norma di attuazione della stessa (ultimo comma dell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010) impongono una durata limitata del titolo concessorio, in ragione dell’incidenza che il prolungarsi dell’affidamento assume sulle prospettive legate alle potenzialità di ingresso nel mercato di riferimento di altri potenziali operatori economici.
Di qui l’affermazione della Corte in forza della quale la disciplina inerente alla durata delle concessioni demaniali marittime è di esclusiva competenza legislativa dello Stato, in quanto immediatamente attinente alla materia della «tutela della concorrenza» ex art. 117, secondo comma, lettera e) (da ultimo, sentenza n. 40 del 2017).
Tale competenza, del resto, è stata esercitata dallo Stato con la previsione, contenuta nel comma 4-bis dell’art. 03 del d.l. n. 400 del 1993, così come introdotto dall’art. 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)». Disposizione, questa, con la quale è stato fissato, in modo uniforme per l’intero territorio nazionale, un termine di durata delle concessioni aventi finalità turistico-ricreative, quali quelle considerate dalla norma impugnata, nel massimo pari ad anni venti, palesemente diverso da quello, sempre nel massimo, previsto dalla legge regionale in esame.
Ne consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge regionale impugnata per la riscontrata violazione del limite della tutela della concorrenza.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha anche impugnato l’art. 49 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, esteso, in rubrica, in via generale, alle concessioni demaniali marittime e idriche di pertinenza della Regione resistente.
Il comma 1, lettere a) e b), dell’articolo censurato prevede che il concessionario subentrante debba corrispondere all’uscente un indennizzo che tenga conto sia della quota parte degli investimenti non ammortizzati, sia del valore commisurato all’avviamento maturato in forza dell’attività imprenditoriale svolta utilizzando il bene concesso in uso. Indennizzo, questo, che andrà «determinato dall’amministrazione concedente sulla base di una perizia asseverata, redatta da un professionista abilitato, nominato dal concessionario uscente a sue spese e sottoposta al parere di congruità del Comitato tecnico di valutazione di cui all’articolo 48» (comma 2); il cui valore, inoltre, dovrà essere «reso pubblico in occasione della indizione della procedura comparativa di selezione» (comma 3); e, infine, che costituirà l’oggetto di apposita fideiussione rilasciata da ogni partecipante alla procedura comparativa di selezione, a pena di esclusione dalla stessa (comma 4).
Ad avviso della Presidenza del Consiglio la disposizione avrebbe l’effetto di attribuire all’uscente un indebito vantaggio, così da determinare una restrizione della concorrenza, in aperto contrasto con le già richiamate indicazioni di principio derivanti dalla direttiva servizi e dalle norme di attuazione della stessa.
Piuttosto, va rimarcato che il pagamento dell’indennizzo previsto dalla norma censurata si lega sia alle aspettative patrimoniali del concessionario uscente all’esito della definizione del rapporto concessorio, sia agli obblighi che dovrà assumere il nuovo concessionario in conseguenza dell’avvenuto subentro. Temi, questi, che non trovano regolamentazione nella disciplina legislativa statale di riferimento, contenuta nel codice della navigazione, in caso di ordinaria definizione del rapporto.
In particolare, in ordine al mancato rinnovo della concessione in essere, il codice della navigazione non assegna alcun rilievo alle componenti economico-aziendali dell’impresa del concessionario uscente e, in ogni caso, non prevede oneri destinati a gravare sul nuovo concessionario.
Non diversamente dalla citata disposizione della Regione Toscana già dichiarata illegittima, anche quella oggetto della odierna impugnazione introduce, pertanto, evidenti novità nella regolamentazione delle situazioni patrimoniali conseguenti alla cessazione, per scadenza del termine, delle relative concessioni demaniali, differenziando la disciplina della Regione resistente da quella prevista per il resto del territorio nazionale.
Ne viene che, quali che siano le «[…] giustificazioni addotte dalla Regione a sostegno della scelta normativa in esame, è di chiara evidenza che un siffatto obbligo […] influisce sensibilmente sulle prospettive di acquisizione della concessione, rappresentando una delle componenti del costo dell’affidamento. La previsione dell’indennizzo […] incide infatti sulle possibilità di accesso al mercato di riferimento e sulla uniforme regolamentazione dello stesso, potendo costituire, per le imprese diverse dal concessionario uscente, un disincentivo alla partecipazione al concorso che porta all’affidamento» (sentenza n. 157 del 2017)
Di qui la ritenuta violazione del parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.