venerdì 13 luglio 2018

LA CASSAZIONE INTERVIENE STABILENDO CHE IN CASO FLAGRANZA DI ABUSI ALL'INTERNO DI AREE PROTETTE POSSA ESSERE DISPOSTO IL SEQUESTRO PREVENTIVO

La Corte di Cassazione, Sez. III n. 28736 del 21 giugno 2018 Presidente: Di Nicola Estensore: Ramacci Imputato: Faenza ha emesso una interessantissima decisione in tema di abusi in aree protette 
L’art. 30, comma 3 della legge 394/1991 non limita né preclude in nessun caso la possibilità di procedere al sequestro preventivo nei casi previsti dall’art. 321 cod. proc. pen. in quanto stabilisce che, in caso di violazioni costituenti ipotesi di reati perseguiti ai sensi degli articoli 733 e 734 del codice penale, può essere disposto dal giudice o, in caso di flagranza, per evitare l'aggravamento o la continuazione del reato, dagli addetti alla sorveglianza dell'area protetta, il sequestro di quanto adoperato per commettere gli illeciti ad essi relativi.
Come emerge dal tenore letterale della disposizione, la stessa prende in considerazione le ipotesi in cui condotte poste in essere in violazione delle disposizioni contenute nella stessa legge n. 394 del 1991 siano idonee a configurare anche le contravvenzioni codicistiche espressamente richiamate, che sanzionano, rispettivamente, il danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale e la distruzione o il deturpamento di bellezze naturali.
Tale esplicito richiamo, va osservato, costituisce evidente conferma della possibilità del concorso tra i reati sanzionati dalla legge quadro e le due contravvenzioni contenute nel codice penale, ma, nel disciplinare i poteri di natura cautelare, non ne limita affatto l’esercizio a queste sole ipotesi.
Come invero si è fatto rilevare dalla dottrina in uno dei primi commenti alla legge quadro, la richiamata disposizione viene definita “ultronea”, dal momento che l’art. 321 cod. proc. pen. già prevede la possibilità del sequestro preventivo e “mal coordinata”, in quanto il termine giudice è indicato in maniera impropria, non avendo il legislatore considerato che prima dell’entrata in vigore della legge n. 394 del 1991 (28/12/1991) l’art. 321 cod. proc. pen. era stato modificato dal d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 (entrato in vigore il 15/2/1991), il quale, con l’art. l'art. 15, comma 1, lettere a) e b), aveva modificato il comma 3 dell’art. 321 cod. proc. pen. e introdotto, nel medesimo articolo, il comma 3-bis, prevedendo quindi la possibilità, per il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, di procedere al sequestro preventivo.
Si osservava anche che una diversa lettura della disposizione in esame sarebbe inspiegabile, non trovando giustificazione una limitazione alla competenza esclusiva del giudice per di più in ipotesi di violazioni di particolare rilievo.
Tali osservazioni sono state successivamente riprese, sempre dalla dottrina, osservando come la disposizione mantenga comunque una propria operatività laddove attribuisce il potere di sequestro agli addetti alla sorveglianza dell'area protetta, nel caso in cui costoro non rivestano la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di osservazioni pienamente condivisibili, perché rispondenti ad una razionale lettura della disposizione in esame, giustificata non soltanto dalla rilevata sequenza temporale degli interventi normativi, tra loro non coordinati, ma anche dalla altrimenti inspiegabile disparità di trattamento che verrebbe a verificarsi rispetto a diverse situazioni, laddove, in presenza di reati conseguenti alla violazione di norme finalizzate alla tutela di aree soggette a particolare protezione, la possibilità del vincolo di cautela reale dovesse ritenersi limitata solo ad alcune particolari situazioni, restando invece intatta rispetto a tutte le altre violazioni penali, anche di minor rilievo, diversamente disciplinate.
Si è affermato che il "periculum in mora", il quale, ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen., legittima il sequestro preventivo, deve essere inteso in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro e presentare i caratteri della concretezza e della attualità e che è inoltre necessaria la intrinseca, specifica e strutturale strumentalità del bene oggetto della misura rispetto al reato commesso, ovvero a quelli di cui si paventa la realizzazione, in modo che l'individuato legame non sia meramente occasionale ed episodico (così Sez. 5, n. 35394 del 19/9/2011, Ministero Della Giustizia e altro, Rv. 250930).
Nel caso di specie il Tribunale ha correttamente giustificato la sussistenza del periculum in mora con l’essere il ricorrente un pescatore di professione e che pertanto l’imbarcazione sequestrata, dotata di sofisticate dotazioni, e specificamente predisposta per l’esercizio della pesca, se lasciata nella libera disponibilità dell’indagato avrebbe potuto essere nuovamente impiegata all’interno di aree marine protette.
Si tratta, anche in questo caso, ad avviso del Collegio, di motivazione adeguata e conforme a legge, che va peraltro considerata non isolatamente, ma anche in relazione alle altre argomentazioni sviluppate dai giudici del riesame, i quali in altre parti dell’ordinanza impugnata hanno posto in evidenza che l’indagato esercitava abitualmente la pesca nella zona, come obiettivamente confermato dalla descrizione delle modalità di sbarco e carico del pescato obiettivamente indicative di una perfetta conoscenza dei luoghi. 
Il Tribunale, dunque, non si è limitato alla formulazione di mere ipotesi, ma ha basato le sue affermazioni su dati concreti, obiettivamente valutati, senza incorrere in alcuna violazione di legge.

Nessun commento:

Posta un commento