sabato 22 luglio 2017

LA CORTE DEI CONTI SULLE NUOVE NORME SULLE SOCIETA' PARTECIPATE (D.LGS 100/2017)

La Sezione di controllo della Valle d'Aosta della corte dei conti con un parere (n.7 del 14 luglio 2017) reso a seguito di richiesta della Regione autonoma sui tempi di applicabilità delle nuove norme sulle società partecipate si è così espressa:
"...l’amministrazione richiedente domanda come il mutato quadro organizzativo si interfacci con le previsioni codicistiche e, nello specifico, con quelle di cui al titolo V, del capo V, Sez. VI-bis del codice civile e con quali tempistiche.
In via preliminare, sebbene il TU crei una disciplina di settore generale e organica, atta a superare la pletora di precetti normativi susseguitesi nel tempo, va segnalato che il medesimo si innesta in un quadro legislativo tuttora vigente che regolamenta le cause di incompatibilità tra incarichi dirigenziali interni ed esterni e cariche di componenti degli organi di indirizzo nelle amministrazioni. Tale stringente quadro, al quale le amministrazioni devono già essersi conformate, ora completato dalla previsione delle ulteriori misure dirette a implementare le ipotesi di incompatibilità già legiferate, è utile ad indicare, anche per analogia, le tempistiche di applicazione dell’art. 11 del nuovo TU.
Nello specifico, espresso rinvio viene effettuato dal TU alle disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi previste dall’art. 12, d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1 commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”, che, come accennato, ha già introdotto una normativa organica sul tema, delineando la disciplina valida in relazione sia alle pubbliche amministrazioni sia ai soggetti privati di controllo pubblico.
In merito alle tempistiche di applicazione del predetto decreto, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), con avviso n. 46 del 27 giugno 2013, si è pronunciata nel senso che se le norme del decreto non incidono sulla validità dei preesistenti atti di conferimento degli incarichi, la legge sopravvenuta ben può disciplinare ipotesi di incompatibilità tra incarichi e cariche con il conseguente obbligo di eliminare la situazione divenuta “contra legem” attraverso apposita procedura.
Ancora, “gli incarichi e le cariche presi in esame dalla nuova disciplina sul punto, infatti, comportano l’espletamento di funzioni e poteri che si protraggono nel tempo (quali, ad esempio atti di gestione finanziaria, atti di amministrazione e gestione del personale, ecc.). Trattandosi di un “rapporto di durata”, dunque, il fatto che l’origine dell’incarico si situa in un momento anteriore non può giustificare il perdurare nel tempo di una situazione in contrasto con la norma, seppur sopravvenuta. Deve concludersi, pertanto, che la disciplina è di immediata applicazione. Ne deriva che non è in questione l’applicazione del principio della irretroattività della legge, quanto piuttosto l’eventuale differimento dell’efficacia delle norme sull’incompatibilità, che avrebbe richiesto una possibile ma necessariamente espressa previsione da parte del legislatore. Ma ciò non è avvenuto”.
L’art. 11 del TU fornisce indicazioni puntuali sulle forme di governance da instaurare e sui requisiti che i soggetti in posizione apicale devono possedere nelle società a controllo pubblico. La norma esprime in maniera altrettanto chiara ulteriori aspetti oltre a quelli già richiamati relativi a ipotesi di inconferibilità e incompatibilità. Il comma 8 prevede, infatti, due casistiche ben distinte e non sovrapponibili, quali rispettivamente: il divieto per i dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o di quella titolare di poteri di indirizzo e di vigilanza di assumere incarichi di amministratore di società a controllo pubblico; la possibilità, invece, per i dipendenti della società controllante, in virtù del principio della onnicomprensività della retribuzione, di rivestire l’incarico con l’obbligo di riversare i relativi compensi all’amministrazione o alla società di appartenenza.
Il comma 11 prevede altresì che, nelle società in cui le amministrazioni pubbliche detengono un controllo di tipo indiretto, non è consentito nominare amministratori della società controllante, a meno che agli stessi non siano attribuite deleghe gestionali a carattere continuativo, ovvero la nomina risponda all’esigenza di rendere disponibili alla società controllata particolari e comprovate competenze tecniche o di favorire l’espletamento dell’attività di direzione e di coordinamento.
A monte di tale contesto, il codice civile, all’art. 2382, definisce le cause di ineleggibilità preesistenti alla nomina o intervenute nel corso dello svolgimento della carica. Nel primo caso, la presenza di una causa di ineleggibilità all’atto della nomina rende la stessa nulla. Qualora, al contrario, la causa di ineleggibilità si verifichi in corso del mandato dell’amministratore, la stessa comporta l’automatica e immediata decadenza dall’incarico.
Accanto alla citata fonte civilistica, si è andato sviluppando nel tempo un corpus di disposizioni particolari previste da leggi speciali che hanno disciplinato le cause di incompatibilità, fra le quali appare opportuno richiamare il d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (TUB-Testo unico delle leggi in materia di intermediazione bancaria e creditizia), come modificato dal d.lgs. 14 novembre 2016, n. 223, e il d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF-Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), come modificato dal d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, le cui disposizioni appaiono analogicamente applicabili a quelle in esame. Tuttavia, le predette cause, diversamente da quelle di ineleggibilità, non rendono sempre invalida la deliberazione di nomina, in quanto, laddove la nomina sia in corso, al soggetto interessato è concessa la possibilità di opzione fra l’incarico precedente e quello sopravvenuto.
Nondimeno, con riferimento agli artt. 26 TUB (così come anche richiamato dall’art. 110 TUB) e 147-ter, comma 4, TUF, le predette cause non possono che comportare egualmente la decadenza immediata dall’incarico. Ciò, soprattutto in mancanza di ulteriori previsioni legislative che prevedono l’applicabilità dei disposti di legge alla scadenza naturale dei consigli di amministrazione, come invece espressamente contemplato in passato da altre norme (a titolo esemplificativo, cfr.: testo storico art. 6, comma 6, d.l. n. 78/2000; testo storico art. 4, comma 4, d.l. n. 95/2012; testo vigente art. 16, comma 2, d.l. n. 90/2014), quando il legislatore l’ha ritenuto opportuno secondo l’antico brocardo “ubi lex voluit, dixit”.
Peraltro, il disposto dell’art. 2383, comma 2, c.c., richiamato dall’amministrazione regionale a sostegno della soluzione dalla medesima prospettata, pone esclusivamente un limite massimo di durata dell’incarico degli amministratori -tre esercizi-, lasciando spazio a tutte le possibili ipotesi di decadenza e revoca previste dai predetti artt. 2382 e 2383 c.c. che possono intervenire in qualunque momento del triennio.
La tassatività della previsione contenuta nell’art. 11 TU impone quindi che la stessa trovi applicazione immediata, tanto più che il comma 8 non si esprime nel senso che non possono essere “nominati” amministratori i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, ciò che lascerebbe pensare a un divieto relativo a una futura nomina rispetto a quella in corso, bensì introduce il pronto divieto del duplice ruolo"

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