Per la prima volta la Corte Suprema di Cassazione,
Sezione III con la Sentenza n. 46170 in data 3 novembre 2016 ha affrontato l’applicazione
dell'art. 452-bis cod. pen. introdotto con la legge 22 maggio 2015 n. 68, la
quale ha disposto l’inserimento nel codice penale, nel Libro Secondo, della
Parte Sesta—bis relativa ai delitti contro l’ambiente rispetto ai quali neppure
la dottrina, nei contributi sinora offerti, è pervenuta a conclusioni univoche.
La Corte ha ragionato come segue: L’art. 452-bis cod. pen. così dispone: “È punito con la reclusione da due a sei anni
e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una
compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle
acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del
sottosuolo;
2) di un
ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l'inquinamento è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a
vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o
archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è
aumentata”.
Il Tribunale del riesame ha, in primo luogo,
ritenuto sussistente il requisito della «abusività» della condotta, sul
presupposto che l'attività veniva svolta in spregio alle prescrizioni imposte
dal progetto di bonifica….in relazione al requisito dell’abusività della
condotta… si è recentemente ricordato… che sussiste il carattere abusivo
dell'attività organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo ad integrare il
delitto - qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle
prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali
autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche
quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate
al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli
autorizzati…-omissis- Tali principi sono senz'altro utilizzabili anche in
relazione al delitto in esame, rispetto al quale deve peraltro rilevarsi come
la dottrina abbia, con argomentazioni pienamente condivisibili, richiamato i
contenuti della direttiva 2008/99/CE e riconosciuto un concetto ampio di
condotta «abusiva», comprensivo non soltanto di quella posta in essere in
violazione di leggi statali o regionali, ancorché non strettamente pertinenti
al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative. Alla luce di
tali considerazioni le conclusioni assunte sul punto dal Tribunale risultano
del tutto legittime come pure riconosciuto dal ricorrente.
Anche in ordine all'individuazione del bene
ambientale sul quale si riverberano le conseguenze della condotta non vi è
incertezza alcuna, essendo le acque in genere, così come l'aria, espressamente
contemplate dall'art. 452-bis cod. pen. senza alcun riferimento quantitativo o
dimensionale, di fatto difficilmente individuabile, diversamente da quanto
previsto riguardo al suolo ed al sottosuolo, il cui degrado deve interessarne
«porzioni estese o significative». È tuttavia evidente che, in ogni caso,
l'estensione e l'intensità del fenomeno produttivo di inquinamento ha comunque
una sua incidenza, difficilmente potendosi definire «significativo» quello di
minimo rilievo, pur considerandone la più accentuata diffusività nell'aria e
nell'acqua rispetto a ciò che avviene sul suolo e nel sottosuolo. La questione,
tuttavia, non si pone nel caso in esame, risultando dall'ordinanza impugnata
(pag. 7) che l'area interessata dall'intervento bonifica ha un'estensione di
85.000 mq.
Ciò che invece viene posto in dubbio dai giudici
del riesame, come si è detto in precedenza, è il fatto che l'esito delle
condotte accertate abbiano effettivamente determinato quella compromissione o
un deterioramento significativi e misurabili che la norma richiede.
Nell'individuazione del significato concreto da attribuire ai termini
«compromissione» e «deterioramento» non assume decisivo rilievo la
denominazione di «inquinamento ambientale» attribuita dal legislatore al reato
in esame, che evidenzia, sostanzialmente, una condizione di degrado
dell'originario assetto dell'ambiente e neppure sembra di particolare ausilio
la definizione contenuta nell'art. 5, comma 1, lett 1-ter del d.lgs. 152\06,
che lo stesso articolo, in premessa, indica come fornita ai fini
dell'applicazione di quello specifico testo normativo, così come il riferimento
ad un «deterioramento significativo e misurabile» contenuto nella definizione
di danno ambientale nell'art.300 del medesimo d.lgs. Più in generale, deve
ritenersi non rilevante, a tali fini, l'utilizzazione del medesimo termine nel
d.lgs. 152\06 (o in altre discipline di settore) non soltanto perché effettuata
in un diverso contesto e per finalità diverse, ma anche perché, quando lo ha
ritenuto necessario, la legge 68\2015 ha espressamente richiamato il d.lgs.
152\06 o altre disposizioni. L’indicazione dei due termini con la congiunzione
disgiuntiva "o" svolge una funzione di collegamento tra i due termini
- autonomamente considerati dal legislatore, in alternativa tra loro - che
indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono
entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell'originaria consistenza
della matrice ambientale o dell'ecosistema caratterizzata, nel caso della
"compromissione", in una 6 Corte di Cassazione - copia non ufficiale
condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di "squilibrio
funzionale", perché incidente sui normali processi naturali correlati alla
specificità della matrice ambientale o dell'ecosistema ed, in quello del
deterioramento, come "squilibrio strutturale", caratterizzato da un
decadimento di stato o di qualità di questi ultimi. Da ciò consegue che non
assume rilievo l'eventuale reversibilità del fenomeno inquinante, se non come
uno degli elementi di distinzione tra il delitto in esame e quello, più
severamente punito, del disastro ambientale di cui all'art. 452-quater cod.
pen.
L’ambito di operatività dell'art. 452-bis cod. pen.
è anche delimitato dalla ulteriore precisazione che la compromissione o il
deterioramento devono essere comunque, «significativi» e «misurabili», venendo
così elevato in modo considerevole il livello di lesività della condotta,
escludendo i fatti di minore rilievo. Anche in questo caso, infatti, non può
prescindersi dal significato lessicale dei termini utilizzati - anch'essi non
estranei al diritto ambientale, in quanto utilizzati, ad esempio, nel già
citato art. 300 del d.lgs. 152\06 — considerando che il termine
"significativo" denota senz'altro incisività e rilevanza, mentre
"misurabile" può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o,
comunque, oggettivamente rilevabile. L’assenza di espliciti riferimenti a
limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi
consente di escludere l'esistenza di un vincolo assoluto per l'interprete
correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento,
come è stato da più parti già osservato, non implica necessariamente una
situazione di danno o di pericolo per l'ambiente, potendosi peraltro presentare
casi in cui, pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione
sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile.
Ovviamente, tali parametri rappresentano comunque
un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo
scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento
concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento
causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge mentre
tale condizione, ovviamente, non può farsi automaticamente derivare dal mero
superamento dei limiti. 9. Ciò posto, deve rilevarsi che il Tribunale, nel
fornire la propria lettura della norma codicistica in esame, richiamando
sommariamente i contenuti della relazione redatta dall'Ufficio del massimario
(rel. n. 111/04/2013 del 29/5/2015) ha ritenuto di qualificare i richiesti
requisiti della compromissione o del deterioramento come condizione di 7 Corte
di Cassazione - copia non ufficiale "tendenziale irrimediabilità",
caratterizzata da "situazioni di strutturali e non provvisorie inabilità
del bene rispetto alle sue funzioni", evidenziando anche la rilevanza del
danno che caratterizza la condotta. Ha tuttavia escluso la sussistenza del
reato sulla base di alcune considerazioni che non appaiono, tuttavia,
condivisibili. Cattività posta in essere dall'indagato, ancorché ritenuta
abusiva nei termini dianzi specificati, viene presa in considerazione, quanto
agli effetti, con riferimento al solo livello di torbidità delle acque,
ritenuta un fenomeno inevitabile in presenza di attività di dragaggio. Il
Tribunale esclude però la compromissione o il deterioramento consistente e
qualificabile ritenendo non rilevante, in quanto non più verificatasi, una
moria di molluschi avvenuta nel 2015.
Tali conclusioni non convincono, perché, in primo luogo, paiono riferirsi ad una individuazione dei termini "compromissione" e "deterioramento" che concentra l'attenzione su una condizione di "tendenziale irrimediabilità" che, per le ragioni in precedenza indicate, la norma non prevede. Inoltre, il riferimento alla torbidità dell'acqua ed alla moria di mitili nei termini sopra specificati paiono, in assenza di ulteriori specificazioni, riferite soltanto ad alcuni degli effetti prodotti dalla condotta oggetto di provvisoria incolpazione, prescindendo così dal considerare compiutamente quelle condizioni di "squilibrio funzionale o strutturale" che, ad avviso del Collegio, caratterizzano la condotta penalmente rilevante. In altre parole, sembra che i giudici del riesame abbiano valutato solo quei dati fattuali astrattamente riconducibili alla condizione di irrimediabilità tendenziale del danno preventivamente individuata, offrendo argomentazioni certamente accurate, ma basate su un presupposto errato, lasciando in disparte, evidentemente perché non ritenuti rilevanti, altri aspetti dei quali viene invece dato atto in altre parti del provvedimento, quali, ad esempio, la presenza nei fanghi fuoriusciti dall'area di bonifica, di sostanze tossiche quali i metalli pesanti ed idrocarburi policiclici aromatici (questi ultimi qualificati anche come cancerogeni e mutageni), la cui presenza nelle acque, indipendentemente dagli effetti letali sulla fauna, può determinarne la contaminazione; il livello di torbidità comunque accertato nonostante l'ARPAL avvisasse preventivamente dei controlli gli interessati, i quali, opportunamente evitavano il dragaggio in previsione dei controlli. I dati acquisiti andavano dunque diversamente e globalmente valutati ai fini della qualificazione giuridica dei fatti e della sussistenza del fumus del reato.
IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA LO TROVATE QUI:
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