giovedì 3 novembre 2016

LA CONFERENZA DELLE REGIONI ESPRIME UN PARERE MOLTO ARTICOLATO SULLA RIFORMA DELLA DIRIGENZA

Nella seduta tenutasi ieri 3 novembre la Conferenza delle Regioni ha espresso un parere favorevole sul decreto legislativo sulla dirigenza della Repubblica. Il “via libera” è però condizionato all'accoglimento di osservazioni ed emendamenti contenuti in un documento che è stato consegnato al governo nel corso della Conferenza Unificata del 3 novembre. In particolare la Conferenza delle Regioni ricorda che “l’articolo 123 della Costituzione prevede che lo Statuto delle Regioni a Statuto ordinario definisca “la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento” e che essa sia soggetta al solo limite dell’“armonia con la Costituzione”. Non solo, occorre anche “garantire il rispetto dell’articolo 114, comma 2, della Costituzione, riconoscendo la necessaria autonomia alle Regioni ed agli Enti Locali” e per questo “è indispensabile per garantirne il corretto funzionamento in ordine al ruolo politico-istituzionale agli stessi Enti assegnato”.
Inoltre le Regioni rilevano che il decreto legislativo non prevede che il DPCM da emanare per omogeneizzare il trattamento economico fondamentale ed accessorio del ruolo dei dirigenti regionali sia adottato “previa intesa in sede di Conferenza Stato–Regioni”. I punti principali su cui si è soffermata la Conferenza sono i seguenti:
Punto 1) O.d.g. Conferenza Unificata
Elementi di carattere generale
La Conferenza delle Regioni e delle PPAA ha espresso il proprio assenso ad alcune delle misure contenute nella Legge n. 124/2015, ma per quanto riguarda, in particolare, la Riforma della dirigenza, ad esclusione della Regione Veneto che ha promosso ricorso per illegittimità costituzionale della legge delega, piena condivisione avevano trovato gli obiettivi di revisione dei sistemi di reclutamento, formazione e valutazione, del conferimento degli incarichi, della mobilità e di migliore definizione delle responsabilità e dei relativi trattamenti economici; ciò in ottica di un sempre maggiore riconoscimento del merito, delle capacità professionali e dei risultati effettivamente conseguiti rispetto agli obiettivi assegnati da parte dei dirigenti. Inoltre erano state valutate positivamente le finalità perseguite dal decreto nel senso di chiarire, ancora meglio rispetto all'ordinamento attuale, il rapporto fra politica e dirigenza e gli aspetti legati alla prevenzione della corruzione. 
La lettura del testo di decreto deliberato dal CdM il 25/8/2016, sembra invece privilegiare altre finalità, non sempre coerenti, e talora contrastanti, con quelle positivamente condivise. Emergono infatti nelle disposizioni approvate un insieme di elementi che destano perplessità:
- forte attenzione alla omogeneità delle procedure e dei trattamenti, spesso a discapito della funzionalità e talora sfociante in un neo-centralismo burocratico in contrasto con i principi di autonomia organizzativa delle amministrazioni regionali e locali espressi dal quadro costituzionale, anche nelle linee di sviluppo espresse dalla riforma recentemente approvata;
- sistema di reclutamento eccessivamente articolato e conseguentemente inidoneo a riscontrare in tempi accettabili i fabbisogni di una moderna PA;
- previsione di procedure di conferimento degli incarichi dirigenziali particolarmente attente a garantire la ridistribuzione di tutti gli attuali dirigenti in servizio, piuttosto che a privilegiare l’esigenza delle diverse PA di incaricare i dirigenti più meritevoli e più adatti al perseguimento degli obiettivi di governo o organizzazione delle strutture pubbliche;
- criteri di composizione e organizzazione dei diversi organismi previsti dalla riforma (Commissioni per la dirigenza pubblica, SNA, …) di impronta fortemente statalista, che tenderanno inevitabilmente a ricondurre la nuova figura del dirigente della Repubblica verso la dirigenza statale, eludendo l’obiettivo di rispondere alle differenziate esigenze professionali della PA italiana nelle sue diverse espressioni (statale, regionale, locale e settoriale);
- non chiara definizione degli effetti che si produrranno a carico degli enti a seguito della decisione di non confermare nell'incarico i dirigenti, con particolare riferimento alla copertura delle retribuzioni dei dirigenti privi di incarico;
- diffusa introduzione in norme sostanziali di richiami a vincoli di carattere economico-finanziario, per loro natura mutevoli nel tempo, ed in quanto tali più propriamente da rinviare alle leggi di stabilità o a norme della medesima natura.
Il Consiglio di Stato, nel parere al provvedimento, ha confermato e ribadito le principali osservazioni poste di seguito, a partire dalla necessaria previsione dell’intesa forte sui punti centrali di applicazione di questa disciplina per le Regioni.
Le successive osservazioni e proposte emendative vogliono quindi rappresentare la condizione per una revisione del testo del decreto nel senso di una più coerente adesione alle finalità della legge delega, segnalando, peraltro, in quali parti il decreto stesso pare contrastare con le norme costituzionali a tutela dell’autonomia organizzativa delle regioni e risulta viziato da eccesso di delega rispetto ai criteri direttivi fissati dalla legge n. 124/2015. Una disposizione specifica dovrà, inoltre, riguardare il raccordo con le prerogative delle autonomie speciali, anche con riferimento alla dirigenza degli enti locali il cui ordinamento ricade nelle competenze delle medesime.
Si ritiene, infine, opportuno definire una fase di graduale transizione al nuovo ordinamento con particolare riferimento al sistema di conferimento degli incarichi dirigenziali al fine di evitare il sovrapporsi di norme e l’incertezza delle procedure.
Osservazioni di compatibilità costituzionale dello schema di decreto legislativo
Lo schema di provvedimento, in più parti, presenta numerosi rilievi di carattere costituzionale in relazione alle competenze riconosciute alle regioni in materia organizzazione e regolazione degli uffici nonché all'autonomia politico-amministrativa delle scelte nella disciplina dell’organizzazione della dirigenza, che rientra pienamente nella materia “ordinamento e organizzazione amministrativa regionale” di competenza residuale ai sensi dell’articolo 117 quarto comma della Costituzione, come già affermato dalla Corte costituzionale (sentenza 149/2012).
Inoltre, va rilevato il fatto che il testo dello schema proposto impedisce agli organi politici e in particolare al Presidente della Regione di esercitare la sua legittima competenza attraverso il programma politico, in quanto ogni programma richiede la collaborazione attuativa della dirigenza, che le proposte normative in discussione mettono integralmente nelle mani di organismi statali.
Questa riforma, come elaborata potrebbe quindi riflettersi sugli assetti e sulle potestà di enti costituzionalmente garantiti.
L’articolo 123 della Costituzione prevede che lo Statuto delle Regioni a Statuto ordinario definisca “la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento” e che essa sia soggetta al solo limite dell’ “armonia con la Costituzione”.
Garantire il rispetto dell’articolo 114, comma 2, della Costituzione, riconoscendo la necessaria autonomia alle Regioni ed agli Enti Locali è indispensabile per garantirne il corretto funzionamento in ordine al ruolo politico – istituzionale agli stessi Enti assegnato. Escludere o limitare eccessivamente gli Enti dotati di autonomia organizzativa, legislativa, statutaria e regolamentare dai processi di individuazione della Dirigenza chiamata a garantire il funzionamento degli Enti stessi, produce l’ovvia conseguenza dell’impossibilità di funzionare secondo gli ordinari canoni della democrazia e della connessa responsabilità politico amministrativa, similmente a quanto avverrebbe se non venisse riconosciuta la medesima autonomia alle Autorità Indipendenti.
Il parere integrale lo trovate qui:

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