Come una bomba di inusitata potenza è esplosa ieri la notizia della sentenza della Corte Costituzionale n. 215/2016 sul ricorso della regione Veneto contro la riforma della pubblica amministrazione; una sentenza che ha accolto le ragioni della parte ricorrente giudicando incostituzionale la procedura prevista nella legge 124/2016 proposta dal Governo per modificare la pubblica amministrazione. in quanto anziché delle "intese" si parla di "parere", per cui tra stato e regioni non sono intervenute delle intese, ma è solo stato sentito il loro parere, per cui il Governo è andato avanti anche se questo era contrario. La Corte per sviluppare la propria analisi ha provveduto in primo luogo ad esaminare le materie contenute nella legge delega per verificare se rientrassero tre le materie che in base alla Costituzione vigente sono di competenza dello Stato ovvero facessero parte di quelle materie inserite nella legislazione concorrente per le quali è necessario che il legislatore statale rispetti il principio di leale collaborazione e preveda adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze.
Già in precedenti occasioni, la Corte ha ritenuto che il legislatore statale debba vincolare l’attuazione della propria normativa al raggiungimento di un’intesa, basata sulla reiterazione delle trattative al fine del raggiungimento di un esito consensuale, nella sede della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza unificata, a seconda che siano in discussione solo interessi e competenze statali e regionali o anche degli enti locali. Nella giurisprudenza della Corte le Conferenze sono ritenute una delle sedi più qualificate per realizzare la leale collaborazione e consentire, in specie, alle Regioni di svolgere un ruolo costruttivo nella determinazione del contenuto di atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale.
Ora in questa sentenza la Corte afferma – in senso evolutivo rispetto alla giurisprudenza precedente –che l’intesa nella Conferenza è un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati, che il Governo adotta sulla base di quanto stabilito dall’art. 76 Cost. Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi e condizionati a tutte le indicazioni contenute nella Costituzione e nella legge delega, non possono sottrarsi alla procedura concertativa, proprio per garantire il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze.
In particolare e con riguardo, invece, alle norme contenenti la delega al Governo in tema di riorganizzazione della dirigenza pubblica (art.11), la Corte costituzionale ha ravvisato un concorso di competenze, inestricabilmente connesse, statali e regionali, nessuna delle quali è prevalente, in particolare in relazione all’istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali e alla definizione, da un lato, dei requisiti di accesso, delle procedure di reclutamento, delle modalità di conferimento degli incarichi, nonché della durata e della revoca degli stessi (aspetti inerenti all’organizzazione amministrativa regionale, di competenza regionale), dall’altro, di regole unitarie inerenti al trattamento economico e al regime di responsabilità dei dirigenti (aspetti inerenti al rapporto di lavoro privatizzato e quindi riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, di competenza statale). Pertanto, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nella parte in cui, pur incidendo su materie di competenza sia statale sia regionale, prevedono che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni, che non è l’intesa, ma il semplice parere, non idoneo a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali. Anche la sede individuata dalle norme impugnate non è idonea, dal momento che le norme impugnate toccano sfere di competenza esclusivamente statali e regionali. Il luogo idoneo per l’intesa è, dunque, la Conferenza Stato-Regioni e non la Conferenza unificata.
La Corte ha circoscritto il proprio scrutinio solo alle disposizioni di delega specificamente impugnate dalla Regione Veneto, lasciando fuori le norme attuative. Le pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa. Le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell'esercizio della sua discrezionalità, riterrà di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione.
Una lezione dura non solo per chi ha ritenuto di volgere a proprio favore procedure e previste dalla Costituzione che fino ad ora hanno assicurato un contributo costruttivo da parte delle regioni correggendo spesso errori del Governo, ma anche per gran parte delle opposizioni che siedono in Parlamento e delle altre regioni che non hanno saputo o ritenuto accorgersi di questo stravolgimento della Costituzione.
A titolo di cronaca il Senato approvò il provvedimento in via definitiva con 145 voti favorevoli e 97 contrari, su 243 presenti.
I decreti delegati fin qui emanati sono a rischio e così pure quelli approvati sul filo di lana il 24 novembre scorso due dei quali: quello sulla dirigenza pubblica e quello sui servizi pubblici locali sono stati, di fatto, già ritirati.
Ma oramai non c'è più tempo per le modifiche dato che la delega è scaduta
La sentenza è reperibile sul sito della Corte Costituzionale http://www.cortecostituzionale.it/
Ma oramai non c'è più tempo per le modifiche dato che la delega è scaduta
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