venerdì 4 agosto 2017

COSA DEVE FARE IL COMUNE NEL CASO DI ANNULLAMENTO DEL PERMESSO A COSTRUIRE....UN CASO INTERESSANTE

Il Consiglio di Stato, Sezione VI, in data 28 luglio ha pubblicato l'interessante sentenza n. 3789/2017 riguardante una ordinanza di demolizione di opere abusive.
L'atto, come sempre ampiamente motivato argomenta come segue:
"La Sezione ben conosce l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, fermo il carattere dovuto dell’ingiunzione a demolire, in presenza della constatata realizzazione di un’opera senza titolo abilitativo (o in totale difformità da esso) e, in linea di principio, la sufficienza della motivazione limitata all'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, la repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
Tuttavia, con riferimento al caso di specie questo Collegio, come fondatamente osservato dal Tar, ritiene che l’orientamento suindicato non possa trovare applicazione.
Prima di tutto, e in termini generali, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento, tuttora maggioritario, della giurisprudenza amministrativa, secondo cui la risalenza nel tempo dell’opera, di per sé, non incide sul potere di repressione dell’abuso da parte della P.A., sicché in sede di emissione dell’ordinanza di demolizione non si richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto (così, ex multis, Cons. di Stato, sez. VI, nn. 13 del 2015, 5792 del 2014 e 6702 del 2012).
Nella fattispecie, l’ordinanza di demolizione irrogata alla società *** risulta sufficientemente motivata attraverso l’individuazione della struttura e delle sue caratteristiche, e mediante l’indicazione del carattere abusivo dell’intervento compiuto per l’assenza del necessario permesso di costruire, risultando così in re ipsa l’interesse pubblico ai corretti uso e gestione del territorio.
Per quanto riguarda il reiterato rilievo difensivo di parte appellante incentrato sull’assai lungo lasso di tempo trascorso tra la realizzazione del manufatto (tra l’altro, nemmeno da parte della ricorrente ma direttamente dal costruttore e comunque dal precedente proprietario e dante causa; e in disparte la soluzione da dare alla questione, non necessaria per decidere, sulla data effettiva della esecuzione dei lavori oggetto dell’ordinanza di demolizione), e l’emissione dell’ordinanza impugnata, tale elemento non assume rilievo nel senso prospettato dalla società appellante e ciò perché non risulta comprovato che il Comune fosse sin da epoca risalente a conoscenza dell’abuso commesso –si sostiene- negli anni 1963 -1965, durante la costruzione del fabbricato.
Neppure risulta comprovata la conoscenza dell’abuso, da parte del Comune, con riferimento alla data della presentazione della istanza di sanatoria.
E’ esatto infatti quanto afferma la difesa civica e, cioè, che il Comune ha attivato il procedimento di repressione dell’abuso edilizio –illecito permanente- non appena la società ha rinunciato alla istanza di sanatoria, il che è avvenuto nel giugno del 2014, come risulta in atti.
Tra l’istanza di archiviazione della sanatoria e l’adozione della misura repressiva impugnata in primo grado, datata 27 aprile 2015, è dunque trascorso meno di un anno (senza considerare che l’avviso di avvio del procedimento di repressione dell’abuso edilizio è stato consegnato alla società *** il 16 febbraio 2015), periodo di tempo, come appare evidente, tale da non far sorgere in capo al privato un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva o, perlomeno, tale da subordinare la legittimità dell’ingiunzione di demolizione a una motivazione rinforzata sull’interesse pubblico prevalente alla demolizione della struttura.
Sul punto vanno aggiunte altre due considerazioni.
La prima attiene al fatto che il fabbricato ricade in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (v. d.m. 14.12.1959, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico del complesso insulare di ***; cfr., ora, l’art. 157, lett. c), del t. u. n. 42 del 2004; v. anche l’art. 167 del t. u. cit., oltre a essere posta all’interno della conterminazione lagunare –l. n. 366 del 1963), e in tale ipotesi la prevalenza dell'interesse pubblico sull'interesse privato è comunque da considerarsi in re ipsa, in considerazione del rilievo costituzionale del paesaggio, ex art. 9, comma 2, Cost. (sulla tutela del paesaggio inserita dall’art. 9 Cost. tra i propri principi fondamentali, così da assurgere a valore primario o assoluto, si può fare rinvio a Corte cost. , n. 367/07), sicché sono da considerarsi recessivi gli interessi privati in conflitto con il preminente interesse alla tutela del bene paesaggio (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4610 del 2012).
La seconda annotazione riguarda la legittimazione passiva della società *** rispetto all’ordine di demolizione, e si collega con il profilo di censura d’appello basato sulla affermata, omessa considerazione dell’affidamento della società ricorrente in ordine alla “legittimità” dell’immobile acquistato.
Il Collegio –in disparte le considerazioni difensive comunali che inducono a dubitare della fondatezza della tesi della buona fede di parte appellante in quanto nuova proprietaria; e precisato che la circolare comunale del 29.1.2008 si riferiva agli interventi edilizi realizzati prima del 1967 al di fuori del centro abitato, mentre l’edificio in esame rientra nel centro abitato, fatto coincidere con il perimetro individuato dal d.m. del 14.12.1959- , ritiene che la legittimazione passiva non sia esclusa per il fatto che la realizzazione dell’abuso sia avvenuta, come si sostiene, prima dell’acquisto della proprietà da parte della ricorrente.
Ai fini della legittimazione passiva del soggetto destinatario dell’ordine di demolizione, infatti, l’art 31 del d.P.R. n. 380/2001, nell’individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell’abuso, considera evidentemente quale soggetto passivo della demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta.
Detto altrimenti, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell'ordinanza di demolizione non occorre stabilire se egli sia responsabile dell'abuso, poiché la stessa disposizione nazionale si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all'esecuzione dell'ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche responsabilità.
Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non coincide con l'accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell'illecito, ma è correlato all’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistico–edilizia, e all’individuazione di un soggetto il quale abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio: il proprietario, in virtù del suo diritto dominicale; sicché in modo legittimo la misura ripristinatoria è posta a carico, non solo dell'autore dell'illecito, ma anche del proprietario del bene e dei suoi aventi causa.
Il nuovo acquirente dell’immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al precedente proprietario e relativi al bene ceduto, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo l’abuso commesso prima della traslazione della proprietà (cfr. Consiglio di Stato, VI, n. 3210 del 2017; V, n. 40 del 2007).
Rimane salva, naturalmente, come il Comune appellato non manca di rilevare, la facoltà di rivalsa del privato sul dante causa.
Opinare diversamente consentirebbe di eludere in modo agevole la normativa edilizia, a danno del territorio e della collettività locale.
In conclusione, non sussistono né il difetto di motivazione e neppure la carenza di istruttoria rilevati nell’atto di appello che, dunque, va respinto"

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