Il TAR Sicilia - Catania, Sez. IV, con una sentenza del 9 giugno scorso, n. 1564 ha annullato l'ordinanza con cui il Comune di *** al fine di garantire lo svolgimento del servizio di igiene urbana nell'ambito del proprio territorio, dopo aver avviato una procedura di evidenza pubblica per individuare l'operatore economico cui affidare il relativo incarico e aver proceduto alla stipula di un formale contratto con la ditta aggiudicataria, abbia provveduto in data 24/8/09, alla risoluzione di diritto dello stesso.
Di conseguenza, al fine di garantire lo svolgimento del servizio di igiene urbana nell'ambito del territorio comunale il Comune provvedeva a mezzo di un'ordinanza contingibile ed urgente emessa ai sensi dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000 nei confronti della ditta che in precendenza gestiva il servizio, la stessa che riuslotava anche aggiudicataria della gara.
Poiché a tale provvedimento non faceva seguito l'espletamento di alcuna nuova procedura di evidenza pubblica per l'individuazione del soggetto cui affidare il servizio in questione, a ciò il Comune sopperiva mediante successive proroghe dell'ordinanza sindacale tutte adottate sulla base delle medesime condizioni economiche da quella previste. Poiché ciò determinava, secondo quanto rilevato dall'istante, assieme all'aumento dei costi per lo svolgimento del servizio "de quo" -e in dipendenza di esso- un pregiudizio per la ditta aggiudicataria, essa chiedeva a più riprese un adeguamento dei corrispettivi previsti all'interno di tale ordinanza decidendo alla fine di ricorrere al TAR.
Il Collegio pur non disconoscendo la rilevanza del bene-interesse che l'Amministrazione intimata ha inteso tutelare ricorrendo all'esercizio dei poteri d'urgenza attribuiti all'autorità comunale dagli artt. 191, primo comma, del D.Lgs. n. 152/2006 e 50, quinto comma, del D.Lgs. n. 267/2000, trattandosi "non solo di interessi pubblici ma anche di diritti soggettivi fondamentali (quali il diritto alla salute e all'incolumità personale) minacciati da "emergenze sanitarie o di igiene pubblica", che pur in "'assenza di specifici parametri normativi di riferimento, o comunque del formale recepimento in atti normativi di determinate prescrizioni di carattere igienico-sanitario, non esclude la possibilità, e anzi la necessità, di impor(re il loro) rispetto ove le stesse (ordinanze) appaiono idonee, sul piano tecnico-scientifico, a prevenire situazioni di pericolo alla salute o all'ambiente"(T.A.R. Lazio - Roma, sez. II, sent. 9 giugno 2005, n. 4695).
Si tratta cioè, nella fattispecie, di tenere presente il principio giuridico secondo cui, pur in presenza di gravi circostanze che mettono in pericolo la collettività, occorre bilanciare e contemperare le diverse esigenze in conflitto. Con riferimento alla fattispecie, le esigenze sottese alla tutela della salute e della pubblica igiene da un lato e dell'iniziativa economica privata e dell'impresa dall'altro, devono trovare un punto di equilibrio non deteriore rispetto a quello, fissato, ad esempio, dalla previsione normativa di cui all'art. 427 del D.Lgs. n. 66/2010 che disciplina l'ipotesi della requisizione di servizi nelle ipotesi di "requisizioni in tempo di guerra o di grave crisi internazionale" (stabilendo che "l'indennità per la requisizione di servizi è stabilita tenendo presenti le tariffe stabilite a norma delle leggi vigenti").
Il non averlo fatto nel caso di specie, rende pertanto fondato il dedotto vizio di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 191 del D.Lgs. n. 152/2006 e 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000, con consequenziale illegittimità dell’ordinanza sindacale impugnata.
Del resto, una tale soluzione risulta altresì imposta, a giudizio del Collegio, dal principio dell'interpretazione costituzionalmente conforme della normativa vigente.
Infatti, a ben vedere, la stessa previsione di cui all'art. 115 del D.Lgs. n. 163/2006 (che impone per tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture l'inserimento d'una clausola di revisione periodica del prezzo), esprime le medesime esigenze di tutela cui, in assenza di un titolo negoziale a base del rapporto giuridico in specifica considerazione, presiede l'art. 2041 c.c.: evitare la locupletazione - intesa dalla Suprema Corte [ex plurimis e più di recente, Cass. Civ., sez. I, sent. 4 settembre 2013, n. 20226] (anche) come (mero) non autorizzato risparmio di spesa; esattamente come nel caso a mani, - di un soggetto in danno dell'altro in assenza di una "giusta causa".
Così il TAR ha accolto il ricorso.
Il testo della sentenza, molto argomentata lo travate qui:
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