sabato 11 giugno 2016

IL TAR LAZIO SI PRONUNCIA SULL'APPLICAZIONE DEL CRITERIO DELLA INCONFERIBILITA' ANCHE ALLE NOMINE DEI COMMISSARI STRAORDINARI DELLE AZIENDE SANITARIE

Il TAR del Lazio, Roma, Sezione III con una sentenza dell'8 giungo scorso, n. 6593 ha affrontato il problema della inconferibilità di un incarico di Commissario straordinario di una ASL. Al riguardo il Collegio ha ritenuto che l’ Autorità anticorruzione eserciti poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni e può ordinare l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dal piano nazionale anticorruzione e dai piani di prevenzione della corruzione delle singole amministrazioni e dalle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dalla normativa vigente, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza, e dell’art.16 del d.lgs. 8 aprile 2013 n.39, secondo cui l’Autorità nazionale anticorruzione vigila sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al citato decreto, in tema di inconferibilità e di incompatibilità degli incarichi, anche con l’esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi.
L’organo incaricato di adottare il provvedimento sanzionatorio, all’esito del relativo procedimento, è il Responsabile della Prevenzione della Corruzione che ha il compito, ove ne ravvisi i presupposti, di dichiarare la nullità del conferimento e la sussistenza della responsabilità dell’organo che ha conferito l’incarico, al quale deve essere applicata la diversa sanzione interdittiva.
L’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 39/2013“Inconferibilità di incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali” dispone che “Gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali non possono essere conferiti a coloro che nei cinque anni precedenti siano stati candidati in elezioni europee, nazionali, regionali e locali, in collegi elettorali che comprendano il territorio della ASL”.
In proposito il Collegio ha osservato che le limitazioni alla possibilità di conferire incarichi di vertice delle Asl (direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario) a soggetti di provenienza politica, contenute nel menzionate art. 8 del decreto, sono più intense rispetto a quelle delle altre cariche.
Il decreto segue in tal modo un consolidato indirizzo di rigore, già tracciato dall' art. 3, comma 9, del d.lgs. n. 502/1992, come sostituito dall’art. 4 del d.lgs. n. 517/1993, armonizzando lo speciale regime delle Asl con il nuovo generale regime delle inconferibilità, nella prospettiva di rafforzare la protezione della dirigenza sanitaria dalle interferenze della politica.
In tale prospettiva il legislatore, al comma 1, del citato art. 8 ha conservato il previgente divieto quinquennale a carico dei candidati non eletti in competizioni elettorali, in circoscrizioni coincidenti con quelle dell'azienda sanitaria.
L’art. 8 del d.lgs. 39/2013 costituisce, quindi, un passaggio importante, nella prospettiva della prevenzione della corruzione e, in termini più ampi, nell'ambito della necessaria distinzione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di amministrazione e gestione.
Sulla base di tali premesse,l’interpretazione della norma non può essere limitata al mero dato letterale o al mero criterio nominalistico; nel rispetto della necessità di evitare interpretazioni analogiche delle norme del decreto, quindi, non può non accedersi ad una ipotesi di inconferibilità estesa anche nei confronti di coloro rivestono un ruolo (solo) “formalmente” diverso rispetto alla figura del Direttore Generale, tanto più nel caso di specie in cui il Commissario Straordinario esercita i poteri del Direttore Generale sostituito.
Sotto tale profilo, come già rilevato in sede cautelare, non può non configurarsi una sostanziale analogia tra la figura del direttore generale e quella di Commissario straordinario in quanto non emerge in alcun modo una evidente differenza tra le due figure sia in ordine al tipo di attività da svolgere, sia in relazione ai poteri attribuiti al commissario straordinario. Risulta evidente, invero, che ridurre la questione a un semplice argomento nominalistico renderebbe inapplicabili le norme in esame che, in considerazione delle loro finalità, esigono, invece, di essere interpretate alla luce dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.
Al riguardo è possibile osservare che secondo un orientamento giurisprudenziale (di concezione funzionale e non meramente formale dell'avvio del procedimento), deve escludersi che la violazione delle norme in tema di partecipazione al procedimento dia luogo all'annullamento dell'atto ogni qual volta risulti che l'esito del procedimento non sarebbe stato differente, anche se vi fosse stata la partecipazione dell'interessato, il che accade quando il quadro normativo di riferimento e gli elementi di fatto raccolti nel corso dell’istruttoria non presentano margini di incertezza sufficientemente apprezzabili (come è nel caso di specie in virtù di quanto è stato illustrato in precedenza) e l'eventuale annullamento del provvedimento finale per accertata violazione del principio del contraddittorio non priverebbe l'amministrazione del potere di adottare un nuovo provvedimento di contenuto analogo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 marzo 2002, n. 1325).
Nella vicenda in esame la partecipazione dell’interessato di fatto non avrebbe potuto impedire l’adozione della misura sanzionatoria.
Il provvedimento di decadenza dalla nomina, infatti, quale atto di natura vincolata in quanto correlato al mero riscontro della inconferibilità dell’incarico e stante l'urgenza derivante dalla constatazione del pregiudizio ai sopra indicati preminenti interessi pubblici è connotato dai requisiti della contestualità ed immediatezza dell'intervento ripristinatorio.
Conseguenza logica di tale impostazione è che la mancata insaturazione del contraddittorio avrebbe comportato l'illegittimità dell'atto conclusivo, soltanto se il destinatario dell’atto avesse potuto dimostrare che, ove avesse avuta l'opportunità di partecipare al procedimento, avrebbe potuto presentare osservazioni ed opposizioni idonee ad incidere casualmente, in termini a lui favorevoli, sul provvedimento finale.
Orbene, nel caso in esame il Collegio, per le ragioni sopra esposte, deve riconoscere che non sono stati addotti elementi che valgano ad evidenziare l'effettiva utilità dell'apporto collaborativo al quale eventualmente correlare l'illegittimità dell'omissione dell'avviso di procedimento.
La disciplina in esame assolve all'intento di prevenire e contrastare i fenomeni corruttivi ed i conflitti di interesse, salvaguardando l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche, in tal modo il decreto (e la legge delega a monte) disegna, mediante la previsione di regimi di incompatibilità e di preclusione temporanea della possibilità di ricevere nomine (inconferibilità), un vallo che dovrebbe separare, nell'ambito di tutta l'organizzazione della pubblica amministrazione, le cariche politiche da quelle amministrative.
In tal modo la finalità perseguita dal legislatore delegato è stata quella di scongiurare, tramite la formulazione di un giudizio prognostico ex ante, che lo svolgimento di determinati incarichi e/o funzioni, individuati nel rispetto dei criteri posti dalla legge di delega (legge n. 190/2012) potesse agevolare la precostituzione di situazioni favorevoli in vista del successivo conferimento di incarichi dirigenziali e assimilati e, di conseguenza, potesse comportare il rischio di un accordo corruttivo per conseguire il vantaggio in maniera illecita.
La disciplina delle nuove incompatibilità e inconferibilità corre appunto lungo la linea della distinzione tra funzione di indirizzo politico e funzione di gestione e corrisponde ad una scelta in qualche modo necessitata, nel senso tracciato dalla giurisprudenza costituzionale,che ha più volte affermato il divieto di cumulo di più cariche politiche quando possa ripercuotersi negativamente sulla efficienza e l'imparzialità delle funzioni (cfr. sentenza n.143 del 2010), per cui un analogo divieto diviene necessario anche nel caso in cui la minaccia per l'imparzialità venga dal coesercizio di funzioni di indirizzo politico e di funzioni di amministrazione.
Lo stesso d.lgs. 39/2013, ad ogni modo, circoscrive il sacrificio della posizione giuridica soggettiva dei soggetti interessati entro precisi e ragionevoli limiti temporali, e ciò al fine di salvaguardare l’interesse pubblico volto a prevenire qualsiasi situazione, anche solo meramente potenziale, di conflitto di interessetra coloro che ricoprono (o saranno chiamati a ricoprire) incarichi amministrativi dopo l’espletamento di mandati elettivi (o la candidatura a cariche pubbliche).
L’interpretazione della norma sotto tale profilo deve ritenersi, altresì, rispettosa del principio generale di libero accesso di tutti i cittadini in condizione di uguaglianza alte cariche elettive ed alle funzioni pubbliche (art. 51 Cost.).
L’istituto della inconferibilità in esame costituisce una misura un rimedio preventivo, volto ad evitare l’insorgere di fenomeni di contiguità e corruzione a salvaguardia di beni primari per la collettività, quali sono la trasparenza, l’efficienza e il buon andamento delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 97 Cost., e anche il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, agli amministratori pubblici alimentando la credibilità e la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.
I candidati ad incarichi pubblici e coloro che hanno espletato incarichi amministrativi o politici assumono, peraltro, una posizione ben distinta rispetto ai comuni cittadini, e in relazione a tale status la disciplina in esame configura un regime più rigoroso di incompatibilità e inconferibilità nei confronti di coloro che partecipano, in via elettiva o di nomina a organi di indirizzo politico presso le amministrazioni statali, regionali e locali, come pure i componenti degli organi di indirizzo politico di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali. Di conseguenza deve essere esclusa la fondatezza della questione di legittimità dell’impianto normativo in relazione all’art. 3 della Costituzione.
Chi volesse approfondire ulteriormente trova la sentenza qui:


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