Una interessante Sentenza del Consiglio di Stato (Sez. V, n. 2080/2016) affronta il problema della natura del Piano Sociale di Zona,
Secondo il Collegio il Piano Sociale di Zona rientra tra quelle forme cui al capo V del testo unico degli enti locali, in cui sono elencate le possibili forme associative di questi: in particolare si deve evidenziare che l’art. 33, nel favorire l’esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni, favorisce processi di riorganizzazione prevedendo forme premiali per incoraggiare il massimo grado di integrazione e l’art. 34 individua gli accordi di programma, fattispecie cui viene accostato generalmente il Piano Sociale di Zona, come forma di definizione ed attuazione di programmi di intervento, senza tacere delle convenzioni tra enti locali, art. 30 richiamato dall’appellante, al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, oppure, al fine di rafforzare tale coordinamento, i consorzi tra comuni di cui all’art. 31 del D. Lgs. n. 267 del 2000.
Dunque, dal punto di vista legislativo vi è indubbiamente un favor per le forme associative, che dovrebbe oggigiorno risultare maggiormente approfondito dalle note necessità di risparmio di denaro pubblico e ciò in linea generale militare favorevolmente nei confronti delle censure sollevate dal Comune di Sala Consilina.
Ma, in secondo luogo, tali presupposti normativi trovano riconoscimento nello stesso bando invocato dalla Regione per il ritiro del finanziamento medesimo: si dice infatti all’art. 3 comma 1, che gli enti locali ivi elencati possono partecipare in forma singola o aggregata con un ente capofila – comma 2 - e che il singolo comune partecipante deve avere un numero di abitanti superiore a 50.000 e quindi, soddisfatto questo requisito, non vi è ragione per ritenere che le aggregazioni debbano intercorrere tra enti aventi tale popolazione, poiché il requisito viene già soddisfatto da un singolo degli aggregati.
Ora, è pacifico che il termine “aggregazione” impiegato dal bando ha natura fondamentalmente atipica e quindi non può essere riportato alle tipiche unioni di comuni di cui all’art. 2 del testo unico, ma appare corrispondere senza dubbio a quelle forme associative del capo V del t.u.e.l. prima richiamato: evidente chiunque il bando avesse voluto indicare una platea ristretta e maggiormente “formale” non avrebbe mai utilizzato un termine atecnico.
Quanto fin qui riportato sarebbe sufficiente per l’accoglimento dell’appello, ma deve essere aggiunto per completezza che si desume pacificamente dalla fattispecie la violazione dell’art. 21 nonies L. 241 del 1990, poiché un annullamento d’ufficio di un finanziamento tra enti pubblici intervenuto dopo due anni e mezzo dal conferimento dei fondi per motivi strettamente formali senza invocare ragioni di interesse pubblico, oppure questioni alla gestione degli stessi fondi, non può trovare accesso nell’ordinamento.
Per completezza va aggiunto che nel presente giudizio non si riscontra la necessaria presenza di controinteressati, non trattandosi di formazione di graduatorie, ma semplicemente di ritiro di fondi già da lungo tempo attribuiti, quindi la figura del Comune di Aversa appare assolutamente ininfluente nella causa. In ogni caso la statuizione di primo grado, che implicitamente ha ritenuto l’insussistenza di controinteressati laddove ha proceduto all’esame del merito delle censure, non è stata gravata da appello incidentale e, pertanto, è passata in giudicato.
La sentenza la trovate qui:
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