Da tempo in Italia si lavora per l'implementazione delle competenze delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione di ostetrica; questa è emersa come una necessità strategica per lo stesso sistema sanitario nazionale attraverso un convinto e approfondito dibattito e ragionamento sviluppato all'interno delle componenti più avanzate della categoria medica, fatta propria e sviluppata poi dalle Regioni e dal Ministero della Salute e divenuto patrimonio del sindacato del comparto sanità e dalle rappresentanze professionali.
Contro questo movimento si sono schierati da tempo alcuni medici che vedono nella crescita professionale dei quadri sanitari un ridimensionamento delle loro competente e quasi un attentato alla loro professionalità.
L'esigenza di riconoscere una maggiore qualificazione al personale infermieristico, ai terapisti ecc. nasce dall'assistenza sanitaria territoriale dove spesso non è possibile assicurare ovunque la presenza del medico costringendo specialmente gli infermieri professionali a ad affrontare da soli le problematiche spesso complesse dell'assistenza domiciliare e i genere delle cure primarie.
La legge 190/2014 (legge di stabilità 2015) al comma 566 dell'art. 1 ha stabilito che: "Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, con accordo tra Governo e regioni, previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati, sono definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di equipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione, anche attraverso percorsi formativi complementari".
Gli effetti di questa norma non sono ancora percepiti dal cittadino comune.
Ben diverso è lo scenario dell’assistenza sanitaria nella primary care negli stati Uniti dove i medici sono sempre meno e le università diplomano sempre più infermieri con competenze da practitioner.
Secondo il Quotidiano della sanità le complessità assistenziali poste da una popolazione sempre più anziana e la gestione delle cronicità impongono un profondo ripensamento delle cure primarie. Negli Usa i numeri parlano chiaro: ci si sta avviando rapidamente verso una carenza di medici delle cure primarie.
Secondo il Quotidiano della sanità le complessità assistenziali poste da una popolazione sempre più anziana e la gestione delle cronicità impongono un profondo ripensamento delle cure primarie. Negli Usa i numeri parlano chiaro: ci si sta avviando rapidamente verso una carenza di medici delle cure primarie.
Il bilancio è pesantemente negativo perché a fronte di circa 7-500-8.000 new entry l’anno nelle schiere di medici dedicati alle cure primarie (inclusi osteopati e laureati stranieri), il numero di medici di famiglia che vanno in pensione ogni anno arriverà a 8.500 nel 2020.
E questo in un contesto di demografia sanitaria sempre più critico dal punto di vista assistenziale: popolazione sempre più anziana e aumento del numero soggetti coperti da assicurazioni sanitarie.
Ma gli stessi problemi sono oramai diffusissimi anche da noi.
Ancora non si vuole capire l'importanza dell'infermiere professionale nell'Assistenza domiciliare integrata e nelle case della salute e del ruolo che potrebbero svolgere nella "medicina d'iniziativa" che deve rappresentare la vera svolta nell'assistenza non solo territoriale.
Purtroppo in Italia siamo ancora presi da difese corporative da parte di alcuni medici che non si rendono conto che anche il mondo della sanità sta cambiando
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