giovedì 29 settembre 2016

LE SPONSORIZZAZIONI E I BENI CULTURALI: UNA DELIBERA DELLA CORTE DEI CONTI

Con la Deliberazione n. 8/2016/G del 4 agosto, ma pubblicato salo in questi giorni la Corte dei Conti, Sezione Centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato ha approfondito le iniziative di partenariato pubblico-privato nei processi di valorizzazione dei beni culturali.
Un tema molto di attualità dopo gli interventi a Roma sul Colosseo e sulla scalinata di Trinità dei Monti.
Si tratta di una deliberazione molto attenta che approfondisce tutti gli aspetti della materia: dalle Linee guida del Ministero dei beni culturali alle sponsorizzazioni, agli aspetti fiscali e finanziari.
Secondo la Corte le sponsorizzazioni nel settore dei beni culturali evidenziano, anzitutto, la carenza dei contenuti contrattuali, in particolare sotto il profilo della valutazione economica della controprestazione offerta dall'amministrazione, che rappresenta elemento fondamentale ai fini della determinazione della prestazione dello sponsor, sia essa pecuniaria ovvero di dare o di facere; in secondo luogo, una posizione di debolezza a contrattare dell’amministrazione, che non è dotata degli strumenti per verificare e ottimizzare il valore derivante dall’abbinamento del nome, del marchio, dell’immagine o del prodotto di un’impresa a un bene o a un’iniziativa culturale, siccome dimostra l’esperienza della sponsorizzazione dei lavori di restauro del Colosseo, esperienza nella quale sollevano perplessità la quantità e la durata dei diritti (in prevalenza diritti d’uso di immagini, spazi e informazioni) concessi allo sponsor e alla istituenda associazione “Amici del Colosseo”, di diretta emanazione dello stesso. Sul punto, l’originario avviso pubblico aveva espressamente previsto che i diritti d’uso fossero concessi per la durata dei lavori e non per periodi ulteriori. Diversamente, nel contratto stipulato si stabilisce, per un verso, che i diritti dello sponsor si protraggono per i due anni successivi alla conclusione dei lavori − allo stato completati in minima parte −senza che ciò comporti corrispettivi aggiuntivi al contributo e, per l’altro, che quelli concessi all’associazione avranno una durata di quindici anni a partire dalla data della sua costituzione (di cui non si ha notizia) eventualmente prorogabili: con il risultato che, a fronte di una esclusiva sicuramente ultraventennale, il corrispettivo pagato dallo sponsor ammonta a euro 1.250.000 ad anno (importo che si ottiene dividendo la somma di 25.000.000 euro, che corrisponde al finanziamento totale offerto dallo sponsor, per il tempo di durata dei diritti concessi all’associazione).
Si raccomanda, in conclusione, all’amministrazione di dare impulso, in considerazione dei notevoli ritardi accumulatisi, all’attività di progettazione ed esecuzione dei lavori e di vigilare in ordine al rispetto dei tempi previsti. 
Secondo la Corte da tempo si rileva che le sponsorizzazioni “culturali” non costituiscono una esperienza completamente riuscita, come evidenziato dal valore degli interventi realizzati, poichè non sono riuscite ad attrarre in misura consistente i finanziamenti auspicati. Le sponsorizzazioni, oltre che poche rispetto alle necessità esistenti, sono state, inoltre, occasionali e per lo più frutto delle proposte di operatori privati.
La Corte lamenta inoltre che sulla base della documentazione trasmessa, inoltre, non sempre è stato possibile accertare l’effettivo rispetto, da parte dello sponsor, degli impegni contrattuali, soprattutto nelle operazioni di sponsorizzazione tecnica, così da mettere in forse il raggiungimento degli obiettivi in termini di valorizzazione del bene culturale. 
Sul piano legislativo, sarebbe auspicabile, innanzitutto, un intervento che tenesse conto delle peculiarità delle sponsorizzazioni “culturali”, soprattutto con la determinazione di un contenuto contrattuale minimo ed inderogabile, eliminando così forzature come quelle verificatesi nel caso del Colosseo, e, altresì, chiarisse le incertezze in campo fiscale.
Infine la Corte ritiene che l'applicazione del modello del project financing al settore dei beni culturali pone seri problemi legati alla necessità, costituzionalmente prevista, della loro tutela diretta da parte dello Stato e alla loro natura di beni comuni, che potrebbe essere contraddetta dal loro assoggettamento alla gestione privata. La gestione privata del bene culturale dovrebbe, quindi, essere limitata al piano della valorizzazione. 
Sarebbe auspicabile, dunque -sempre secondo la Corte - che si chiarissero, in via amministrativa, i confini dell’intervento pubblico, mediante l’integrazione delle linee guida ministeriali, con riguardo alle attività di progettazione ed esecuzione dei lavori, regolandone criteri e modalità.

Nessun commento:

Posta un commento