Una importante Sentenza della sezione V del Consiglio di stato: n. 406/2016 mette, si spera la parola fine alle querelle che hanno accompagnato l'avvio delle quote rosa all'interno dei Comuni.
Secondo il collegio il secondo periodo del primo comma dell’art. 51 della Costituzione (secondo cui “la Repubblica promuove con appositi provvedimento le pari opportunità tra uomini e donne) e delle norme internazionali implicate in detto principio, puntualmente declinate nella sentenza impugnata TAR Calabria - Catanzaro, Sez. II n.1/2015 a norma del quale “Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico”.
La Sezione con la recente sentenza n. 4626 del 5 ottobre 2015 aveva già osservato che “all’indomani dell’entrata in vigore del citato art. 1, comma 137…tutti gli atti adottati nella vigenza di quest’ultimo trovano nella citata norma un ineludibile parametro di legittimità, non essendo ragionevole una sua interpretazione che leghi la concreta vigenza della norma alla data delle elezioni ovvero che condizioni unicamente le nomine assessorili all’indomani delle elezioni. Una simile interpretazione consentirebbe un facile aggiramento della suddetta prescrizione, nella misura in cui il rispetto della percentuale assicurato dai provvedimenti di nomina immediatamente successivi alle elezioni potrebbe essere posto nel nulla da successivi provvedimenti sindacali di revoca e nomina, atti a sovvertire la suddetta percentuale”.
Ciò posto, la questione controversa consisteva nello stabilire se la norma in questione abbia o meno un limite intrinseco di operatività e cioè se, in ogni caso e senza alcuna eccezione, la composizione delle giunta debba comunque assicurare la presenza dei due generi in misura non inferiore al 40% ovvero se sia astrattamente configurabile (e sistematicamente compatibile con quella previsione normativa) una situazione, di carattere assolutamente eccezionale, in cui, la giunta comunale possa ritenersi legittimamente costituita ed altrettanto legittimamente operante, pur se quella percentuale non sia stata rispettata.
Il Collegio ha osservato che se è vero che la ratio della norma in questione è quella di garantire la parità tra i sessi e conseguentemente le reciproche pari opportunità, evitando in definitiva che l’esercizio delle funzioni politico – amministrative sia precluso ad uno dei due generi, maschile o femminile (così assicurando anche con riferimento all’accesso alle cariche elettive il principio di uguaglianza predicato dall’art. 3 della Costituzione), d’altra parte anche il continuato, ordinato e corretto svolgimento di quelle stesse funzioni politico - amministrativo costituisce un elemento cardine del vigente ordinamento giuridico, sia con riferimento al principio di democraticità, sancito dall’art. 1, sia con riferimento al principio di legalità, imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione.
L’applicazione della prescrizione contenuta nell’art. 1, comma 137, della legge 7 aprile 2014, n. 56, non può pertanto in alcun modo determinare un’interruzione dell’esercizio delle funzioni politico – amministrative ovvero provocare un ostacolo al loro concreto ed effettivo esplicitarsi.
Il giusto contemperamento dei due delineati principi costituzionali che vengono in gioco (e cioè il limite intrinseco, logico – sistematico, di operatività della norma in questione) può ragionevolmente rintracciarsi nella effettiva impossibilità di assicurare nella composizione della giunta comunale la presenza dei due generi nella misura stabilità dalla legge, impossibilità che deve essere adeguatamente provata e che pertanto si risolve nella necessità di un’accurata e approfondita istruttoria ed in un’altrettanto adeguata e puntuale motivazione del provvedimento sindacale di nomina degli assessori che quella percentuale di rappresentanza non riesca a rispettare.
E’ del resto questa anche la ragionevole interpretazione della disposizione indicata dalla stessa circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, richiamata dallo stesso ente appellante, che al punto 3 (“Rappresentanza di genere”), laddove proprio con riferimento alle difficoltà di individuare soggetti idonei a disponibili allo svolgimento delle funzioni assessorili, sottolinea che “Per completezza, si soggiunge che occorre lo svolgimento da parte del sindaco di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni assessorili da parte di persone di entrambi i generi. Laddove non sia possibile occorre un’adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicabilità del principio di pari opportunità”, precisando tra l’altro che “Nel caso in cui lo statuto comunale non prevede la figura dell’assessore esterno e il consiglio comunale sia composto da una rappresentate di un unico genere, per la piena attuazione del citato principio di pari opportunità si dovrà procedere alle opportune modifiche statutarie che, comunque, sono rimesse alla autonoma valutazione dell’ente”.
Ciò esclude in radice la rilevanza (oltre che la stessa fondatezza) del motivo di censura con il quale l’appellante ha dedotto la mancata impugnazione della predetta circolare, stante in ogni caso la sua natura meramente esplicativa (quindi priva di lesività), volta soltanto a richiamare l’attenzione dei sindaci sul corretto procedimento di nomina degli assessori al fine di assicurare e garantire in quest’ambito peculiare l’attuazione del principio di pari opportunità.
E’ sufficiente sottolineare che le ricorrenti affermazioni svolte dall’appellante circa la affannosa, ma vana, ricerca di personalità femminili cui affidare le delicate funzioni assessorili non hanno trovato anche nel giudizio di appello alcun adeguato riscontro documentale, tale non potendo essere considerata la produzione di due soli atti scritti di rinuncia all’incarico proposto, in mancanza di qualsivoglia elemento probatorio, anche solo indiziario, sull’effettiva ampiezza (e sulle relative modalità) di tale ricerca.
Anche a voler prescindere dal fatto che la sola popolazione residente del Comune di Montalto Uffugo è di circa 19000 abitanti e pur volendo considerare che, secondo le previsione statutarie, i candidati non eletti non potevano essere eletti assessori, non è stato fornito alcun elemento probatorio a supporto dalla circostanza che le uniche personalità femminili che avrebbero potuto ricoprire la carica assessorile fossero solo quelle che, interpellate, hanno rinunciato.
Né, d’altra parte, la natura fiduciaria della carica assessorile può giustificare la limitazione di un eventuale interpello (di cui in ogni caso non vi è alcuna prova) alle sole persone appartenenti allo stesso partito o alla stessa coalizione di quella che ha espresso il sindaco, soprattutto in realtà locali non particolarmente estese, come quella di cui ci si occupa, ciò tanto più in considerazione del principio alla cui attuazione è finalizzata la norma in questione.
Deve quindi ritenersi che non risulti provata quella situazione di obiettiva ed assoluta impossibilità di rispettare la percentuale di genere femminile nella composizione della giunta comunale fissata dal legislatore.
L’appello deve essere pertanto respinto.