martedì 17 maggio 2016

LE MOTIVAZIONI DELLA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO SUL RICORSO DELLA LISTA "SINISTRA PER ROMA" UN CASO CHE COSTITUISCE UN PRECEDENTE.

Il Consiglio di Stato in data 16 maggio ha esaminato il ricorso proposto da «Sinistra Per Roma - Fassina Sindaco», relativo alla esclusione della lista alle elezioni amministrative per Roma Capitale.
In considerazione delle argomentazioni svolte dal Consiglio che a questo punto faranno testo per l'avvenire ho ritenuto di riportare alcuni passaggi.
Per le autenticazioni amministrative l’ordinamento prevede regole speciali, rispetto a quelle ‘ordinarie’ sulle autenticazioni, desumibili dall'art. 2703 del codice civile e dall'art. 72 della legge notarile del 1913 (quanto, appunto, all'autentica formale notarile).
Inoltre il Consiglio ha sottolineato come rilevino specificamente le disposizioni della l. n. 53 del 1990, recante «misure urgenti atte a garantire maggiore efficienza al procedimento elettorale», il cui art. 14, comma 1, dispone che competenti ad eseguire le autenticazioni – in questa materia – oltre ai notai sono diversi soggetti, tra i quali i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e vicepresidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco o dal presidente della provincia.
Il comma 2 dell’art. 14 della l. n. 53 del 1990 stabilisce che «l’autenticazione deve essere compiuta con le modalità di cui al secondo e al terzo comma dell’articolo 20 della legge 4 gennaio 1968, n. 15».
Senonché, la l. n. 15 del 1968 è stata abrogata a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 77, comma 1, del d.P.R. n. 445 del 2000.
Le disposizioni di tale d.P.R. non sono state raccordate con quelle della legge n. 53 del 1990, sicché manca una specifica e conseguente disposizione legislativa di ‘raccordo’ tra tale legge e il sopravvenuto d.P.R. n. 445 del 2000 (raccordo che sarebbe stato oltremodo necessario, poiché per le competizioni democratiche occorre un quadro normativo chiaro, che dia il massimo grado di certezza).
Per la definizione del presente giudizio, dunque, acquistano un rilievo centrale:
a) il significato attuale dell’art. 14, comma 2, della l. n. 53 del 1990, poiché – avendo perso il suo ‘originario oggetto’ e, cioè, il richiamo alla l. n. 15 del 1968 – esso si può ora considerare integrato o dal comma 1 o dal comma 2 del d.P.R. n. 445 del 2000;
b) l’ambito di applicazione del comma 3 dell’art. 14 della medesima l. n. 53 del 1990 (che contiene una ‘norma di chiusura’, applicabile pur dopo le anomale vicende normative che hanno riguardato il comma 2), per il quale «le sottoscrizioni e le relative autenticazioni sono nulle se anteriori al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature».
Quanto al punto a) del § 9, anzitutto, in questo disorganico quadro normativo va verificato se – per le competizioni elettorali – rilevi il comma 1 o il comma 2 dell’art. 21 del d.P.R. n. 445 del 2000.
Il comma 1 dell’art. 21 citato dispone che «l’autenticità della sottoscrizione di qualsiasi istanza o dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da produrre agli organi della pubblica amministrazione, nonché ai gestori dei servizi pubblici è garantita con le modalità di cui all’art. 38, comma 2 e comma 3».
Il comma 2 dello stesso art. 21 dispone che, «se l’istanza o la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è presentata a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 o a questi ultimi al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici, l’autenticazione è redatta da un notaio, cancelliere, segretario comunale, dal dipendente addetto a ricevere la documentazione o altro dipendente incaricato dal Sindaco; in tale ultimo caso, l’autenticazione è redatta di seguito alla sottoscrizione e il pubblico ufficiale, che autentica, attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell’identità del dichiarante, indicando le modalità di identificazione, la data ed il luogo di autenticazione, il proprio nome, cognome e la qualifica rivestita, nonché apponendo la propria firma e il timbro dell’ufficio».
Ritiene il Collegio che per le autenticazioni nelle competizioni elettorali, a seguito della abrogazione della l. n. 15 del 1968 (e in assenza di una conseguente modifica dell’art. 14, che sarebbe stata invece, come si è accennato, necessaria), in sede interpretativa non può che considerarsi preferibile l’applicazione dell’art. 21, comma 1, del d.P.R. n. 445 del 2000 e non già del comma 2.
È ben vero che il comma 2 sembra riprodurre il contenuto dell’abrogato art. 20 della l. n. 15 del 1968.
Tuttavia, vi sono decisive considerazioni per ritenere che per le autenticazioni nelle competizioni elettorali si applica l’art. 21, comma 1.
In primo luogo, vi è una ragione di carattere testuale.
Il comma 1 dell’art. 21 si riferisce alla presentazione dell’istanza o della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da produrre agli organi della pubblica amministrazione, come nel caso di specie.
Il comma 2 si riferisce, invece, alla presentazione di tali atti a soggetti diversi dagli organi della pubblica amministrazione, ovvero ad organi della pubblica amministrazione, quando si tratti della riscossione da parte di terzi di benefici economici
In secondo luogo, vi è anche una ragione di ordine teleologico, poiché le modalità di presentazione agli organi delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 445 del 2000 (richiamato dal comma 1 dell’art. 14), sono connotate da una minore rigidità formale e da una maggiore speditezza, ciò che informa il contenzioso elettorale e che consente vi sia, senza ulteriori formalità, la sottoscrizione dell’interessato in presenza del soggetto addetto.
Al riguardo, rilevano anche i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
È stato osservato, significativamente, che «il T.U. della documentazione amministrativa del 2000 è finalizzato alla semplificazione delle procedure: da un lato, non ha previsto l’autentica di firma per le istanze presentate alla pubblica amministrazione o ai gestori di pubblici servizi (D.P.R. n. 445 del 2000, art. 21, comma 1 e art. 38, comma 3); dall’altro, ha previsto l’autenticazione, anche da parte del ‘dipendente addetto a ricevere la documentazione o altro dipendente incaricato dal Sindaco’, per le istanze presentate agli organi della pubblica amministrazione o ai gestori di pubblici servizi al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici, nonché per le istanze presentate a soggetti diversi (art. art. 21, comma 2)» (Cass., sez. III, 30 agosto 2013, n. 19966).
Inoltre, si è rilevato che non mancano nella legislazione statale «casi in cui è specificamente conferita, al dipendente addetto dell’ufficio comunale, il potere di autenticazione di determinati atti (a titolo esemplificativo, l. n. 53 del 1990, art. 14, in materia elettorale; l. n. 184 del 1983, art. 31, in materia di adozione) » sicché, in definitiva, «emerge un sistema normativo nel quale il potere di autenticazione del dipendente addetto dell’ufficio comunale non è generalizzato, ma è di volta in volta individuato dal legislatore» (così, ancora, Cass., sez. III, 30 agosto 2013, n. 19966).
Quanto precede induce a ritenere che – a seguito dell’abrogazione della l. n. 15 del 1968 e in assenza di una diversa volontà del legislatore – le disposizioni della l. n. 53 del 1990 sulle autenticazioni delle sottoscrizioni si devono intendere integrate dall’art. 21, comma 1, del d.P.R. n. 445 del 2000 (e dall’art. 83, comma 3, del medesimo d.P.R., richiamato dall’art. 21, comma 1).
Non ostano a tale applicazione le disposizioni dell’art. 28 del testo unico approvato con il d.P.R. n. 570 del 1960.
Con riferimento ad un procedimento per il quale era applicabile la l. n. 15 del 1968, questo Consiglio (Sez. V, 23 luglio 2010, n. 4846) aveva affermato che l’autenticazione della sottoscrizione, prevista dall’art. 14 della l. n. 53 del 1990, doveva avere luogo in conformità all’art. 28 del testo unico approvato con il d.P.R. n. 570 del 1960 (come modificato, tra l’altro proprio con la legge n. 53 del 1990), che rinvia all’art. 20 della l. n. 15 del 1968, ora abrogato.
Tale principio, tuttavia, non può essere più considerato rilevante, proprio a seguito della abrogazione della legge n. 15 del 1968 (disposta dal d.P.R. n. 445 del 2000).
Del resto, una tale interpretazione – nell’affermare la natura recettizia del rinvio alla legge n. 15 del 1968 – non risulta condivisibile, perché incoerente con l’evoluzione normativa sulla semplificazione in materia di documentazione amministrativa (avutasi con il d.P.R. n. 445 del 2000).
La tesi della necessaria applicazione dell’art. 20 della l. n. 15 del 1968 – e, oggi, dell’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 445 del 2000, tesi pur sostenuta in alcuni precedenti pronunce di questo Consiglio (v. Cons. St., sez. V, 31 marzo 2014, n. 1542; Cons. St., sez. V, 18 gennaio 2005, n. 187) – oltre a non tener conto della avvenuta sua abrogazione formale inverte il rapporto tra la regola e l’eccezione, che sussiste tra il comma 1 e il comma 2 dell’art. 21, e si pone in contrasto con il comma 1, che si applica a tutte le istanze e alle dichiarazioni di notorietà da presentarsi alle pubbliche amministrazioni, con modalità che, evidentemente, possono anche accordarsi e contemperarsi con la generale definizione contenuta nell’art. 1, comma 1, lett. i), del d.P.R. n. 445 del 2000.
L’autenticazione amministrativa, del resto, fa parte di un sistema che risponde a regole e a finalità proprie del regime pubblicistico che la connotano, in deroga al sistema dell’autenticazione civilistica, retta dai principi generali dettati dal codice civile (artt. 2703 e 2704 c.c.) e dalla legge notarile (art. 72), per quanto si applichi anche ad essa il generale principio secondo cui «si tratta, in sostanza, di attività certificativa che, in quanto volta ad attribuire il valore della prova documentale, utilizzabile anche nei confronti dei terzi, alla scrittura, non può prescindere dal rispetto delle forme per essa richieste» (Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9385).
In tale prospettiva, si deve anche rilevare che, sebbene la legge notarile richieda, nell’art. 72, l’apposizione della data e del luogo nell’autenticazione, la stessa disposizione generale dell’art. 2703, comma secondo, c.c. non prevede espressamente la data dell’autenticazione tra i requisiti formali richiesti a pena di nullità dell’autenticazione stessa, limitandosi a definirla quale «attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza» e a richiedere, previamente, l’identificazione della persona che sottoscrive (v., sul punto, Cass., sez. II, 22.5.2008, n. 13228).
Del resto, anche l’art. 1, comma 1, lettera i), del d.P.R. n. 445 del 2000, nel dare la definizione della «autenticazione di sottoscrizione», si riferisce alla «attestazione, da parte di un pubblico ufficiale, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell'identita' della persona che sottoscrive», senza richiamare la data ed il luogo.
E’ stato inoltre rilevato che l’autenticazione, avendo la funzione di verifica, da parte del pubblico ufficiale, dell’identità del firmatario, non richiede che l’autenticazione sia effettuata contestualmente o nella stessa data in cui avviene la sottoscrizione della scrittura privata (Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10312).
E questo Consiglio di Stato, proprio in questa materia, ha chiarito che la circostanza che, di solito, l’autenticazione segua immediatamente la sottoscrizione non implica che la contestualità temporale sia un elemento essenziale dell’autenticazione, sicché la mancanza della contestualità non ne comporta l’inesistenza (Cons. St., sez. V, 31 marzo 2014, n. 1542).
Benché pertanto, come si è premesso supra al § 5.1., non rilevi nel presente giudizio definire i requisiti, le forme e le conseguenze dell’autentica notarile o, a livello di sistema, della scrittura privata autenticata sul piano civile (poiché in questa sede occorre accertare, se nel procedimento elettorale siano valide le sottoscrizioni con autentica amministrativa priva di data), occorre comunque tener presente, anche sul piano generale, il rilievo della data nell’autenticazione, «la cui certezza, diversamente che per l’atto pubblico, non è richiesta ai fini della validità, ma soltanto della opponibilità, ove occorra stabilirne la anteriorità o la posteriorità rispetto a un altro evento» (Cass., sez. II, 30 marzo 2011, n. 7264).
Ed è questa, infatti, la questione che, seppur con le differenze che connotano la peculiare materia elettorale, il Collegio deve risolvere, esaminando il tema di cui al punto b) del § 9, anche con riferimento alla previsione speciale dell’art. 14, comma 3, della l. n. 53 del 1990.
Ritiene la Sezione infatti che, pur se per l’autenticazione delle sottoscrizioni si dovesse ritenere applicabile l’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 445 del 2000 (che richiede l’indicazione della data e del luogo di autenticazione), come pure il Tribunale Amministrativo Regionale ha ritenuto nella sentenza impugnata, non per questo la mancanza della data, nell’autenticazione, comporti l’invalidità ipso iure della stessa autenticazione.
 In materia elettorale, le previsioni dell’art. 14 della l. n. 53 del 2010 costituiscono lex specialis rispetto alla disciplina generale, comminando la nullità delle sottoscrizioni e delle relative autenticazioni solo se esse risultano anteriori al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature.
La nullità comminata dall’art. 14, comma 3, della l. n. 53 del 2010 non è pertanto, con riferimento alla data delle autenticazioni e delle sottoscrizioni, aggiuntiva rispetto alle altre nullità di ordine generale per inosservanza delle forme.
La data dell’autenticazione, ovvero il periodo nel quale essa avviene, rileva quindi se e solo nei limiti in cui essa comporti la violazione dell’art. 14, comma 3, della l. n. 53 del 1990.
La sua mancanza non determina la nullità ove risulti, comunque ictu oculi e anche aliunde, che le autenticazioni – come le sottoscrizioni – non siano anteriori al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature.
Al di fuori della eccezionale ipotesi prevista per le competizioni elettorali dall’art. 14, comma 3, della l. n. 53 del 1990, la legge non sanziona con la nullità l’assenza della data nella autenticazione.
Come si è appena premesso al § 12.2., non si pone del resto, nel sistema dell’autenticazione amministrativa in esame, una questione di ‘opponibilità’ della sottoscrizione – analogo a quello che si verifica in sede civilistica – se non nei limiti, tassativi, previsti dall’art. 14, comma 3, della l. n. 53 del 1990, che sancisce la invalidità delle autenticazioni anteriori a tale giorno.
Nel caso di specie, però, la violazione dell’art. 14, comma 3, della l. n. 53 del 1990 deve essere esclusa, per le seguenti dirimenti circostanze, ben evidenziate dagli appellanti, e in particolare:
- tutti i verbali contestati recano la firma e il seguente timbro «ROMA CAPITALE – MUNICIPIO IV – Il Vice Presidente – Carla Corciulo» (doc. 5 fasc. parte appellante: circostanza non contestata);
- l’autentica nei moduli predisposti dal Ministero è prevista come atto cumulativo e non già ‘firma per firma’;
- le sottoscrizioni sono state rese e autenticate sui moduli ministeriali recanti la data del 5 giugno e, dunque, formati dopo l’indizione delle elezioni – avvenuta l’8 aprile 2016 - e, quindi, nei 180 giorni previsti.
Peraltro, il pubblico ufficiale autenticatore, che ha raccolto le firme, è stato nominato non oltre il termine di 180 giorni, decorrente da quello fissato per la presentazione delle candidature, poiché l’atto di investitura della vicepresidente Carla Corciulo, che ha autenticato le sottoscrizioni, risale con certezza inoppugnabile al 28 dicembre 2015.
Quanto precede induce la Sezione a ritenere che:
- dal quadro normativo vigente, non chiaro né coordinato, non risulta espressamente affermata né è stata prevista la necessità, a pena di nullità, della data delle autenticazioni amministrative;
- in mancanza di una esplicita previsione di una nullità, di ordine strutturale o testuale, essa non può essere desunta, nell’ambito del procedimento elettorale, dallo scopo che la data potrebbe eventualmente soddisfare, non essendo ammesse nullità “funzionali”;
- a fronte di tale scarsa chiarezza del quadro normativo, deve essere valorizzato il principio del favor partecipationis, per il quale – in assenza di una chiara disposizione ostativa – può partecipare alla competizione elettorale una lista in possesso di tutti i requisiti sostanziali richiesti;
- la rilevanza del momento temporale è sancita dal legislatore, a pena di nullità, esclusivamente ai fini del rispetto dell’art. 14, comma 3, della l. n. 53 del 1990, secondo cui «le sottoscrizioni e le relative autenticazioni sono nulle se anteriori al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature»;
- tale requisito temporale, in assenza di contrarie previsioni legislative, può desumersi aliunde, se risulta con certezza che la sottoscrizione e l’autenticazione non risalgono e non possono risalire ad un periodo anteriore al centottantesimo giorno precedente al termine fissato per la presentazione delle candidature;
- in materia elettorale, almeno limitatamente alla data delle autenticazioni, rileva il principio di strumentalità delle forme, che può essere egualmente soddisfatto, in ragione del valore preminente del favor partecipationis, laddove la certezza sul rispetto della finalità, alla quale la forma sia preordinata, sia comunque raggiunta;
- l’invalidità delle operazioni, alla stregua di tale fondamentale canone interpretativo in materia elettorale, può essere ravvisata solo quando la mancanza di elementi o di requisiti essenziali impedisca il raggiungimento dello scopo che connota il singolo atto, mentre non possono comportare l’annullamento delle operazioni le mere irregolarità, ossia quei vizi da cui non derivi alcun pregiudizio per le garanzie o la compressione della libera espressione del voto (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 15 maggio 2015, n. 2920).
L’applicazione del principio del favor partecipationis risulta corroborata dalle considerazioni della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’uomo:
- con la sentenza n. 1 del 13 gennaio 2014, la Corte Costituzionale ha evidenziato che le disposizioni sui sistemi elettorali sono ragionevoli se stabiliscono «oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento» di obiettivi legittimi, il che comporta che le medesime disposizioni possono comportare l’esclusione delle liste solo quando siano violate chiare previsioni che precisino le formalità da seguire e le conseguenze derivanti nel caso di loro violazione;
- con la sentenza 16 marzo 2006, n. 58278, la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Chambre, ha evidenziato che la legislazione elettorale dei singoli Stati deve tendere a procedure volte a determinare l’effettiva volontà del popolo, il che comporta che l’esclusione di una lista può essere disposta solo quando la legge la preveda chiaramente.
A tale ultimo riguardo, proprio in tale ultima sentenza (§§ 103-104), la Corte europea ha chiarito che «vi sono molti modi per organizzare e gestire i sistemi elettorali e numerose differenze in Europa specie nell’evoluzione storica, nella diversità culturale, nel pensiero politico e spetta ad ogni Stato contraente fondere tali diversità nella sua propria visione della democrazia».
Va rimarcato come la disciplina nazionale, ha aggiunto la Corte, deve comunque consentire che le condizioni alle quali sono subordinati il diritto di votare o di candidarsi alle elezioni non riducano i diritti ad un punto tale da pregiudicare la loro essenza e privarli della loro effettività; che perseguano uno scopo legittimo; che i mezzi impiegati non siano, soprattutto, sproporzionati rispetto al fine che la legislazione nazionale persegue, sicché tutte le condizioni imposte da questa devono rispecchiare «la preoccupazione di mantenere l’integrità e l’effettività di una procedura elettorale volta a determinare la volontà del popolo mediante un suffragio universale».
Non vi è dubbio che, proprio alla luce di tali fondamentali principi costituzionali ed europei, l’applicazione della strumentalità delle forme debba a maggior ragione trovare applicazione alla questione sul rilievo della data delle autenticazioni delle sottoscrizioni a fini elettorali, non disciplinata dal legislatore nel senso della loro nullità in re ipsa.
 Nella specie, e in conclusione, con certezza si può affermare le autenticazioni hanno avuto luogo in un periodo non anteriore al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature, sicché, nonostante la mancanza della data, si deve ravvisare la validità delle autenticazioni contestate.
Pertanto, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado, annullando i provvedimenti di esclusione, impugnati in primo grado, di cui ai verbali n. 3825 dell’8 maggio 2016 e n. 1984 del 10 maggio 2016 della Commissione Elettorale Circondariale di Roma, con conseguente ammissione della lista «Sinistra per Roma – Fassina Sindaco» alle elezioni comunali di Roma.
https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/wcm/idc/groups/public/documents/document/mday/mje0/~edisp/nsiga_4091535.html

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