Il TAR del Lazio, sede di Roma, sezione seconda bis con sentenza n. 10445 pubblicata in data odierna ha esaminato i ricorsi per l'annullamento del Decreto del Presidente della Repubblica del 27 settembre 2016 per la indizione del referendum popolare confermativo della legge costituzionale recante "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”, approvata dal Parlamento e pubblicata nella G.U. n. 88 del 15 aprile 2016;
Il TAR ha dichiarato inammissibili i ricorsi per difetto assoluto di giurisdizione ed ha così argomentato la propria decisione:
- rilevato, dunque - in sintesi – che i decreti del Presidente della Repubblica del tipo di quello in contestazione non sono insindacabili in termini assoluti, ma che sono sottratti al sindacato giurisdizionale esclusivamente nei limiti in cui il relativo contenuto costituisca esercizio di poteri non riconducibili a quelli amministrativi e “politici” non liberi nei fini nel senso dianzi illustrato, ma siano piuttosto riconducibili all’esplicazione di poteri neutrali di garanzia e controllo, di rilievo costituzionale, il Collegio non può esimersi dal constatare che, mediante la proposizione del gravame in trattazione e, precipuamente, attraverso le censure formulate, i ricorrenti pongono in discussione - in definitiva – la legittimità del decreto del Presidente della Repubblica nella parte in cui richiama e, quindi, sostanzialmente recepisce il contenuto delle ordinanze dell’Ufficio Centrale per ilReferendum costituito presso la Corte Suprema di Cassazione, ossia il giudizio positivamente reso da quest’ultimo circa la legittimità e l’ammissibilità delle “richieste di referendum popolare, ai sensi dell’articolo 138, secondo comma, della Costituzione” e circa la legittimità del quesito referendario <<Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”, approvata dal Parlamento e pubblicata nella G.U. n. 88 del 15 aprile 2016”>>, espressamente riconosciuto, nella parte motiva dei provvedimenti di cui si discute, conforme a quanto stabilito, tra l’altro, “dall’art. 16 della legge n. 352 del 1970”;
- discende, dalle superiori premesse, che debba affermarsi l’insindacabilità del D.P.R. impugnato in relazione al profilo inerente al quesito referendario, tenuto conto che la formulazione dello stesso proviene dalle ordinanze dell’Ufficio Centrale per il Referendum e che è stato meramente recepito nel conclusivo decreto presidenziale;
- a tale conclusione si addiviene in ragione della insindacabilità, da parte del giudice amministrativo delle ordinanze adottate, in materia, dall’Ufficio Centrale del Referendum istituito presso la Suprema Corte di Cassazione, stante la natura di organo rigorosamente neutrale dello stesso, essenzialmente titolare di funzioni di controllo esterno espletate in posizione di terzietà ed indipendenza nell’ambito del procedimento referendario costituzionale, con la connessa impossibilità di qualificare gli atti dallo stesso adottati in materia di referendum come atti oggettivamente e soggettivamente amministrativi (in senso analogo, ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5369, di conferma della sentenza di questa Sezione n. 4059 del 2015; Sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2552; 16 giugno 2009, n. 3834; 2 aprile 1997, n. 333); deve ulteriormente segnalarsi che, anche aderendo all’orientamento seguito dalla Corte Costituzionale in ordine alla natura giurisdizionale all’Ufficio Centrale per il Referendum(sentenza n. 164 del 2008, ordinanza n. 343 del 2003 e sentenza n. 334 del 2004) e dalla stessa Corte di Cassazione, la natura dei relativi provvedimenti e la relativa definitività – salvo il caso della revocazione – a maggior ragione non consentirebbero il riconoscimento della giurisdizione di questo Giudice;
- ne consegue che le determinazioni assunte dall’Ufficio Centrale per il Referendum sono emanate da un organo rigorosamente neutrale, e non nell’esplicazione di un potere amministrativo (pur concretandosi in poteri di verifica di conformità, per come previsto dall’art. 12 della legge n. 352 del 1970) per concreti scopi particolari di pubblico interesse, ma nella prospettiva della tutela dell’ordinamento generale dello Stato e nell’esercizio di funzioni pubbliche neutrali affidate ad un organo che, per composizione e struttura, si colloca in posizione di terzietà e di indipendenza, in quanto indifferente rispetto agli interessi in gioco e non chiamato a dirimere conflitti, ma a svolgere un’attività diretta alla soddisfazione di interessi generali garantendo l’osservanza della legge, collocandosi su di un piano diverso rispetto all’esercizio di funzioni amministrative;
- le superiori considerazioni in ordine alla natura dei poteri esercitati dall’Ufficio Centrale per il Referendum in materia di referendumcostituzionale, unitamente al fondamento giustificativo dei poteri attribuiti al Presidente della Repubblica, funzionali al controllo ed alla garanzia del corretto funzionamento del sistema ordinamentale sulla base di canoni obiettivi e precostituiti, nell’esercizio dei quali, attraverso l’adozione del gravato decreto di indizione del referendum, è stata conferita veste formale al quesito individuato da un organo, quale l’Ufficio Centrale delReferendum, in esito allo svolgimento di analoga funzione neutrale e di garanzia, conclusivamente saldandosi nel decreto impugnato, rendono tale atto ed il quesito formulato insuscettibili di sindacato giurisdizionale, in quanto non riconducibili all’esercizio di attività amministrativa ma all’esplicazione di funzioni di garanzia e di controllo aventi carattere neutrale poste a presidio dell’ordinamento;
- sotto il profilo dei mezzi di tutela apprestati dall’ordinamento, invocata da parte ricorrente, eventuali questioni di illegittimità costituzionale della legge n. 352 del 1970 – in ipotesi riconducibili alla predeterminazione del quesito in base alla autoqualificazione della legge, in termini di revisione costituzionale o quale mera legge costituzionale indipendentemente dal contenuto effettivo e sostanziale della stessa (la cui scelta è rimessa alle determinazioni del proponente e della maggioranza parlamentare), e del titolo della stessa, tenuto conto dell’art. 138 della Costituzione, di cui la legge n. 352 del 1970 costituisce attuazione, e tenuto altresì conto dei principi che devono presiedere l’esercizio del diritto di voto tra cui quelli di libero convincimento e di consapevole manifestazione della volontà popolare, nonché della finalità del referendum costituzionale, volto, anche, alla tutela della minoranza parlamentare – sono da ritenere rimesse al vaglio dell’Ufficio Centrale per il Referendum in sede di applicazione di tale normativa, essendo stata ammessa la sua legittimazione a sollevare questioni incidentali di costituzionalità innanzi alla Corte Costituzionale (ex plurimis: Corte Costituzionale, sentenza 17 ottobre 2011 n. 278 proprio con riferimento a questioni inerenti alla legge n. 352 del 1970; sul piano più generale, in tema di legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità si veda anche Corte Costituzionale 23 luglio 2015 n. 181 e n. 226 del 1976), eventualmente in sede di revocazione delle ordinanze adottate in materia di referendum costituzionale, ritenendo lo stesso Ufficio Centrale per il Referendum l’esperibilità di tale rimedio sull’assunto della propria natura giurisdizionale (ordinanza dell’Ufficio Centrale per il Referendumadottata nella camera di consiglio dell’11 novembre 2008; la possibilità di revocazione è stata riconosciuta anche con sentenza della Corte Costituzionale 30 gennaio 1986 n. 17);
- avuto, infine, riguardo agli ulteriori rilievi di parte ricorrente, ritiene il Collegio che non sia parimenti suscettibile di sindacato, in senso assoluto, il mancato esercizio, da parte del Presidente della Repubblica, del potere di intervento o del potere di rinvio degli atti ai fini del loro riesame, rientrando tali prerogative, laddove esercitabili, tra quelle di esclusiva spettanza del Presidente della Repubblica, in alcun modo sindacabili o sollecitabili in sede giurisdizionale in quanto espressione del ruolo costituzionale di tipo obiettivo e di garanzia svolto dal Presidente stesso quale garante dell’ordinamento costituzionale;
Ritenuto conclusivamente che, per le ragioni illustrate, il ricorso vada dichiarato inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione, il che, nel rendere irrilevante ogni altra questione di tipo processuale, preclude altresì la possibilità di individuare, ai sensi dell’art. 11 del codice del processo amministrativo, un diverso giudice nazionale cui sottoporre la controversia;
Ritenuto che, tenuto conto delle peculiarità che connotano la delicata vicenda in esame e dell’assenza di precedenti in materia di referendumcostituzionale, sussistano ragionevoli motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti;
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