Il TAR del Piemonte, Sezione I, in data 3 marzo 2016 ha
pronunciato la sentenza n. 306 il cui thema
decidendum riguarda il provvedimento con
il quale un Comune ha indetto una procedura di gara aperta, riservata
alle cooperative sociali di cui all’art. 1, comma 1, lettera b) della legge
381/1991 per la gestione del canile ai sensi dell’art. 4 della L. 14 agosto
1991, n. 281.
La soluzione praticata dal Comune di *** - secondo il TAR - si espone a
rilievi di legittimità, in particolare sotto i profili compendiati nel terzo
motivo di ricorso: merita quindi di essere rimeditata la soluzione accolta da
questa sezione in fase cautelare, alla luce di una più approfondita disamina
della portata applicativa dell’art. 5 della legge n. 381 del 1991.
La disposizione in parola al comma 1 prevede che “Gli
enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a
partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di
contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le
cooperative che svolgono le attività di cui all’art. 1, comma 1, lettera b),
ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della
Comunità europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli
socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia
inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di
appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare
opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all’articolo 4, comma
1”.
Nel determinarne l’ambito applicativo, un primo e
maggioritario orientamento giurisprudenziale ha ritenuto che la riserva di
partecipazione posta dalla norma in questione possa essere legittimamente
imposta solo per la fornitura di beni e servizi strumentali della P.A., cioè a
dire erogati a favore della pubblica amministrazione e riferibili ad esigenze
strumentali della stessa, e che al contrario tale limite non possa trovare
applicazione in tutti i casi – come quello in esame – in cui si tratti di
servizi pubblici locali, destinati a soddisfare la generica collettività
(T.A.R. Bologna, Sez. II, 06 luglio 2015, n. 637; Cons. Stato Sez. V, 16 aprile
2014, n. 1863; Id., 11 maggio 2010, n. 2829; Cons. Stato, Sez. VI, 29 aprile
2013, n. 2342 e 30 luglio 2004, n. 3729; T.A.R. Brescia, Sez. I, 30 marzo 2009,
n. 719).
Un opposto orientamento ha obiettato che dalla formulazione
della previsione in argomento non sia in alcun modo desumibile una limitazione
afferente la strumentalità o meno dei servizi alle esigenze
dell’Amministrazione aggiudicatrice: le uniche limitazioni applicative della
previsione de qua sarebbero rappresentate, infatti,
dalla esclusione dei servizi socio-sanitari ed educativi e dall’“importo
stimato”, il quale deve essere “al netto dell’IVA” inferiore “agli
importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici”.
La stessa espressa esclusione dell’applicazione della previsione in questione
con riferimento ai servizi socio-sanitari ed educativi - i quali costituiscono
servizi ordinariamente forniti alla collettività - non potrebbe che indurre a
ritenere generalmente ammissibili le convenzioni di cui trattasi anche in caso
di servizi non definibili come “strumentali” all’Amministrazione (cfr. T.A.R.
Salerno, Sez. I, 28 luglio 2011, n. 1429; TAR Lazio, sez. II bis, 30 luglio
2014, n. 8325).
Delle due soluzioni interpretative, la prima appare meglio
motivata e più coerente con il quadro generale dei principi che governano la
materia dei contratti pubblici.
L’essenziale argomento esegetico a suo sostegno fa leva
sull’impiego della forma “fornitura di beni e servizi”, in luogo di
quella “servizi pubblici locali”.
Ora, la causa tipica dell’appalto di “fornitura di beni
e servizi” prevede che la prestazione contrattuale posta a carico del
contraente privato sia rivolta all'amministrazione per soddisfare una sua
specifica esigenza; e che al fornitore competa, quale corrispettivo dell’opera
prestata, il pagamento di un compenso economico.
Viceversa, con l’espressione “servizi pubblici locali”
si fa riferimento ad attività di servizio indirizzate alla collettività
indeterminata dei comuni cittadini, secondo un’ottica trilaterale aperta ai
terzi fruitori e difforme dallo scambio sinallagmatico e strettamente
bilaterale tra amministrazione appaltante e privato appaltatore, tipico della “fornitura
di beni e servizi” .
Nello stesso senso, ma su un piano più sistematico, depone
il fatto che l’art. 5 della legge 381/1991, derogando ai principi generali di
massima apertura al mercato e di tutela della concorrenza sottesi alle regole
dell’evidenza pubblica, riveste valenza di norma eccezionale ed in quanto tale
va sottoposto ad una lettura restrittiva, che escluda dal relativo campo di
applicazione contratti diversi da quelli specificamente indicati.
Analoga cautela interpretativa nasce dall’esigenza di
coniugare in modo coerente, sotto l’aspetto diacronico, le disposizioni della
legge 381/1991 con l’evoluzione della disciplina giuridica dei pubblici
appalti, contrassegnata, per effetto delle direttive comunitarie succedutesi in
tempi più recenti, da una sempre più marcata accentuazione del confronto competitivo
come modalità ordinaria di affidamento delle commesse, sinanche negli ambiti in
parte sottratti alla piena applicazione dell’evidenza pubblica (si vedano gli
artt. 20, 27 e 30 d.lgs. 163/2006). Alla luce di tali considerazioni, è
ragionevole sposare una lettura interpretativa della legge 381/1991 in linea
con i principi fondamentali del contesto normativo di riferimento.
Dalle premesse sin qui svolte si traggono - in relazione
allo specifico caso oggetto di lite - le seguenti ulteriori considerazioni.
Innanzitutto, è pacifica, in quanto non contestata,
l’inclusione del servizio di gestione del canile municipale nell’ambito dei
servizi pubblici: la stessa amministrazione comunale di Verbania, nella
determina di indizione di gara n. 391 del 21 aprile 2015, dà atto che “la
gestione del canile è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica”.
Trattandosi di servizio pubblico, esso, alla luce del
preferibile indirizzo interpretativo poc’anzi illustrato, non è suscettibile di
affidamento diretto, ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 381/1991.
La soluzione praticata dal Comune di ***, in verità,
ricalca non già lo schema dell’affidamento diretto ma quello della procedura di
gara riservata - a livello di partecipazione - alla specifica categoria delle
cooperative sociali di cui all’art. 1, lett. b), della legge n. 381/91.
Nondimeno, anche detta riserva partecipativa non può
ritenersi legittima.
Ed infatti, in presenza di validi presupposti per
l’applicazione della legge 381/191 e, quindi, per l’affidamento diretto ai
sensi dell’art. 5 comma 1, anche l’indizione di una gara d’appalto riservata
alle cooperative di tipo b) potrebbe ritenersi legittima, trattandosi di
soluzione accomunata alla prima da una identica ratio derogatoria del confronto
concorrenziale (cfr. in questo senso Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2003, n.
794). Viceversa, in assenza di validi presupposti applicativi della legge
381/1991, tanto l’affidamento diretto quanto la gara riservata si rivelano soluzioni
prive di legittima base normativa, in quanto parimenti confliggenti (sia pure
con diverso grado di intensità) con lo schema ordinario della gara aperta.
Una volta escluso il valido richiamo alla legge 381/1991,
non residuano ulteriori appigli normativi per giustificare la prevista riserva
di partecipazione.
La mera riconducibilità dell'appalto
all’allegato II B non può giustificare l'applicazione di una disciplina
derogatoria ai principi, immanenti in materia di appalti, del favor partecipationis e di non discriminazione, non essendo la
scelta del contraente finalizzata all'esclusivo interesse dell'Amministrazione,
ma anche alla tutela degli interessi degli operatori a poter accedere e
concorrere nel mercato.
Riguardata sotto questo profilo, la scelta operata dal
Comune di *** di limitare la partecipazione alla gara alle sole
cooperative di tipo B non pare fondata su alcuna intellegibile ragione logico-giuridica,
che possa porsi in connessione con le intrinseche caratteristiche del servizio
o con gli elementi di qualificazione richiesti ai soggetti fornitori.
Neppure il riferimento alla natura non economica del
servizio (peraltro dissonante rispetto alla comune nozione di “rilevanza
economica” elaborata in giurisprudenza: si veda per tutte Cons. Stato, Sez.
V, 23 ottobre 2012, n. 5409) rende conto delle ragioni sottese alla restrizione
partecipativa. D’altra parte, analoga restrizione non era stata applicata nelle
precedenti gestioni e non pare quindi discendere da connotati intrinseci
dell’oggetto dell’affidamento.
In conclusione, la contestata limitazione all’accesso alla
gara risulta illegittima, in quanto non in linea con il disposto dell’art. 5
della legge 381/1991 e, comunque, difforme da principi di ragionevolezza e
proporzionalità.
Per tali ragioni, di carattere assorbente rispetto alle
ulteriori censure dedotte, il ricorso va accolto e, per l'effetto, va
dichiarato l’annullamento della determina oggetto del ricorso.
La sentenza si trova qui:https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=C2E6IOGXZ352TLPXUI3ITFTW74&q=
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