lunedì 1 febbraio 2016

I PICCOLI COMUNI E L'EVOLUZIONE NORMATIVA

Il problema dei piccoli comuni italiani è oggetto dell’attenzione del legislatore sin dall’Unità d’Italia e già venne affrontato con la L. 20 marzo 1865,n. 2248 (Allegato A) , con il T.U. 10 febbraio 19ì889, n. 5921 e poi con il T.U. 4 febbraio 1915, n. 148; ma è con il fascismo che viene approvato con il R.D. n.383/1934 il T.U. della legge comunale e provinciale che all’art. 30 stabiliva che i Comuni con popolazione inferiore ai 2.000 abitanti, che manchino di mezzi per provvedere adeguatamente ai pubblici servizi, possono, quando le condizioni topografiche lo consentano, essere riuniti fra loro o aggregati ad altro Comune.
La riunione di due o più Comuni poteva essere disposta anche sulla base di una semplice richiesta dei Podestà.
Con l’avvento della Costituzione repubblicana è stato previsto dall’art. 133 che ogni Regione, sentite le popolazioni interessate, possa con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni.
Ma è con la L. 142/90 che si comincia a stringere la morsa intorno ai piccoli Comuni, infatti l’art.11 stabiliva che le regioni avrebbero dovuto predisporre un programma di modifica delle circoscrizioni comunali e di fusione dei piccoli comuni e che lo avrebbero dovuto aggiornare ogni cinque anni. Al fine di favorire la fusione di Comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti venivano anche previsti dei contributi.
Queste disposizioni non devono essere servite a molto se il numero dei Comuni italiani è passato da 7.720 del 1861 agli 8.100 del 1991
Così il legislatore al momento di varare la riforma delle autonomie locali, approvata con il D.lgs. n. 267/2000 ha pensato, all’art. 15, di ribadire le norme precedenti e di prevedere nuovi contributi.
Anche se il picco massimo di Comuni si è avuto nel 2001 con 8.101, il numero poi ha iniziato a decrescere e oggi siamo a 8.003.
Progressivamente è cresciuta l’attenzione verso i piccoli Comuni sia per quanto riguarda l’economicità che la funzionalità
L’attuale quadro normativo in materia di esercizio associato di funzioni e servizi locali, era stato già definito dall’art. 14 del D.L. 78/2010 e dall’art. 16 del D.L. 138/2011, che obbligava i comuni, con popolazione compresa tra 1000 e 5000 abitanti, a gestire in forma associata, tramite convenzione o unione, le funzioni fondamentali di cui all’art. 21, comma 3 della legge n. 42/2009.
Approfittando, come spesso avviene, dell’afa ferragostana con il D.L 12 agosto 2011, n. 1924 si era tentato di sopprimere Giunta e Consiglio comunale dei Comuni sotto i mille abitanti, ma quella volta il Parlamento ha ritenuto che questa strada non fosse opportuna in quanto la sostanziale soppressione dei comuni con meno di mille abitanti apparve subito una scelta debole dal punto di vista economico e sbagliata sotto il profilo civile e democratico. 
Si preferì accentuare per i piccoli Comuni la spinta verso la gestione associata, così gli enti interessati avrebbero dovuto individuare entro la fine del 2011 due delle sei funzioni fondamentali da gestire in forma associata, le altre quattro entro il 31 dicembre 2012.
Ben pochi hanno seguito la strada indicata.
Tra un Governo e l’altro e da una proroga all'altra, si è arrivati così alla legge 56/2014 che ha riportato alla luce il problema della fusione dei comuni, ma soprattutto quello della gestione in forma associata di alcune funzioni, fissando il termine del 31 dicembre 2015 per l’adozione degli atti. 
Per tutto l’anno 2015 la maggioranza dei Comuni non ha provveduto agli adempimenti necessari ad organizzare la gestione in forma associata delle funzioni fondamentali ma i loro rappresentanti politici si sono impegnati a spingere a livello centrale verso una proroga, puntualmente arrivata con il tradizionale “Milleproproghe” che ha fissato un nuovo termine al 31 dicembre 2016.
Per quanto .riguarda gli acquisti è intervenuta invece la mannaia con la legge di stabilità 2016 che ha stabilito norme molto vincolanti con l’accentramento presso la Consip e gli enti aggregatori (individuati per lo più nelle regioni) degli acquisti più importanti.
Ci aspetta un nuovo anno durante il quale, si spera che venga affrontato il problema in maniera più costruttiva.

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